Attorno alla malinconica custodia da contrabbasso, si erano invero raccolti solo alcuni parenti , un paio di commessi (si seppe poi che uno di loro aveva sbagliato funerale) ed un altro sparuto gruppo di persone.
C’era però Luana Ciccotti, la moracciona dalle labbra a sturalavandino, che non distoglieva il suo occhio despogliatore dalle fattezze macho di un prestante becchino che, predisponendo a colpi di vanga la fossa per la defunta, faceva saettare tutti i muscoli disponibili, compresi quelli non proprio necessari alla bisogna. Spaesato e confuso, si aggirava pure, tra croci e donne pie, un tal Baldo Pozzolatico richiedendo a tutte le persone che incontrava il rilascio di non so più che cosa per la pensione.
C’era, infine, l’Avv. Trito Acàntore che, da un po’ di tempo, si era messo a frequentare i camposanti perché, a suo dire, gli toglievano l’appetito (agevolandolo così nella sua ennesima improbabile dieta); c’era pure Ash che, sulla strada di ritorno per il Monte Perduto, rapito dall’atmosfera mistica del luogo, aveva fatto una sosta per la cena, sedendosi su di un cippo marmoreo sul quale potevano leggersi le seguenti parole:
QUI GIACE
IL MARITO FEDELE
ASPETTANDO LA MOGLIE
(AL VARCO)
Presenziavano infine gli operai della fu premiata ditta della Letizia che, raggiunti dalla luttuosa novella mentre si trovavano alla sagra del paese , forse fuorviati dall’impressione di assistere alla sepoltura di uno strumento musicale, estratti dagli zaini chi uno spartito, chi dei cimbali, chi una vecchia fisarmonica, iniziarono mestamente a suonare.
La cerimonia, si diceva, fu assai breve anche perché il celebrante, spaventato com’era per l’ora tarda così propizia per l’apparizione della raccapricciante creatura di Opperville , aveva una gran fretta di tornarsene in canonica.
Non so francamente che cosa ci sia di verosimile nella leggenda che devasta questo suggestivo cimitero, ma è certamente per tale particolare ragione che i ricchi di Lamarmora (e la della Gioia non lo era) preferiscono (alla loro dipartita) farsi seppellire a Cocoritos che gode, come si è narrato in precedenza, anche di uno splendido panorama.
«Ivi giacciono le umili spoglie di una giovane donna…» recitò il celebrante con gli occhi rivolti al cielo a scrutare inquieto il sole che stava infilandosi, fin troppo sollecitamente, dietro il colle «… che adesso, accolta nel grembo misericordioso di chi tutto vede e provvede, continua a fare ciò che ha sempre fatto: si riposa…» un sussulto della terra fece sobbalzare il corpicino del prelato, che, versandosi addosso l’aspersorio, prese ad agitarsi vistosamente.
La maggioranza dei partecipanti, con movimenti appena percettibili, camminando con cautela a ritroso, stavano guadagnando l’uscita del cimitero.
«Ehm… dov’ero rimasto ah sì…» seguitò il prete che si era già avveduto dell’arretramento dello scarno pubblico «cenere alla cenere, polvere alla polv…»
Uno scossone più forte del terreno fece malamente rovinare di spigolo il feretro contrabbassato, che, imbucandosi nella fossa esattamente sopra un lombrico di passaggio, lo trasformò in due lombrichi di passaggio.
In un lampo il cimitero si svuotò.
Fuggì a perdifiato il sacerdote e il prestante becchino avvinghiato a Luana Ciccotti che lo stava già sturando negli appositi punti di applicazione; scapparono i parenti alla lontana della cara estinta gettando i fiori sulla bara-contrabbasso dalle macchine in corsa; nel parapiglia, se la diedero a gambe, non viste, persino alcune salme inumate di fresco che non ci tenevano a costituire il menu serotino del mostro.
Gli unici a non abbandonare il terreno furono le maestranze della premiata azienda della Letizia che, catturati dal fascino del loro stesso accompagnamento musicale, avevano intonato un toccante canto alpino.
Un trafiggente stridio di freni, a quel punto, sottolineò l’apparizione di una limousine nera fiammante di otto metri di lunghezza.
«Salga Avvocato Acàntore, presto!» gridò Julius sporgendo dal finestrino un viso oramai verde bandiera seminascosto da una debordante capigliatura che gli toccava le spalle «la soluzione del mistero è prossima!!!»
