Questo è il periodo in cui non si sa più davvero come vestirsi. È buffo osservare per strada le persone che, uscite al mattino con il giubbotto pesante e le scarpe da pioggia, tornano la sera accaldate con il sovrappiù in braccio. Ed è sempre sorprendente vedere quelle ragazze che fino a ieri avevano i guanti di lana e la sciarpa chilometrica al collo, sfoggiare ora, già al primo raggio di sole, un top ombelicale e una minigonna ancora spiegazzata. E che dire di quei bar che hanno i tavolini all’aperto incartati in gazebo di plastica dove si intravedono monumentali termosifoni a colonna relegati spenti in un angolo a chiedersi che cosa mai ci stiano lì a fare. Le nuvole passano veloci lasciando stracci increduli di cielo blu o nuvoloni cupi che sovrastano le avanguardie di rondini che stridono sottovoce per non far sentire che sono arrivate. Sembra che debba ancora accadere di tutto, che possa ritornare l’inverno come che scoppi risoluto il solleone agostano. Ma in questa apparente vaghezza, le foglie tenere degli alberi sbucano decise a cambiare il colore delle piazze, a formare ombre e frescure dimenticate mentre le gemme si schiudono fiduciose e le radici si allungano ad occhi chiusi: la natura è andata avanti, a dispetto del meteo altalenante o delle previsioni mai azzeccate, perché il suo orologio non si è mai fermato. Come le maree, come i pullman di turisti, come i progetti per le prossime vacanze. Il mondo insomma gira ugualmente, a dispetto di noi e anche senza.