In realtà, il primo personaggio è (appunto) il coccodrillo, un animale che, per il suo aspetto arcaico e anacronistico, mi ha sempre affascinato. Confesso che quando facendo zapping tra i vari canali televisivi mi imbatto in un documentario su questi magnifici rettili finiscono sempre per seguirlo con passione.
È un animale possente, misterioso, iconico e sembra creato a bell’apposta (come succede per esempio per lo squalo bianco) per dar corpo ai peggiori incubi dell’immaginario collettivo (e uno scrittore in questi casi, come si dice, ci ‘va a nozze’).
È anche un predatore scaltro e paziente; mi è sempre rimasta impressa la strategia di un enorme coccodrillo africano che ho potuto vedere in uno di questi documentari (era della BBC). Per poter predare degli gnu accorsi ad abbeverarsi a uno dei rari specchi d’acqua della zona il grosso rettile aveva già fatto diversi e vani tentativi per avvicinarsi senza mettere in allarme le sue prede. Ma proprio perché la stazza del coccodrillo in questione era davvero considerevole e il livello dell’acqua molto basso non c’era modo per lui di potersi nascondere in modo efficace.
Fu così che, con pazienza e astuzia, si è messo a scavare sul fondo della pozza, tutto intorno a dove si trovava, fino a quando, spostando il fango di lato, non è letteralmente sprofondato sotto il pelo dell’acqua sparendo del tutto, complice l’acqua melmosa, alla vista degli gnu.
Ben presto gli ignari gnu (sembra quasi un gioco di parole), soprattutto quelli avvicinatisi alla pozza dopo la manovra del coccodrillo, non ebbero più modo di sapere che, a pochi centimetri da loro, c’era un predatore feroce e temibilissimo di sei metri di lunghezza. È bastato quindi un solo balzo del grosso rettile per avere ragione della prima preda capitata a tiro che, in pochi attimi, è stata trascinata via in un ribollire d’acqua e fango.
Sempre in un bel documentario, dove mostravano i numerosissimi passaggi necessari per la fabbricazione di questo fucile (qualcosa di simile lo si trova qui → James Purdey and Sons: How to Make a Handcrafted Gun, in inglese) ricordo la dimostrazione di un operaio che, a fucile terminato, inserendo un foglio, spesso come una carta velina, tra la culatta e la bascula di una doppietta, faceva vedere che il fucile non si chiudeva più.
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