Ticket to ride

Le due ragazze erano sedute una di fronte all’altra. Il treno viaggiava a velocità sostenuta mentre la campagna, tra quadrati colorati di marrone e giallo, si stava svegliando. Si raccontavano chissà quali segreti e, ogni tanto, si abbandonavano a risate sonore godendosi il viaggio. Tanto da non sentire il controllore che chiedeva loro i biglietti.
Alla reiterazione della richiesta, sempre cortese, dell’uomo in divisa le due ragazze mostrarono il loro titolo di viaggio. Poi, una di loro, quella più carina, si alzò e, dando le spalle all’amica per non farsi sentire, fermò delicatamente per un braccio il controllore.
«Senta, deve intervenire…» gli disse con decisione.
«Prego?» fece lui alzando due sopracciglia a cespuglio. Il profumo costoso di lei gli arrivò alle narici come un’onda tiepida di risacca, riportandogli alla mente dal passato una sensazione piacevole che non riuscì però a mettere a fuoco.
«Deve fare assolutamente qualcosa. La mia amica, qui, non… non è lei…» insistette.
«In che senso non è lei?»
«Nel senso che sembra la mia amica, ma non lo è, me l’hanno sostituita. Poco fa è andata in bagno e quando è tornata non era più lei. Al suo posto c’è adesso un’altra persona. E io ho paura.»
Il controllore squadrò la ragazza facendo un mezzo passo indietro. Si chiese per un attimo se lo stava prendendo in giro. Si convinse però che era seria.
«Mi dispiace signorina ma a me interessa solo che abbia un biglietto valido» fece riavvicinandosi a lei in modo da rientrare nella nuvola di quel profumo che lo turbava. Sarebbe riuscito a recuperare prima o poi quel ricordo. Pensò.
«Che la sua amica non sia davvero… la sua amica è una questione che esula dalla mia competenza.» proseguì lui. «Quando sarà arrivata a destinazione, se proprio è convinta, può fare denuncia alla Polizia ferroviaria.» Quindi la salutò con garbo e proseguì a richiedere i biglietti agli altri passeggeri.
«Cosa ti diceva il controllore?» fece l’altra ragazza, sorridendo, mentre la sua amica riprendeva il proprio posto.
«Niente, niente, Olivia…»
«Come niente? Siete stati a parlare cinque minuti, ti sei pure alzata per fermarlo.»
«Ti ha messaggiato, poi, Carlo? Ci viene a prendere ad Alvòna?» tagliò corto lei.
«No, non ancora… ma che fai… cambi discorso, Rania?»
La ragazza carina adesso era a disagio. Guardava fuori dal finestrone: una catena montuosa innevata era apparsa all’improvviso sullo sfondo del paesaggio e una fascia larga e bassa di nebbia, adagiata lungo tutta la sua base, la staccava dalla terra consegnandola al cielo. In primo piano, invece, si stava avvicinando un ponte strallato, in acciaio, che brillava al sole. Sembrava lo scheletro di un animale preistorico rimasto incastrato tra due colline.
«No no… è che…»
«È, cosa? Dimmelo, ci diciamo sempre tutto, Rania: di colpo ti sei rabbuiata… cosa è successo?»
La ragazza carina non riusciva a trovare le parole. Poi si decise.
«Dunque, lo sai, Olivia… io faccio spesso questa tratta per lavoro e te lo posso quindi dire con assoluta certezza.»
«Cosa, mi puoi dire?» incalzò l’amica.
«Il controllore.»
«Cos’ha il controllore?»
«Appena l’ho visto l’ho capito subito, tanto che ho voluto parlargli per averne la conferma.»
«La conferma di cosa?»
«Il controllore… non è lui… cioè sembra lui… ma non lo è. L’hanno rimpiazzato con un sosia. È un impostore.»
«Oddio, Rania… ma sei proprio sicura?» fece allarmata l’amica «ma è terribile! Chi potrebbe mai fare una cosa simile? E perché?»
«Ma come sarebbe, Olivia, perché? Sei proprio un’ingenua! È tutto organizzato da ‘loro‘, da ‘quelli là‘» disse abbassando il tono della voce e facendo un gesto secco della testa come se si riferisse ai passeggeri dei posti accanto «’Loro‘, ci controllano, sono dappertutto.»

