L’harem

«Sembra che abbiano finalmente acquistato il terreno qui di fronte» fece Carlo con la bocca quasi spiaccicata sul vetro della finestra.
Clara, la moglie, non gli prestava attenzione: era intenta a preparare la tavola come ogni sera.
«Devono essere arabi, perché hanno piantato una tenda tipo tuareg.»
«Arabi? Che arabi?» disse lei come emersa da un sogno.
«Quelli qui di fronte, ecco, come al solito non mi stavi a sentire.»
«No scusa stavo pensando a cosa fare per cena» disse lei poco convinta della propria scusa, avvicinandosi al vetro della cucina. «Di quali arabi stai parlando?»
«Stavo dicendo che probabilmente hanno acquistato l’appezzamento di terreno qui di fronte sarebbe bello lo mettessero a posto: è così brullo qua sotto e lasciato andare.»
«Come fai a dire che sono arabi?» chiese lei usando un tono da mettere in serio dubbio la deduzione del marito.
«Perché la tenda è di quelle tipiche arabe le vidi in Libia, tempo fa quando feci quel viaggio per lavoro, ricordi? E poi ci sono dei cammelli legati ad un palo proprio dietro alla grossa tenda.»
«Non mi fido di quella gente» commentò lei emettendo come una sorta di gemito «non mi piacciono e poi son così diversi da noi.» Disse queste cose un punta di piedi sporgendosi sopra alla spalla del marito per vedere meglio di cosa si trattava.
La donna aveva quindi ripreso ad apparecchiare portando alla fine in tavola un grosso piatto pieno di affettati e formaggi. Mangiarono in silenzio, poi lui borbottò:
«Non ti facevo razzista.»
L’indomani la coppia si rivide per cena, come capitava di solito. Il lavoro di entrambi era tale che spesso potevano vedersi solo la sera. Lui era ingegnere impiegato in una società petrolifera, mentre lei faceva la geologa presso uno studio specializzato in perforazioni di pozzi artesiani per uso domestico. Si erano conosciuti così, anni prima, mentre stavano lavorando ad uno stesso progetto di trivellazione all’estero. Erano gli unici italiani della spedizione, cosicché avevano fatto ben presto amicizia. Si erano messi frequentarsi anche al rientro in Italia: prima saltuariamente e poi in modo sempre più assiduo sino a quando non decisero di sposarsi. Era stato un matrimonio d’amore, forse celebrato troppo presto e troppo in fretta e senz’altro prima che si conoscessero profondamente. Il risultato ora era un ménage scialbo, trascinato stancamente attraverso la grigia routine di giorni monotoni. E a quel tavolo, sbrigativamente apparecchiato per la cena, ad essere condivisi erano più i silenzi che gli interessi in comune.
«Ho saputo che la nostra vicina Iris è scappata di casa» disse lei non alzandolo sguardo dal piatto.
«Davvero?» fece lui incredulo. «Quella con i dentoni e con gli occhi spiritati?»
«Certo, proprio lei, Iris, la nostra vicina» fece lei con sufficienza come se volesse intendere ‘e chi altri sennò?’
«Ma non è possibile! E con chi è scappata?»
«Questo non lo so» rispose lei quasi seccata per il tono canzonatorio del marito. «Si vede che non ce la faceva più a stare con il marito e si era stufata dei suoi musi lunghi.»
«Sembra un coniglio quella donna» sbottò ancora Carlo ridendosela tra una masticata e l’altra. «Ma chi vuoi che se la prenda una così?»
L’uomo si alzò per prendersi una birra borbottando ancora qualcosa tra sé e sé e ridacchiando per l’immagine che aveva nella testa della vicina che organizzava una fuga di passione con qualcuno.
«Magari è scappata con fratel coniglietto» rideva ancora lui di gusto. Poi prima di tornarsene al suo posto buttò un’occhiata in strada come spesso faceva visto che la finestra del terrazzo, dove si trovava il frigo, per la modestia dell’appartamento, dava direttamente sulla piazza.