Il professionista non si fece pregare due volte e, travolgendo con l’immancabile borsa-frigo (che non si era sentito comunque di abbandonare) una decina di lapidi che saltarono per aria come fossero di cartone, si sistemò su uno dei sedici sedili posteriori della vettura, evitando per miracolo di schiacciare il Sommo che, pallido e sotto choc, si era rannicchiato in un angolo come un sacco di stracci.
Il Trito, per riprendersi dallo spavento per l’apparizione del mostro e mettere nel contempo alla prova la fermezza dei suoi propositi di portare a compimento la rigida dieta in corso, sfilò dalla manica un metro abbondante di baguette grondante di tonno e carciofini. La guardò intensamente negli occhi. Si chiese se gli faceva schifo. Quindi, chiudendo le palpebre come fa lo squalo bianco al cospetto della sua preda, l’addentò con un gran fracasso di incisivi e molari e con una foga tale da darsi un morso al polsino di cui inghiottì un gemello rubinato (dono della Spazzamare).
Il keniota che già si trovava a bordo, spaventatosi per l’improvvisa comparsa della mastodontica mole del Trito (le cui cospicue dimensioni gli rammentavano tanto Doom-Doom, l’elefantino di casa lasciato in Africa) ma ancor di più per lo sguainamento subitaneo del maxipanino, si ritrasse nell’incavo dell’ascella del Passiflora che si diede ad accarezzarlo maternamente.
«Sa davvero guidare questo coso?» chiese il PM preoccupato.
«Non si preoccupi dottore» tintinnò la Spazzamare inwürstellata in un vestitino a tubo color arancione ANAS «quand’ero piccola guidavo spesso l’incrociatore del babbo! E’ tutta questione di pratica!»
E, inforcato un paio di Persol con una sobria montatura trapuntata di perle grosse come chicchi d’uva, accertatasi che ognuno avesse trovato la propria adeguata sistemazione (Ash, lo Gnomo Bracalone invisibile, non resistendo alla curiosità di vedere come andava a finire la vicenda, si era appollaiato sul cofano reggendosi ben stretto all’antenna della televisione satellitare) partì a tutto gas impennando la macchina.
La limousine sfrecciò alla velocità del pensiero sopra una comitiva di turisti spagnoli che, vedendo approssimarsi il bolide e l’ineluttabile fine della loro gaia esistenza, chiudendo gli occhi, gridarono in coro un fiero ‘Olé’; sfoltì, con rara capacità sterminatoria, anche la maggior parte della segnaletica verticale ivi esistente, assestando, inoltre, alcuni ma sapienti colpetti ad un chiosco di giornali e ad una rivendita di cocomeri primaticci che si accasciarono al suolo senza neppur far rumore.
Poi, nell’affrontare i primi tornanti della Collina dei Tresospiri (la più struggente delle Colline Terse), Anaspasio, rianimatosi grazie anche ad un fiotto di rigurgito corrosivo (allo spezzatino di pollo e coniglio alle spezie) dell’extracomunitario (che non aveva gradito né la velocità del pensiero, né tantomeno le curve tornantizie) sospirò:
«Ma guarda che coincidenza! Mia madre vive proprio da queste parti!»
Pochi istanti dopo, l’incrociatore su sei ruote si autoparcheggiò nel cortile di una villetta di campagna atterrando sopra un trattore agricolo di cui sparpagliò sul viottolo interiora ancora calde di bulloni, cinghie e bielle. Mezzo soffocati dagli air-bags anteriori, posteriori, laterali e quelli scesi dal tettuccio, gli occupanti della limousine scivolarono a fatica dall’abitacolo strisciando sui gomiti.
Appoggiato alla recinzione di quel medesimo giardino lussureggiante, Morozzo de’ Macci, in tuta ginnica nerobrunita e berrettino con su scritto: ‘Le donne non ce l’hanno’, stava mettendo a dura prova la resistenza del mollettone palmare.
«Ti pare il caso di far tutto ‘sto casino?!?» accennò con tono svagato ed arrogante il PM «ce ne avete impiegato di tempo! Vi stavamo attendendo da ore per il gran finale!»
Accanto a lui, il Maresciallo Maggiore V.A.P. Treviri Cassiodoro , in completo assetto da combattimento, squadrava i nuovi arrivati con sufficiente sarcasmo.
«Co-come sei giunto fin qui?» abbaiò tra i denti il Cipollone, guardando di sbieco la coppia cui non aveva perdonato il suo arresto.
«Ho le mie fonti anch’io… checcredi?» rintuzzò quello, con nonchalance, sbirciando la gallina Padovina che gli razzolava tutt’attorno alle scarpe da footing.