La badante raccomandata

«Sono proprio contenta» disse Clara all’amica facendo un breve cenno con la testa verso il salotto dove la madre anziana stava prendendo il tè in compagnia.
«Certo, di questi tempi, trovarne una proprio fidata – fidata… ma come hai fatto? Racconta!» le chiese Gianna dandole un pugnetto che appena sfiorò la spalla.
«Guarda… a essere sincera, è stata Matilde…»
«Ma non è quella con cui…»
«Sì, ma cosa vuoi che ti dica, poi abbiamo chiarito, era stato solo un banale malinteso…» precisò subito pentendosi di aver tirato fuori di nuovo quell’argomento. Poi osservò la madre che stava chiacchierando amabilmente, come faceva un tempo, e ne provò sollievo e soddisfazione. «Bene, allora, stavo dicendo…? Ah sì, è stata Matilde che me l’ha consigliata perché lei, a sua volta, sapeva da una amica di sua sorella che si era trovata non bene, di più: benissimo.»
Gianna sorrise compiaciuta e, poi, abbassando la voce sussurrò: «e ti è costata molto?»
«Mah… a dire il vero, mia cara, sai, con quello che fa mio marito, non è certo un problema di soldi…» disse con malcelato orgoglio calcando il tono sulle parole ‘non è un problema di soldi’. «È che, se si pretende serietà e affidabilità, allora non bisogna pensare affatto al risparmio…» e con la mano sottolineò l’evidenza di quanto appena sentenziato.
«No, no non bisogna pensarci affatto…» ribadì Gianna non accorgendosi che stava rifacendo il verso all’amica.
«E i vantaggi, inoltre, sono tanti e tali, ti assicuro, che ne vale la pena: io e Aldo, del resto, siamo sempre così tanto impegnati…»
Gianna invece di annuire fece involontariamente di no con la testa ben sapendo che gli impegni dell’amica si dividevano tra il corso di pilates, il rinomato centro estetico del Palace Hotel e le partite di burraco con le amiche del Circolo. «Però i sacrifici, alla fine, sono ben ripagati se questi sono i risultati…» ribadì Clara con un teatrale gesto del braccio come se non indicasse solo la madre accudita dalla badante, davanti a sé, ma tutta il salotto, l’intera villa di cinquecento metri quadrati e il parco annesso, compresi piscina e campo da tennis. «Mi spiace però che hai deciso di non voler rimanere per una fetta di torta…» fece lei con misurato disappunto. «Se vieni di là, te la faccio conoscere: vedrai, ne rimarrai entusiasta… così magari anche tu, un giorno…»
«Oh no… non potrei davvero permettermela. Comunque si è fatto tardi, ora devo proprio andare…»
«Così presto?» chiese pressoché a se stessa Clara accompagnandola in modo un po’ troppo sollecito all’uscita. E mentre l’amica le stava aprendo la porta, Gianna disse ancora sottovoce: «secondo te, prima o poi, se ne accorgerà tua mamma che la badante è solo un robot?»
Clara si voltò a rimirare la scena. Sospirò: «beh, spero davvero di no.»


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Mele e pere

Clara si era fermata a osservare l’amica mentre stava imbustando della frutta.
«Mi vuoi spiegare con stai facendo?» le chiese con aria di rimprovero.
«Sto comprando delle mele, non vedi?» rispose lei senza guardarla.
«Sì ma alle mele stai mischiando le pere, come farai a pesarle?» 
Paola tirò su la busta di plastica trasparente per controllare meglio, poi alzò gli occhi al cielo:
«Gesù… non ci sono più con la testa.»
«Si può sapere cos’hai?»
«Luca mi ha lasciato» confessò lei di botto assumendo un’espressione persa e confusa.
«Adesso però non dirmi che me lo avevi detto!»
Clara non aprì bocca, cercando solo di abortire un sorriso che le stava spuntando sulle labbra. Poi aggiunse:
«E quando è successo?»
«Una settimana fa.»
«È per questo che non ti sei fatta più viva?»
 Paola cercava nervosa le pere nel suo sacchettino per separarle dalle mele, ma non riusciva a individuarle. Quindi continuò:
«Ah, ma non gliel’ho fatta mica passare liscia, sai?»
«Cos’hai combinato?»
Paola sorrise beffarda.
«Mi sono infilata di nascosto nei gabinetti degli uomini dell’iper di Lughi, dei supermercati Brannad di Collefili e Capoglossa e in quelli di un paio di stazioni ferroviarie.»
«A far cosa?» domandò Clara stupefatta.
«Con un pennarello indelebile ho scritto sul muro ‘Maschio voglioso, superdotato, disponibile per ogni capriccio di soli uomini anche gratis. Chiamare a qualsiasi ora’. E poi ho scritto il numero del suo cellulare, quello di casa e del suo ufficio.»