«Caspita!» esclamò. «Hanno costruito un muro tutt’attorno alla tenda! Han fatto presto. Non me n’ero neppure accorto.»
«Non ci sei mai! Per forza non te ne sei accorto. E poi sei così distratto» fu la risposta acida della moglie che gli parlava dalla cucina.
«Perché tu l’avevi vista quella nuova costruzione?»
«Sì, questa mattina. Avranno lavorato tutta la notte, credo.»
Il marito si sedette al tavolo pensieroso e poi, indicando fuori con un cucchiaio, aggiunse:
«È un muro di cinta con delle strane costruzioni a raggiera, però. È senza finestre. L’avevi notato? A meno che non le abbiano fatte che guardano all’interno.»
«Non vorranno guardare fuori ma a te che ti importa poi?»
«Oh niente, niente, facevo così per dire.»
«L’ho detto io che non c’è da fidarsi» fece lei alzandosi da tavola.
I due non si dissero nient’altro per tutta la serata: si piazzarono davanti al televisore, sprofondando nelle rispettive poltrone, poi andarono a dormire. Carlo mormorò un biascicato buonanotte cui Clara non rispose neppure.
Fu una telefonata a svegliare entrambi. Il telefono suonò a lungo fino a quando Clara dovette alzarsi per andare a rispondere.
«Chi era?» le chiese il marito con la voce impastata dal sonno mentre Clara scivolava di nuovo sotto le coperte.
«Mario.»
«Mario chi?»
«Il tuo collega.»
«Potevi dirmelo che venivo al telefono.»
«Come se fosse vero » rispose secca lei aggiustandosi il cuscino e voltandosi verso la parete: cercava di riprendere sonno per quel residuo di un quarto d’ora che le mancava prima che la sveglia suonasse.
Carlo aspettò poi la scosse nel letto:
«E allora? Cosa voleva?»
Clara era riuscita a riprendere sonno, sicché tardò a rispondere:
«Ti avvertiva che non veniva a lavorare quest’oggi »
Poi siccome la moglie non proseguiva, la scosse nuovamente:
«Ma perché?»
Clara a quel punto si alzò dal letto sbuffando dal nervoso e masticò una imprecazione a mezza voce che Carlo non comprese. Poi, prima di chiudere la porta del bagno, sibilò:
«Sua moglie ieri sera non è più rincasata. Questa mattina Mario andava in commissariato per far la denuncia di scomparsa.»
«La moglie di Mario, sparita?» fece Carlo tirandosi su a sedersi sul letto. «Ma è terribile. E cosa sarà successo? Accidenti mi spiace speriamo che non le sia accaduto nulla di grave Vorrà dire che prima di andare in ufficio faccio un salto da lui, visto che abita qui di fronte: gli chiederò se ha bisogno di qualcosa. Potremmo invitarlo a cena, questa sera, che ne dici Clara?»
Ma l’uomo sentì il rumore dello scroscio dell’acqua nella doccia e si diresse in cucina.
‘Povero Mario’ pensò l’uomo arricciando il naso ‘non se lo meritava’. Questa è proprio una batosta per lui. Ha anche due figli piccoli ora come farà?
Si poneva queste inquietanti domande, Carlo, mentre si versava il latte con la portiera del frigo aperta. Poi l’occhio, come al solito, cadde giù in strada e rimase a bocca aperta.
Sopraggiunse subito dopo la moglie in vestaglia con i capelli ancora raccolti nell’asciugamano a mo’ di turbante.
«Me ne hai lasciato un po’ di latte o te lo sei bevuto tutto tu, come fai sempre?» Fece lei acida di prima mattina. Poi, vedendo che il marito non rispondeva: «Cos’hai? Stai male?»
«Guarda » fece lui indicando con il mento la piazza. Gli arabi avevano costruito un secondo piano. Ricalcava come forma quello precedente. Delle casupole bianche a raggiera senza finestre che fossero quelle direzionate verso il centro del terreno su cui insisteva ancora la grossa tenda tuareg. Continuava a non vedersi nessuno, anzi non c era traccia apparente di vita, se non fosse stato per i cammelli, che sembravano persino aumentati di numero.
