E spingendo con forza una chilometrica tavola da surf, in apparenza più larga della porta, si catapultò nella stanza di Enea Frangi insieme ad un marmocchio vestito da Joe Di Maggio.
«Però mi sembra un po’ sporco e maleodorante!» gli fece eco, da dietro, una donna, pure lei sovrappeso, mentre sbuffando trascinava un carrellino con sopra cinque o sei valigie compresse da un secondo bambino (agghindato da Batman) che ci saltava sopra.
Il GIP, riemerso dall’impegnativa lettura del sedicesimo faldone del procedimento Quagliarullo Antonino (detto ‘O’ Catalogo’ ) + 81, focalizzò a fatica e in ritardo il maldipancia che aveva appena fatto ingresso nel suo ufficio.
«Vabbe’» conciliò la donna scrollandosi di dosso con una spallata il ragazzino che nel frattempo le si era aggrappato alla nuca per tirarle i capelli «con qualche modifica qua e là potrà persino diventare abitabile…» e cominciò con lo strappare dalla parete alcuni quadri di scuola preraffaellita.
«Ma voi chi siete… che fate qui…?!?» esclamò Enea allarmato accennando ad una timida e composta indignazione.
«Ah… giusto lei…!» abbaiò l’uomo allungando sotto il mento del Magistrato un cono gelato panna e stracciatella «… è il custode della baracca non è vero???»
«Chi? Io? Un custode…?» domandò il Magistrato come per scusarsi di non essere affatto il custode.
«Mio egregio signore…» seguitò il pancione dandosi una ravvivata alla chioma appiccicaticcia per il sudore «sappia che, al nostro ritorno, ci sentiranno quelli dell’agenzia… ah se ci sentiranno…!»
«Sì ti sentiranno…! Ah se ti…» mugolò la donna assestando uno smataflone al bambino-Batman che si era messo a leccare i moscerini sui vetri della finestra.
«Abbiam pagato fior di quattrini per questo scalcinato bungalow… e non ha neanche la vistamare!». I palmizi e le noci di cocco sulla maglietta dell’ingombrante individuo si agitarono nervosamente. Per sottolineare il disappunto l’uomo fece volare sulla scrivania di Enea la suboceanica tavola di surf che, presa l’onda, rimbalzò incastrandosi di traverso nella vetrata istoriata .
«Sì non ha la vistamare!» fece da risacca la moglie che vanamente cercava di agguantare i figli mentre si tiravano alcune statuette rare del periodo neoclassico.
«Ci deve essere uno sbaglio!» ribatté sempre meno convinto Enea.
«COME UNO SBAGLIO? Ma quale sbaglio? Non è forse la villetta numero 114 questa?» chiese con prepotenza l’uomo alzando la voce.
«… è la stanza 114, ma non è una…»
«Hai visto Arabellina… nessuno errore… è proprio il 114, il bungalow che abbiamo affittato per tutta la stagione estiva… e di cui ti sei innamorata leggendo il pieghevole!»
«Sì proprio leggendo il pieghevole… Palmiruccio mio… hai sempre ragione tu… digliene quattro… al cafone rivestito… digli che il club vacanze fa schifo e che pretenderemo uno sconto…» strillò la donna.
«Sì… sì… Arabellina… adesso glielo dico…»
«Vi ripeto che ci deve essere un errore…» replicò il Magistrato che iniziava ad avere seri problemi a controllare i movimenti scomposti del braccio.
«E le brandine? Il frigo, l’angolocottura? E la piscina? Eh? Eh? Dove sono la piscina e i due campi da tennis che ci erano stati promessi?» incalzava Palmiruccio usando il fondo aguzzo del cono gelato per punzecchiare il pancreas del GIP.
«Se vuole c’è del caffè…» si difese Enea, dispiaciuto, alludendo ad un thermos che si era portato da casa.
«Ma quale caffè! Ci si faccia un clistere col suo caffè! Guardi piuttosto che disordine, che letamaio… cosa fa, la raccolta d’immondizia?» barrì il tizio corpulento prendendo una manciata di carte sparse sul tavolo e buttandole nel cestino.
«I miei appunti! Ci ho impiegato oltre un mese!» supplicò flebilmente il GIP sgonfiandosi sulla poltrona.
Il Palmizio prese allora ad armeggiare in una sacca voluminosa almeno quanto lui.
