Si concentri e pedali!

«Avanti!!!» strillò in modo scortese il Morozzo.
«Posso entrare?» biascicò supinamente l’Avvocato Trito Acàntore inserendo, oltre la linea dell’uscio, la capace borsa-frigo ed un faccione da plenilunio estivo «se disturbo ritorno in un altro momento…»
Con rapidi movimenti del capo (ai quali seguirono generose aspersioni di forfora a scaglie) il Trito ispezionò sopra e sotto la scrivania alla ricerca del PM senza poterlo, però, individuare.
Morozzo si trovava in effetti nell’angolo più attrezzato del vasto ufficio, ove avevano avuto adeguata collocazione, con particolare cura, un’attrezzatissima mini-palestra, la sauna e il lettino abbronzante. Il Magistrato stava vogando in maniera vigorosa e maschia in calzoncini corti e felpa bruna (su cui si poteva leggere a chiare lettere ‘Fiamme Lamarmoresi’) cadenzando un espressivo ‘e… oh, e… oh’.
Alle pareti, poster a grandezza naturale di uomini, la cui superficie muscolare poteva misurarsi in ettari, sembravano apprezzare, sorridenti, quel sano e robusto sforzo fisico.
«Sul serio, se la incomodo, passo più tardi…» implorò l’Acàntore che era riuscito a localizzare l’interlocutore sprizzante di odoroso sudore.
«Ma no… Avvocato!» fece Morozzo balzando in piedi dal seggiolino di voga come spinto da una molla; detersosi il viso con l’asciugamano cifrato, se lo attorcigliò con evidente soddisfazione al collo minotaurico «più tardi ho i deltoidi da fare e poi, per quindici minuti, i quadricipiti… dunque è meglio che mi dica subito quello che vuole, così si sbriga e si toglie dalle palle…»
Il Trito, un passino per volta, mettendo avanti sempre, per primo, un incerto piede sinistro, tamponandosi nervoso sul panciotto i palmi stillanti pastoso umidore, si addentrò di un metro buono nella stanza del Sostituto.
«Qualora la questione oltremodo non dovesse urtare la sua sensibilità… avrei da proporle, in favore del dott. Mezzapassera, che ho l’onore temporaneamente di rappresentare, una ragionevole quanto rispettosa istanza di scarcerazione, essendo stata ormai accertata la sua reale identità… è una settimana che è rinchiuso in isolamento presso le locali carceri… se fosse tanto gentile da volerla considerare… per non tediarla la lascerei su questa panca…» e, barbugliandosi addosso, estrasse dalla borsa-frigo un foglio unto di focaccia ai cinque formaggi.
Il PM, che, disteso sul linoleum, contava a voce alta le flessioni sulle dita gagliarde, non pareva aver seguito una sola parola. I minuti si susseguivano lenti in un penoso impaccio per il professionista indeciso se ritirare la mano con l’istanza ancora attaccata o abbandonare l’una e l’altra sulla panca più vicina.
«Come dice Avvocato? Non la sento… parli più forte… che diamine… un poco di brio… su con la voce… esterni, esterni, non la mangio mica…»
«… dicevo che avrei da proporre per il dott. Mezzapassera una richiesta di rimessione in libertà… se non la infastidisse… mi accorgo che lei è molto impegnato…» provò a ribadire l’Avvocato alzando di qualche microdecibel il volume e con la mano ormai era irrimediabilmente protesa verso il Morozzo; l’istanza, accartocciatasi per la guazza da traspirazione abbondante, era divenuta probabilmente illeggibile.
«… ventisette… ventotto… ventinove… trenta!».
Dalla posizione prona, posando gli occhi sul Trito, il Magistrato sbottò arrogante:
«Certo che farebbe bene pure a lei tenersi in esercizio facendo del moto… visto che da quaggiù assomiglia più ad un tendone da circo che ad un essere umano; perdio, che zavorra di lardume che si porta a spasso!»
