I piazzisti della parola

Il clima elettorale imperversa. Le propagande sono da poco iniziate ed è già un florilegio di accuse, recriminazioni, sgomitate, arrembaggi, pulizie di settore, distinguo così sottili che finanche i leader fanno fatica a ricordarseli. E questo è anche il momento in cui i piazzisti della politica, quelli cui sono affidati i nostri soldi, le nostre speranze di impiego o quelle di un futuro dignitoso, tirano fuori le loro promesse impossibili. Fatte apposte per stupire, per aggregare, per convincere i disillusi, svegliare gli annoiati. Si sente proclamare che quella tal imposta sarà abolita, senza poi dire quale altra tassa si dovranno per forza inventare per mantenere gli stessi sprechi che nessuno ha intenzione di eliminare. Il tesoretto sarà rimborsato. Poco importa se non esiste, se il debito pubblico se l’è già mangiato da tempo. I nostri contingenti militari a Kabul, armati di pacchettini di aiuti umanitari, non hanno fatto abbastanza o hanno fatto troppo, poco importa se ogni tanto ne muore qualcuno. L’aborto verrà usato come ariete per dimostrare che lo Stato è laico oppure non lo è affatto, poco importa se si deciderà sulla pelle delle donne. Il problema dei rifiuti verrà invece tramandato di governo in governo. Possono infatti sempre servire. Come moneta di scambio. Per dimostrare l’inefficienza degli altri. Chiunque siano gli altri. Anni fa venne promesso con prosopopea un milione di posti di lavoro. E già allora sembrò una patetica bufala. Ora si parla di due milioni e mezzo. ‘Venghino, signori venghino… chi offre di più?’

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