Finalmente a casa

Tessa e Banco non ci misero molto a tornare a casa. Durante il viaggio di ritorno il fratello raccontò a Tessa tutte le avventure trascorse nel Paese dei Ragni Giganti e la sfortunata sorte capitata a Tago. La sorella pianse, di un pianto silenzioso, liberatorio che il fratello non cercò neppure di interrompere. Banco si mise a guardare fuori dal finestrone del treno. Pensava a quante cose fossero cambiate da quella mattina. A quanto lui stesso fosse ormai profondamente cambiato. Sembrava essere stato un sogno, ma non lo era stato, a giudicare dal marchio a fuoco del Nodo che portava impresso sul polso sinistro. E, a questo proposito, Gropius aveva avuto davvero ragione: solo poche persone lo potevano notare e tra queste certamente non c’era Tessa, né Nora o Franz. Il ragazzo, man mano che si avvicinava a casa cominciò a riconoscere i posti che gli sfrecciavano sotto il naso. Gli scappò un sorriso velato di amarezza. Aveva voglia di parlare con Canio. Questa volta avrebbe avuto un mucchio di cose da raccontargli. * A casa ad aspettarli c’erano i genitori. Ora stavano meglio. La situazione nell’atmosfera era infatti tornata alla normalità. La chiusura definitiva del canale che portava al centro della Terra, la cui riapertura sarebbe stata possibile per fortuna solo fra migliaia di anni, aveva riportato la massa del Pianeta ai valori ordinari. Così anche la gravità terrestre si era ristabilita e l’ossigeno era di nuovo presente nell’aria nella giusta percentuale. Banco salì in camera sua. Era stanco e sarebbe andato a dormire presto, anche senza cenare. Il giovane prese il Gator che era ancora sul letto e lo appoggiò sul comodino: la madre l’avrebbe confuso facilmente con una sveglia. Il Gator, dal canto suo, si era disattivato e stava, manco a dirlo, russando. ‘Meglio così’ pensò Banco ‘gli racconterò tutto in un altro momento. Adesso sono proprio stanco.’ Si stese, con le mani dietro alla nuca a fissare la macchia sul soffitto somigliante al profilo di Mozart. Considerò anche che non c’era una parte del corpo che non gli facesse male. Gli ritornarono in mente, a sprazzi, come in un ultimo trailer, le scene delle avventure vissute: la fine che avevano fatto i Demoni bruciati vivi, la testuggine che nuotava in quell’Oceano blu, l’abbraccio di Tago, il sapore di quella pigna che sapeva di cappuccino. Banco sorrise, ripromettendosi, un giorno o l’altro, di analizzare il sangue di Ragno che aveva ancora nella bottiglia: voleva sapere di cosa fosse composto. Rifletté anche, amaramente, che da quel giorno avrebbe avuto, quasi certamente incubi per tutto il resto della sua vita ed era per questo forse che, tutto sommato, non osava addormentarsi. Ma, dopo tutto, poteva dirsi soddisfatto di esser riuscito a sabotare, con le sue forze, il progetto malefico del Malvagio. Certo, Lui, il Principe dei Principi Demoni, non si sarebbe mai arreso, ma forse, almeno per un po’, se ne sarebbe stato tranquillo e l’umanità avrebbe tardato, per qualche tempo, ad autoannientarsi. Il sonno ad un certo momento venne a liberarlo dall’angoscia abbassandogli dolcemente le palpebre a conclusione di un sabato senza fine. Proprio mentre nella via di fronte a casa sua, un uomo di colore con i capelli rasta stava fermo sotto un lampione con le braccia incrociate. Guardava in direzione della finestra accesa del ragazzo. E sorrideva. Oh, se sorrideva.

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