«Meno male che sono sempre previdente io…»
«Sì Palmiruccio pensi sempre a tutto tu…»
Mentre i bambini stavano scardinando la libreria a muro usando un prezioso labaro medioevale reperto della seconda Crociata, (che subito si schiantò), marito e moglie montarono, con grande esperienza, una tenda extralarge a sei posti con veranda e balcone.
«Per favore… per favore…» reagì Enea, in un attimo di lucidità «per carità, richiami i suoi tre bambini, stanno distruggendo ogni cosa…»
«Quali TRE bambini? Io ne ho solo DUE» rispose secco Palmiruccio che non levò gli occhi dalla scatola degli attrezzi «quello che sta disegnando sui tappeti e l’altro che li sta buttando giù dalla finestra…»
«E… e… quello lì accanto alla porta che mi guarda bieco e che… e che… no eh?»
«Ecco bravo… non dica stupidaggini e mi aiuti almeno! Che fa lì seduto come un cercopiteco?!?» lo sgridò il campeggiatore tirando il martello che il Magistrato riuscì a parare con la fronte.
Con la collaborazione del GIP, che si sentiva mortificato per le contestazioni mossegli e grazie ai picchetti da roccia marca ‘La mia Himalaya’ infissi nel pavimento di terracotta invetriata di foggia dellarobbiana ed ai tiranti da scalata inchiavardati agli affreschi del Seicento, la maxitenda venne eretta in pochi minuti. Al suo interno, furono allestititi, con altrettanta rapidità: un cucinotto a otto fuochi, una saletta ricreazione, un megascreen da 2000 pollici con quattro casse stereofoniche da 1500 watt ciascuno, un paio di letti a castello, una matrimoniale a forma di scialuppa e un gabinetto padronale alla turca con piccola docciabbronzante.
«E non speri in una mancia…» redarguì severo Palmiruccio cercando lo sguardo del Frangi per umiliarlo «sa, li conosciamo i tipi come lei… tutti sfaccendati voi albanesi.»
«Veramente sono nato ad Ostuni…»
«Ah! Ho capito… serbo-croato… fa lo stesso! Accattoni uguale!» chiarì tra sé e sé il Nocedicocco, mettendosi in pace con la geografia.
«Ma se ho lavorato sodo…» obiettò timorosamente Enea «mi sono pure pestato tre volte il dito!»
«Ah sì! Li conosciamo i tipi come lei… ah se li… vero Palmiruccio?» apostrofò Arabellina sbattendo sotto il naso del GIP un seno olezzoso e sudaticcio, vasto quanto un piazzale d’autogrill. Poi voltandosi verso il marito continuò «… digli, però, che se dà una pulitina ai vetri di questo cesso di bungalow…»
«Sì… sì… Arabellina… adesso glielo dico…»
Enea, che era rimasto senza parole, in balia delle scosse inconsulte delle mani e della testa, avendo esaurito persino le dita dei piedi da far schioccare, osservava, in preda al terrore, uno dei mocciosi pestiferi che, con la sua adorata penna stilografica, dotata di pennino d’oro extrafine, stava scrivendo sulla tramezza esattamente sopra ad un motivo agreste della scuola senese del Fiaschetta , mentre il giocatore di baseball, scaraventando a terra ogni cosa che incontrava lungo il cammino, schiamazzando a più non posso, tentava vanamente di far volare un aquilone.
La madre, invece, cantando un insopportabile gingle televisivo, incurante del fracasso, si era accinta a fare il bucatino in uno dei cassetti della scrivania del Frangi (un prestigioso mobile intarsiato in legno di rosa del Settecento fiorentino); Palmiruccio, infine, dando fondo ad un cestello di lattine di birra, sprofondato in una sedia a sdraio, protetto da un ombrellone da spiaggia, intonava sonori e tonitruanti rutti di soddisfazione.
I quarti d’ora si stavano susseguendo per Enea gravidi di oscuri presagi, in un incubo senza fine, quando alcuni colpi d’arma da fuoco furono esplosi in rapida successione finendo irrimediabilmente per rovinare la volta centinata.
«IN NOME DELLA LEGGE, ch’accade qui?» irruppe sulla scena il Maresciallo Treviri Cassiodoro nella sua divisa profumata di spigo e fresca di ferro da stiro «… mi è giunta tempestiva segnalazione da fonte confidenziale, dimostratasi degna di fede in diverse altre circostanze, che questo campeggio è abusivo perché insiste in zona non autorizzata e/o non consentita… i lor signori vogliano favorirmi i documenti di identità o equipolenti per cortesia…»
«Sì… sì… i documenti…» diede di sponda il Magistrato che pareva essersi riavuto dallo stato di trance.