«Veramente non credo che…»
«Bastano poche ore al giorno sa? E si bruciano glucidi, calorie, radicali liberi… insieme a tutta la schifezza che la soffoca e la infagotta come una soprassata» stigmatizzò Morozzo tirandosi su senza alcuna fatica e cominciando, dopo aver adagiato l’asciugamano sul braccio dell’Acàntore, tuttora teso a sorreggere il documento, a menare colpi di boxe nell’aria.
«Io… sono venuto solamente per…»
«Un corpo sano è il tempio dell’anima… non mi ricordo chi lo disse, ma di sicuro aveva i coglioni… perdio, se aveva i coglioni… non trova Avvocato? Bisogna mantenere in forma l’involucro per preservare a lungo il contenuto… il capolavoro si vede anche dalla cornice…»
«… forse… sì… certamente… ma adesso non saprei proprio…»
All’improvviso, Morozzo si avvicinò al Trito e, mimando una mossa proibita di Kung-fu all’altezza del fegato, gli sfilò di mano, con un’astuta finta, la borsa-frigo pesante diversi chili per gettarla nell’angolo più lontano dell’ufficio con un fracasso di lattine e contenitori di plastica. Quindi il PM, dopo aver disarmato il professionista del foglio colloso e appassito, iniziò moderatamente a spintonarlo verso la cyclette.
«Su, provi… dia retta ad un esperto, dopo starà benissimo…»
«Non ritengo che sia questo il momento, sono venuto unicamente per la richiesta di scarcerazione e… ma, a proposito, dov’è finita?» iniziò a implorare l’Avvocato.
«Sì, sì ho capito, la sua istanza… più tardi scarcererò chi desidera lei, ma ora deve fare un po’ di bicicletta, vedrà che alla fine mi ringrazierà!»
«… alla fine di chi?» chiese il Trito tra il preoccupato e l’inquieto.
«Via, via, non sia così flaccido, non sia così sudaticcio… faccia sparire questo bel panettone di gelatina…» incalzava Morozzo assestando a mitraglia manate sulla pancia dell’Avvocato cui fece emettere un suono sordo di anguria matura «per tacere inoltre di queste gambacce devastate dalla cellulite… si faccia una bella mezz’ora ad andatura media e dopo si sentirà una meraviglia.»
«… io non le permetto…» ribatté l’Acàntore abbozzando una difesa poco convinta e capendo di non essere in grado di poter arginare, in alcuna maniera, la foga dirompente del Magistrato.
«… e poi, si tolga questa cravatta, levi questa giacca e la camicia che mortificano la carne e la libertà di movimento, lei ha bisogno di muoversi… muoversi… ha capito?!?» e così, imbonendo, iniziò a spogliare l’Avvocato facendo cadere, uno dopo l’altro, otto panini (di cui uno alla bresaola e speck, due al salmone marinato con salsa tartare e quattro al prosciutto di Praga con Caprice des Dieux) oltre ad un numero spropositato di cannoli, cioccolatini ripieni e torte della nonna.
«E questo che è?» sgridò il Morozzo allo scopo mirato di mortificare il Trito, che tirò a sé per un orecchio perché fosse costretto a rimirare quei profumati manicaretti.
All’espressione inebetita assunta dall’Acàntore che era pronto a giurare che non ne sapeva niente, il PM riprese senza pietà:
«… glielo dico io cosa sono… è tutto veleno, acidi urici, obesità galoppante, colesterolo… glicemia impazzita… lo sa lei cosa avevano in comune Pitagora, Socrate, Aristotele, Leonardo da Vinci e il Mahatma Gandhi?»
«E…e… erano tutti finocchi?»
«Macché finocchi! Perdio! Erano vegetariani! Come dovrebbe essere lei!» e cominciò a saltar sopra alle vivande sparpagliandole con le scarpe da jogging.
«NOOOO!!!» si udì un guaito disperato.
«Suvvia non mi faccia il bambino…» redarguì il Magistrato calando, per punizione, un’ennesima pacca sul dorso da orso baribal del Trito. E in men che non si dica, crollata ogni residua resistenza, il professionista si fece ulteriormente spogliare fino a ritrovarsi in maglietta della salute e mutandoni fantasia con disegni di ranocchie rosa e gialle.