Frattanto, dalla casetta, preceduta dal micione bigio Pauper, uscì una donna anziana….
«Mamma… tu!» guaì Anaspasio sbigottito tenendosi ad Ash per non perdere i sensi.
La Signora alla vista del figlio scoppiò a piangere.
Con sollecita immediatezza, il Cassiodoro, lanciatosi dalla sua posizione di agguato, perquisì prima la donna e poi il gatto… quindi, estratte le manette, tentò, invano, di ammanettare il felino che si era messo a girargli vorticosamente intorno alle caviglie.
«Non c’è ne bisogno… Maresciallo… lasci stare…» comandò il Morozzo ruotando il collo minotaurico; quindi rivolgendosi alla donna «avanti, confessi!»
La Signora Pacifica Pignatta in Trillozzo rientrò facendo cenno di seguirla.
Una volta seduti (solamente il Cassiodoro rimase in piedi, a gambe divaricate, con la mano guantata sulla fondina, pronto a far fuoco), quella principiò tra i singulti:
«L’ho fatto per Te, Trillino mio…»
«Fatto cosa…???» domandò il Chiamato, il cui stupore non accennava a scemare.
«Tutto quello che è successo! Sì, Tu mi trascuravi… eri sempre sbattuto in ufficio… tra quelle maledette cartacce… tutto Tuo padre (pace all’anima Sua) notte e giorno… giorno e notte… mai un minuto per me… per me che mi sento tanto sola… e … e… così ho pensato che, se non avessi avuto più il Tuo lavoro, Ti saresti ricordato della Tua povera mamma… e saresti venuto a trovarmi…»
«Ma, mamma, mi hai mezzo rovinato… sarebbe bastata una telefonata…»
«… e, secondo Te, dovevo essere io a farmi viva? Stai scherzando? IO… TUA MADRE!!!»
«Non ci posso credere!… sei la causa di tutto… e per un po’ di compagnia! Hai avuto perfino il coraggio di sopprimere una vita…!?!»
«No… io non ho soppresso nessuno, per carità… non dire stupidaggini, è stato Primo Fante che venendomi a far visita, ha bevuto per errore una spremuta a base d’erbe che ha scambiato per un Martini: era invece un decotto velenosissimo di cui mi servo ogni tanto per piccole magie… sai bene che io mi diverto con queste cosucce… è… è stata una tragica fatale disattenzione… lui era così… così…»
«FESSACCHIOTTO!» imbeccarono tutti a cappella.
«Ecco appunto… fessacchiotto, non mi veniva il termine» e soffiatasi con fracasso il naso continuò «… prima è diventato completamente verde, come quel capellone lì…» e indicò con il dito incartapecorito Julius che si sentì stringere al gargarozzo il nodo della cravatta «e poi è stramazzato a terra facendo fumo dalle orecchie e schiuma dagli occhi. Non potendo avvisare la Polizia, per ovvi motivi, onde liberarmi della scomoda presenza, ho ritenuto di servirmi della ditta Solmartimer (che notoriamente è molto discreta e non fa domande imbarazzanti). Ho scritto quanto doveva esser fatto su di un biglietto… e, con il favore della luna piena, ho scariolato la sventurata salma fino alla Collina Sparuta (l’altra Collina Tersa). Una faticaccia! Solmartimer si è occupato del resto.»
Un leggerissimo olezzo di zolfo si sparse per la stanza.
«Ma ti sarai stancata mammina!» disse il Sommo già ricolmo di tenerezza per l’augusta genitrice.
«No, in fondo non più di tanto. Ho attaccato la carriola al gancio per la roulotte della macchina!»
L’Acàntore, sprofondato in una poltrona da cui con tutta probabilità non si sarebbe più rialzato senza la collaborazione di un‘équipe specializzata in traslochi, approfittando del fatto che Pauper gli fosse salito sulle ginocchia, lo tastava cercando di saggiarne la compattezza delle carni.
«Tra l’altro» precisò la donna aggrottando la fronte rugosa «è pure successa una cosa stranissima. Ero convinta che il Tuo Collega fosse davvero morto quando, ad un certo punto, l’ho rivisto al tavolino del Tuo studio intento a scrivere. Mi sono avvicinata a lui, preoccupata, chiedendogli se allora stesse bene, ma lui non mi ha neppure risposto. Poi, ho dato da mangiare al gatto, mi sono girata di nuovo e l’ho ritrovato defunto, stecchito, esattamente nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato la prima volta. Sembra inverosimile che questo sia successo davvero… eppure è proprio come la racconto!».
