Ma il titolo ‘Il testo seducente’ (la pagina si chiamava infatti così prima di essere re-intitolata “Quando la storia ti aiuta a scrivere la storia“) mi è sembrato alla fin fine il più adatto proprio per comunicare, in modo evocativo, quello che volevo qui esprimere e cioè che il testo può avere una sua azione positiva sullo scrittore (un sorta di autofeedback) aiutandolo nella creazione della storia stessa. Ma cominciamo dall’inizio.
Può accadere che si abbia in mente una bozza di intreccio, l’inizio quantomeno, e magari anche una parte importante della trama e che si siano persino individuati alcuni personaggi o il personaggio ma non si abbia tuttavia la minima idea di come andare avanti. Sappiamo, cioè, come inizia ma non come farlo progredire e terminare.
A me è successo diverse volte un simile stallo e, lo devo confessare, altrettante volte ho finito per rinunciare per mancanza di idee limitandomi ad annotarmi la bozza da qualche parte per momenti più prolifici.
Ultimamente però ho adottato la tecnica della ‘scrittura seducente’ qui descritta, nel senso di far sì che sia la stessa scrittura a suggerirmi il seguito; potrà sembrare un cosa bizzarra, ma non lo è. Come si può scrivere senza sapere cosa scrivere? Ci si può infatti domandare. Cercherò di spiegarne qui la dinamica che ho potuto sperimentare in modo positivo.
La ‘magia’ della scrittura è in fin dei conti, se ci si pensa bene, quella di ‘inverare’ l’astrattezza del pensiero. Finché l’idea è fluttuante, fino a quando non ha i piedi con cui camminare, rimanendo allo stadio di mera immaginazione, avrà solo una inconsistenza impalpabile che tende a sfuggire alle regole della narrazione.
Cominciando a scrivere lo sviluppo logico di cui la scrittura si nutre, si può obbligare lo scrittore a mettere in sequenza le idee, l’azione, le parole stesse, dando ordine a ciò che un ordine prima non aveva; in altri termini, si imbriglia obbligatoriamente la creatività sui binari concreti della narrazione creando, al tempo stesso, le plusvalenze della scrittura al fine di superarne anche le carenze, vale a dire ciò che manca per completarla.
Questo mettere in sequenza gli accadimenti, questo creare un filo narrativo, pone, prima o poi, la storia stessa davanti all’interrogativo ‘esistenziale’ di come continuarla. È come se il testo si facesse carico da solo della domanda cruciale: ‘ma, allora, a questo punto cosa succede?’ e si mettesse in loop per tentare di dare una risposta.
Il personaggio creato si sta cioè muovendo in maniera quasi indipendente (come fosse dotato di una vita propria) su uno sfondo dato, dibattendosi in una determinata situazione che tende emotivamente verso la sua continuità naturale; il personaggio ubbidisce, in altre parole, alla tensione emotiva insita nella cellula drammaturgica già espressa e preme per trovare la propria quiete (perturbata dall’azione) evolvendo naturalmente nella soluzione che la definisce esaurendola.
È quindi lo stesso testo che ‘seduce’ (può sedurre) lo scrittore o almeno è in grado di poterlo fare ed è tale da poterlo convincere a scrivere quel che manca; sempre che quanto scritto abbia ovviamente una sua validità ed efficacia intrinseche e sempre se si ha la sensibilità di ascoltare il proprio personaggio che nella bozza cartacea già sta cercando di parlarti.
Questa strategia compositiva ha il pregio di creare trame molto coerenti ma il difetto di aggirare il compito di redigere, prima di scrivere, un plot complessivo della trama potendo finire per alterare la proporzione tra le varie parti che la compongono e il vincolo di congruità. L’ulteriore rischio per l’Autore è di perdere il controllo sulla storia perché è la storia in questo caso che detta e l’Autore ascolta senza sapere magari dove vuole andare a parare.
Esempi di applicazione di questa tecnica possono essere trovati, tra l’altro su questo stesso Blog, anche a queste pagine: –> È tempo di violette; –> L’ultima cosa che ricordo; –> Piccoli equivoci. Raccomando di leggere, per chi vuole approfondire la tematica, anche alla relativa pagina “Dietro al racconto” il cui link è reperibile in calce al racconto di riferimento.
Infine, leggevo nella post-fazione di Ultimo respiro di Robert Bryndza (–> Ultimo Respiro), che anche lui utilizza questa tecnica, addirittura per scrivere un romanzo (ma non credo affatto sia l’unico).
Non resta poi che provare (questo stesso argomento è approfondito a questa pagina –> Immedesimarsi nel racconto per entrare nel racconto dove si parla anche dell’effetto Stanislavskij).
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IN CONCLUSIONE
Dunque, ricapitolando, di cosa si è parlato in questa pagina:
un modo per farsi venire in mente una buona idea su come proseguire una storia è iniziare a scriverla; affidandosi cioè ai propri personaggi, alla trama in cui sono collocati, immedesimandosi nell’intreccio in modo che sia la storia stessa a suggerire come proseguire.
Questa strategia compositiva ha il pregio di creare trame molto coerenti ma il difetto di aggirare il compito di redigere, prima di scrivere, un plot complessivo della trama finendo per alterare la proporzione tra le varie parti che la compongono e il vincolo di congruità.
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