«Adesso salga qui e, per favore, pedali…» esortò il PM spingendolo per il sederone ed issandolo a stento sul seggiolino.
«… ma poi mi tira fuori il Mezzapassera?» domandò rassegnato il professionista.
«Certo, certo… però pedali… prenda il ritmo… uno… due… uno… due… inspiri… espiri… inspiri… espiri… ecco così, bene, molto bene… si concentri sulla sua pinguedine e… ritmo… ritmo… un po’ d’amor proprio, sembra un rinoceronte in amore…»
E, per un attimo, il Morozzo se ne ristette a osservare con disgusto quella montagna di ciccia che tremolava come fosse un enorme budino sopra una lavatrice in centrifuga, incitando la sua vittima a non desistere.
Squittì il portatile sepolto nella sacca da tennis.
«Lei continui e non si distragga…» ammonì il Magistrato con tono da allenatore della nazionale dilettanti «pedali e si concentri, si concentri e pedali…» quindi, rivolgendosi al cellulare, che aveva estratto da un calzettone ancora umido, vi ringhiò dentro:
«PRONTO! Ah è lei sì, sì… mi dica, sì…» coprendo il microfono con una mano e parlando sottovoce in direzione dell’Avvocato «non si distragga per carità… guardi dritto… sciolto, deve stare sciolto, via quella faccia triste, via quel muso da triceratopo col mal di pancia!… Sia ottimista, si voglia bene… pensi che dopo si sentirà un cerbiattino che zampetta spensierato tra le margheritine!»
«… cerbiattino… margheritine…» ripeteva oramai meccanicamente l’Acàntore.
«Credo che forse sia meglio che venga lì io» riabbaiò il PM nel ricevitore «non è possibile che siate tanto incapaci, cacchio, dove andremo a finire… che vi si debba sempre dire ogni cosa… e se non ci fossi io? Eh? Eh? Siete dei buoni a nulla, ecco ciò che siete… degl’incompetenti, degli sciupapratiche… dei… dei…»
E riagganciò furioso, non venendogli in mente parole abbastanza offensive da dire.
«Se… se di-disturbo pa-passo in un altro mo-momento…» balbettò Trito con un fil di voce, grondando schiuma e con i polpacci ormai impietriti che andavano per conto loro sui pedali velocissimi.
«Non lo dica nemmeno per scherzo…» rispose accomodante Morozzo fiondando uno smataflone sulla coscia al polistirolo del Trito «usi la cyclette come fosse sua, quanto vuole e per tutto il tempo che vuole… è vero o non è vero che è una meraviglia?»
«U-na me-ra-vi-glia» cercò di riprodurre l’Acàntore, sentendosi mancare.
«Faccio un salto in segreteria a mettere in riga quella banda di senzacervello… non dovrei star fuori per molto ma, quando torno, sarò felice di mostrarle la scala svedese… la fune e i pesi… si ottengono miracoli con i pesi… sa?»
«Sì, sì… i pe-pesi…»
Appena il Magistrato uscì dalla stanza, poco mancò che la bicicletta non disarcionasse il Trito. Era paonazzo, con fiotti di sudore che gli zampillavano persino dalle scarpe e un principio di asfissia da preinfarto. Le gambe erano oramai, informi, rigide come due prosciutti fossili e con il peso specifico della roccia dolomitica. Persino la forfora gli si era incrostata sulla fronte come un elmetto. A fatica poté fermare i pedali e a buttarsi giù dal sellino nonostante le cosce avessero aderito completamente al cuoio lucido.
Se ne ristette a ginocchi semipiegati, il capo chino e una mano appoggiata ad un plinto per dieci minuti buoni. I capelli, come fettuccine sfatte, erano distesi fin quasi sulle narici spalancate come gallerie alla spasmodica ricerca di ossigeno, mentre il cuore gli pareva battere, alla bell’e meglio, un po’ dappertutto.