La Pignatta allargò le braccia come per rimarcare che lei, per prima, non era riuscita a darsi una spiegazione plausibile.
«Sta di fatto che ha lasciato per Te quei fogli che vedi là sul tavolo, credo che si tratti della sua ultima sentenza: ora è pronta per essere firmata.
Anaspasio, cui ritornò in mente quello che gli avevano detto i Manipolatori del Tempo , si sentì mancare.
«Non è stato dunque il dr. Fante a rubare la pettorina?» chiese Morozzo bruciando sul tempo Julius in procinto di riaprir bocca.
«No, si era rivolto a me solo perché gli predisponessi una pozione da far bere proprio al Trillino mio, in modo che Lui l’avesse come unico amico.»
«COSA?!?» farfugliò l’Imperscrutabile allibito.
«Sì, era follemente geloso di chi Ti avvicinava, voleva essere il Tuo unico grande Amico, il solo a potersi occupare di Te, dopo la Tua mamma ovviamente!»
«Primo era di già il Mio unico Amico… non era necessaria alcuna pozione… »
«Ma non glielo hai mai detto, nevvero? Vedi quanto male hai arrecato al prossimo con il Tuo egoismo? Sei tanto fiero di Te stesso da non accorgerTi dei buoni sentimenti altrui, di chi Ti circonda e Ti vuole bene.»
«Ma il giorno della sparizione della pettorina» obiettò Anaspasio «ho sentito distintamente nel mio armadietto un intenso odore di sigaro della marca usata da Primo, non ho avuto difficoltà a riconoscerlo!».
«Non te ne devi meravigliare! Ogni mattina il Fessacchiotto, senza dirTi nulla, Te lo puliva devotamente usando i prodotti che gli fornivo io stessa: non l’hai mai notato? Probabilmente quel fatidico giorno aveva il sigaro acceso e il fumo è rimasto imprigionato all’interno del mobile!»
Il Sommo se ne ristette ammutolito.
«Questo spiegherebbe anche il perché c’era uno scarafaggio bianco nell’armadietto del Presidente! Doveva essere rimasto addosso a Scorreggina fin da quando venne in questa abitazione (forse intrappolato in un risvolto dei pantaloni), cadendogli successivamente intanto che lucidava i ripiani…» rifletté a voce alta Julius, cercando di farsi la coda di cavallo.
«Sì, deve essere andata così» confermò la Pignatta «la casa è invasa dalle blatte albine… forse per via del cimitero di Cocoritos, che è proprio dietro quel muro!»
La Spazzamare ebbe un moto di trillante disgusto. Il suo ricciolo ribelle decise di svenirle sul collo.
«Ti adorava quel povero ragazzo…» riprese mesta la madre.
«Sono mortificato di averlo giudicato male…»
«La pettorina Te l’ha portava via invece quell’altra Tua collega incinta, come si chiama…?» proseguì la donna interrogando Pauper che fece segno che non lo sapeva.
«La dottoressa della Gioia…» suggerì il Cipollone.
«Io la conosco per dottoressa della Letizia… una gran brava figliola pure lei… me l’avevano consigliata per eseguire un’opera di ristrutturazione… è titolare di un’impresa edile (ho voluto allargare la Tua stanzetta dei giochi…) e, saputo che era anche un Giudice e per giunta nella stessa tua sezione, l’ho supplicata di aiutarmi… poteva metter facilmente le mani sulla pettorina senza farsi notare…, è stata davvero molto gentile.»
«E’ morta anche lei, mamma!»
«Sul serio? Oh mi spiace… e di che?»
«Si è suicidata, per l’infamia di aver compiuto il furto.»
«Allora hai pure lei sulla coscienza, figliolo!»
«Il non aver voluto rivelare, la della Gioia, e sino all’ultimo, il suo nome, Signora, è comunque un altro estremo tributo alla sua Famiglia…» sentenziò Julius mordicchiandosi una ciocca di capelli.
«Sì, ne sono pienamente consapevole» sorrise con bonarietà la Pignatta con quell’atteggiamento caratteristico di chi è ben conscio dei propri privilegi «e non vi ringrazierò mai abbastanza per tutto ciò.»
«Già, ma si rende anche conto di aver perpetrato una serie di gravissimi reati quali: utilizzazione clandestina di lombrichi, sfruttamento di merce ittica senza controllo veterinario, reiterato inquinamento atmosferico, procurato panico pubblico, occultamento di fessacchiotto scorreggione e distruzione di sito civile (si figuri che la Villa del Presidente è stata dichiarata monumento storico e patrimonio universale dell’intera Umanità)???» declamò Morozzo martoriando nervosamente l’ennesimo suo attrezzo palmare.
