La lunga digressione sulla punteggiatura sottolinea l’importanza dell’argomento che non è sicuramente secondario agli altri che si andranno ad affrontare.
Ma ora è il momento di occuparci di qualcos’altro.
Si fa spesso una gran confusione tra lingua, lessico e linguaggio, e forse è il caso di parlarne un po’.
La lingua (come sinonimo di idioma) è un insieme di codici convenzionalmente prestabiliti (fortemente connotati dal punto di vista storico-culturale) cui il soggetto, che decide di parlarla, aderisce senza poterla cambiare.
Se io desidero esprimermi in finlandese, devo impararne la grammatica, la sintassi e soprattutto il vocabolario, tutti elementi che preesistono alla mia decisione di studiare la nuova lingua e che posso quindi apprendere, fare mia, senza per questo poterla mutare o modificare.
Se dico ‘rosa’ indicando una melanzana (lo, so, c’è anche la varietà striata, ma non è questo il punto), dico qualcosa di sbagliato e gli altri ‘parlanti’ che condividono lo stesso mio (nuovo) codice linguistico non capiranno, così come non comprenderanno se non mi attengo alle strutture morfologiche-sintattiche della lingua in questione. Un io parleranno blu è una frase inquietante che non comunica nulla.
Il linguaggio è invece un sistema di comunicazione soggettivo che attinge al mio sapere personale affondando le radici nella mia cultura e nella mia personalità. Pur muovendosi all’interno dello spazio preconfezionato della lingua da altri stabilito, il linguaggio è creato da me e solo a me appartiene. Perché se è vero che uso una parola di quel dato idioma codificato, è anche vero che la utilizzo scientemente al posto di altre a seconda del contesto, del senso e del significato che voglio attribuire al mio processo comunicativo.
E il linguaggio letterario è proprio quell’insieme di espressioni, di vocaboli che fanno la caratura dello scrivente; non è tanto quindi il bacino di utenza del materiale convenzionale a mio disposizione che fa la differenza (la lingua in cui ho deciso di scrivere il mio testo letterario), ma la scelta di certe parole o espressioni nell’ambito dello stesso patrimonio che è poi il modo caratteristico di essere scrittore; a sua volta, il linguaggio letterario è una componente della cifra stilistica dell’autore, la sua maniera di porgere le parole, di ritmarle nel flusso narrativo, di girarle all’interno della frase per farle apparire e sparire.
Il lessico è invece il modo di esprimersi di una determinata persona quando strettamente connotato dalla sua estrazione, dal grado culturale, dalla sua attività lavorativa (anche se per il codice utilizzato da persone che appartengono a una data categoria professionale si parla di sottocodice linguistico) è il suo intercalare (le battute, le imprecazioni, le bestemmie, le espressioni fàtiche, lo slang) il suo modo di abitare la lingua, di renderla viva, piegandola alle proprie esigenze comunicative.
Non vi è più, in altre parole, un unico lessico dell’autore che permea e sovrasta tutti i personaggi in modo indistinto come fossero tante esplicitazioni di un’unica matrice, ma ci sono (più correttamente) i singoli soggetti individualmente creati, che hanno un loro spazio e una verità letteraria credibile.
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IN CONCLUSIONE
Dunque, ricapitolando, di cosa si è parlato in questa pagina:
di lingua, lessico e linguaggio nonché dei registri linguistici; tutte queste distinzioni sono necessarie per meglio orientarsi nella ricchezza della nostra lingua e impadronirsi di gran parte dei suoi segreti onde arricchire il nostro testo.
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