«Hanno costruito un nuovo piano e con questo?» fece lei togliendosi l’asciugamano dalla testa e scuotendo i capelli per liberarli. «Si può saper perché ti interessano così tanto quegli arabi? Ma non avevi fretta di andare dal tuo amico per sapere come stava?»
«Allora mi hai sentito dal bagno?»
«Certo non sono sorda.»
«E non ti sembra strano che non si veda nessuno in giro là sotto e che costruiscano solo durante la notte? Senza far neppure rumore?» chiese il marito riprendendo il discorso della costruzione.
«Te l’ho già detto: è gente strana quella» fece lei chiudendo definitivamente il discorso e portando via di mano il cartoccio del latte al marito.
«Allora cosa ne pensi se invito questa sera Mario per cena, così gli tiriamo su il morale» disse il marito cambiando discorso anche perché aveva capito che quell’argomento non avrebbe avuto un seguito.
«È meglio che lo porti a cena fuori tu io lavoro fino a tardi alla Cascina Bernardi. Se avete voglia, verso le ventidue, potete venire entrambi lì e facciamo due chiacchiere prima chi io chiuda.»
«Potrebbe essere un’idea.»
«Se non vi vedo arrivare per quell’ora ci ritroviamo a casa.»
La cena con Mario fu tristissima. L’uomo piagnucolò pressoché tutta la serata. Era molto depresso: non si capacitava di cosa potesse essere accaduto. Carlo l accompagnò a casa anche perché Mario era completamente ubriaco. Si accorse anche che si era fatto tardi e non avrebbe più fatto in tempo ad andare a prendere Clara sul lavoro. Anzi, con tutta probabilità, pensò, era già a casa che lo stava aspettando. Quando fece rientro Carlo trovò tuttavia la casa nel più completo silenzio. Erano le undici di sera e la cosa la preoccupava molto: non era nel modo di fare usuale della moglie, far tardi. Quando l’orologio suonò mezzanotte Carlo si attaccò al telefono per chiamare non solo la moglie, ma anche tutti i responsabili della sua ditta. Clara non rispose. Fu invece il titolare della ditta a comunicargli che la moglie se ne era andata alle dieci precise.
Carlo cominciò ad agitarsi, misurando in lungo e in largo l’appartamento a larghi passi. Forse era andata da qualche amica ma quale?
‘Dove tiene, Clara, la sua agenda?’ si chiese il marito cominciando a rovistare nei cassetti del tavolino della moglie. Cercò dappertutto. Aprì anche l’armadio. Quindi si accasciò a terra come se fosse stato colpito da un fulmine. Non c’era più nulla: né i vestiti, né le scarpe, né le valigie. Carlo rimase a bocca aperta, incapace di pensare e anche solo di muoversi. Se ne rimase così per parecchio tempo senza riuscire neppure a respirare.
Poi si alzò di scatto. Fece le scale a due a due e scese in strada. Si diresse di corsa verso il grosso portone che si apriva sul muro di cinta della strana costruzione che si ergeva sulla piazza. Batté forte con entrambi i pugni urlando a squarciagola il nome della moglie:
«Clara! Clara! Non farmi questo, ti prego! Claraaaaaa!»
Urlò e sbraitò per diversi minuti. Poi si scostò dal portone per guardare all’insù per vedere se nel buio della notte scorgeva qualcuno cui chiedere notizie della moglie.
Ma poté solo notare che lentamente il muro di cinta si stava alzando, un mattone dopo l’altro, una pietra dietro l’altra, per la costruzione del terzo piano.

[space]

<– racconto precedente (Hanno scelto proprio te)
–> racconto seguente (Un hotel a cinque stelle)
<–  torna all’indice della Sezione ‘Come un papavero…
<– leggi gli ALTRI SCRITTI

Lasciami un tuo pensieroAnnulla risposta