«Articoli 342, 768 bis, 221 ter 1° e 2° comma codice penale… e articoli 4 e 8 della legge…»
«Grazie Maresciallo faccio da me…»
«Certo dottore… comandi dottore… sempre a sua disposizione dottore…» s’inarcò quello mettendosi sull’attenti, avvertendo un vago prurito alle dita della mano destra, che blandiva, questa volta, il calcio della mitraglietta in dotazione.
«Io l’ho fatto per Lui… sì l’ho fatto anche per me, non lo nascondo…, ma soprattutto per Lui…» ribatté ancora la donna in un mare di lacrime, cui si era unito il copioso contributo del keniota impietositosi per il racconto «con me, si sarebbe rilassato, ne ha tanto bisogno il mio Trillino, è così sciupato… Gli avrei preparato la brioche del mattino ripiena di marmellata di albicocche e acciughe…»
«… oh sì la brioche ripiena di marmellata di albicocche e acciughe…» ripeté Anaspasio rapito «come la sai fare buona tu…»
«… oppure le crocchette al pomodoro con tanto burro capperato…»
«… oh sì buone pure le crocchette al pomodoro!»
«… mi ero ripromessa di scriverTi una lettera nella quale Ti avrei confessato tutto…»
La donna si alzò allora in piedi e, con una camminata lenta e pesante, si trascinò fin verso un canterano, tallonata dall’onnipresente Pauper infastidito dalle attenzioni culinarie dell’Acàntore.
Da un cassetto, levò la pettorina lavata e stirata. Si accostò quindi al figlio e, con mano tremante e lo sguardo basso, gliela consegnò:
«Questa dev’essere Tua!»
Un coro di angeli si diffuse armonioso nell’aria circostante, mentre una luce violenta traforò con impetuoso sfolgorio il soffitto, facendo cadere sui presenti una pioggia baluginante di pulviscolo argenteo.
Il lussureggiante Julius, il gesticoloso Passiflora con l’extra appoggiato sul braccio a mo’ di asciugamano, la tintinnante Spazzamare tenendosi le tette con entrambe le mani , l’aitante Morozzo e persino l’apprettato Cassiodoro (l’Acàntore, al contrario, nonostante gli sforzi, non riuscì a riemergere dalla sua pancia), in un comune gesto spontaneo, si inginocchiarono umilmente condividendo quella sfavillante beatitudine.
La commozione era generale (il Passiflora ne approfittò per farsi firmare la parcella dal keniota).
«Grazie mamma… e… e scusami, se puoi» bisbigliò Anaspasio trattenendo a stento i lucciconi che sgomitavano impazienti agli angoli delle palpebre «… ti verrò a trovare più sovente…»
«Promesso?»
«Promesso!»
«Allora ti perdono!»
«Ottimo!»
I due si abbracciarono teneramente.
Abbracciò entrambi Ash che, trasportato dall’entusiasmo del momento, si avvide, troppo tardi, di aver violato la settima legge gnomica del Regolamento della Foresta Rovesciata .
«OK!» proruppe Morozzo alzandosi con la consueta prorompente energia e riponendo nella tasca il mollettone scanocchiato «considerate le circostanze, ritengo che si possa chiudere pure un occhio su tutta la vicenda… per il sottoscritto, insomma, il caso è definitivamente chiuso!» e si fermò sulla soglia della porta osservando il Milite cogitabondo al centro della stanza.
Il Cassiodoro, imponente come non mai, nella divisa nera dal morbido sentore di spigo, squadrò dapprima, con innato sospetto, mamma Trillozzo, poi Anaspasio, quindi Ash (chiedendosi chi fosse mai quello strano tipo peloso che vedeva per la prima volta) e da ultimo la pettorina.
Quindi, sgonfiandosi di qualche millimetro cubo, relazionò:
«Anche per me, dottore… se mi consente.»
«Già…» grugnì Julius che finalmente era in grado di poter intuire (anche se solo in minima parte) quale fosse l’importanza della pettorina.
«Aiuto!» flatulò l’Acàntore che stava per essere inghiottito dalla poltrona.
«Vergogna! Trattare in tal maniera una madre!» esclamò palpitante la Spazzamare raggomitolando il ricciolotto appena spirato.[space]
<– Un Capitano da favola –> capitolo ventinovesimo
–> Addio alle blatte –> capitolo trentunesimo