«Anche lei dottore… non faccia il furbo con me!» ammonì con tratto arcigno il Milite puntando un indice accusatorio ingentilito in un candido guanto da parata «s’identifichi.»
«Co… come? Ma io… io sono…» eccepì il GIP tastandosi con goffaggine la giacca e i pantaloni alla ricerca di un tesserino di riconoscimento.
«La colpa non è nostra…» blaterò la donna brandendo un calzino insaponato «… è stata l’agenzia che ci ha mandato…»
«Non mi minacci con il calzino…» ruggì furioso il Maresciallo che ora puntava la pistola in direzione di Arabellina «… lo posi subito con immediatezza e supinamente…»
Il Piazzale d’autogrill, molto remissiva, pur non capendo che diavolo intendesse dire il Carabiniere, visto il cipiglio inferocito, posò il pedalino sul tirante della tenda, riponendo poi ordinatamente, entrambe le mani, sulla testa bigodinata.
Non era stato ultimato il gesto di resa che Treviri, giratosi a gambe divaricate, esplose tutto il caricatore contro un’ombra intravista con la coda dell’occhio. Pochi istanti dopo, un aquilone pieno di buchi e tutto scartellato, si accasciò funereo al suolo. Il bambino-Joe Di Maggio, con in pugno il solo spago afflosciatosi, privo di vita, sulla maiolica semidistrutta, si mise a piangere disperato; l’altro figliolo, fiutando odor di guai, probabilmente per lo spirito innato di autoconservazione, con delicatezza, infilò, nel terriccio umido di una pianta, la penna stilografica di Enea.
«Ma lei non può…» obbiettò Palmiruccio provando ad opporsi. L’uomo non finì la frase, impedito in ciò dalla forte pressione esercitatagli, su di una narice, dalla canna dell’arma d’ordinanza del Maresciallo, il quale, non abbandonando la postura da combattimento, si era voltato nuovamente con un sol balzo.
«Metta giù lentamente la lattina di birra… e non provi neppure a ruttare» intimidì il Sottufficiale mostrando i canini.
Risuonavano ancora quest’ultime parole, in quello che era stato, un tempo, l’ordinato ufficio di Enea Frangi, quando si udì un suono argentino:
«Buonapasqua!»
Il frate di Valloperosa con mani benedicenti e sorriso abbacinante fece capolino sulla soglia.
Un silenzio improvviso pesò sugli astanti che rimasero immobili.
«Pace e bene, ovunque voi siate!».
Scoppiò il putiferio.
Arabellina sbraitò che non se ne poteva più di quella vacanza squinternata, che l’aveva detto lei che sarebbe stato meglio fossero rimasti al paesello a tenere aperta la salumeria. Il marito cercava, al contrario, di calmarla facendole notare che, con ogni probabilità, quello doveva essere il cappellano del campeggio e che un servizio di tal genere era da ritenersi più che apprezzabile data la fregatura che avevano loro rifilato.
I ragazzini, straniandosi dal contesto, avevano ripreso a far alzare, in mancanza dell’aquilone, degli aereoplanini di carta costruiti con i fogli residui del processo Quagliarullo Antonino + 81 (detto sempre ‘O’ Catalogo’) che il Milite, ricaricata in fretta la Beretta 91, abbatteva uno dopo l’altro con tiri precisi e fulminei.
Il trambusto durò soltanto alcuni attimi.
Padre Buonapasqua di Valloperosa, mutata ben presto l’allegria in una smorfia di disappunto, alzò una perentoria mano destra.
Enea, Cassiodoro, Palmiruccio, Arabellina e la coppia di marmocchi (o erano tre?), con espressione sbigottita e fissa, iniziarono a fluttuare in silenzio nell’aria intralciati, in questo, solo dagli aereoplanini superstiti e dalla maxitenda che, sradicatasi dal pavimento come un filo d’erba, galleggiava, anch’essa in palese stato di ipnosi, assieme agli arazzi e ai quadri di rara fattura.
Con una levata di saio Armani Sport & Tempo Libero, il monaco, com’era venuto, così se ne andò.
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