Rialzata la testa, il suo sguardo si perse nel gigantesco specchio che occupava metà stanza.
Fu l’attimo della verità.
In effetti, visto in quella prospettiva, in canottiera e mutandoni con motivi lacustri di dubbio gusto, con il grasso che sveniva in innumerevoli rotoli rincorrendosi esausti sotto una maglietta arretrata fino al doppio mento, doveva ammettere che era davvero ripugnante. Ebbe finanche, per tale sincero giudizio, un moto di spontaneo rigurgito. Con tutta onestà, non poteva proprio definirsi nemmeno un uomo passabile, quanto piuttosto un deforme bitorzolo su cui erano stati aggiunti, alla rinfusa e nell’ordine sbagliato, innumerevoli strati di carne (poca) e di lardo (troppo).
Stava commiserandosi sino alle lacrime, sicuro che, dopo quell’esperienza, avrebbe detto basta a quella sua esistenza pantagruelica, quando, dopo appena un paio di velati buffetti alla porta, questa si spalancò.
«Ho con me la sentenza cui ti accennavo ieri, Morozzo e…»
Era proprio la dr. Pamela Melapà.
Ancora oggi, seppure sia trascorso tanto tempo dall’episodio, risulta difficile valutare se, in quella tragica circostanza, fosse più sorpreso il Trito a trovarsi di fronte l’unica femmina cui in passato era rimasto, suo malgrado, legato da un’infinità di episodi che potrebbero, a buon diritto, ritenersi equivoci o se lo fu piuttosto la Melapà a vedersi l’Acàntore in boxer e canotta, ansimante e allucinato, che, con la lingua a penzoloni e la faccia color bordò, la squadrava con imbarazzante intensità.
E’ certo, comunque, che la donna mollò sul pavimento quanto aveva in mano, implodendo nell’ugola uno strepitoso quanto muto urlo le cui vibrazioni vennero registrate distintamente da alcuni sismografi satellitari . La donna prese subito a scappare all’impazzata e a casaccio per i corridoi del Palazzo, gridando frasi sconnesse e agitando braccia e gambe in modo alquanto scomposto.
Non si riuscì neppure a comprendere che cosa scattò, in quell’istante, nella mente del Trito; sta di fatto che, contro l’elementare logica di comportamento e del comune buon senso, si mise purtroppo ad andarle dietro, svestito com’era, gridando a sua volta:
«Aspetti, dottoressa, aspetti, le posso spiegare… le posso spiegare…»
Era giorno di udienza.
Centinaia e centinaia di persone assistettero stupefatti a quella incredibile scena.
Il Trito, benché incespicante nei mutandoni che continuavano, con insistenza, a scendergli fin sulle caviglie, lasciando intravvedere un’escrescenza amorfa e molliccia della grandezza di un pollice, sfrecciò come un fulmine davanti ad una batteria di fotoreporter che furono abilissimi ad immortalarlo con flash sparati a ripetizione (una foto a colori apparve in prima pagina il mattino seguente sul quotidiano ‘Lamarmora Oggi’ con un servizio a otto colonne).
Un gruppo di travestiti, fermati nella notte durante una colossale retata al Ministero e che transitavano per lo stesso corridoio, fischiarono ostentatamente in segno di approvazione per quello spettacolo fuori programma; qualcuno gli lanciò persino una giarrettiera rossa con un biglietto olezzante di gelsomino con sovra scritto un numero di telefono.
Ma non fu tutto.
Il Trito saettò anche sulle galosce del Serpi-Colonna che, con aria assai gessata e compunta, conscio del suo ruolo di Gran Moralizzatore discendentegli direttamente dalla carica a vita di Presidente dell’Ordine degli Avvocati, estrasse dalla toga, da cui non si separava mai, un quaderno nero a righe della Vª elementare, annotando con svolazzante calligrafia:
«A-c-à-n-t-o-r-e, d-i-c-i-o-t-t-o n-o-t-e d-i d-e-m-e-r-i-t-o…» poi, riponendo il tutto, sospirò:
«Il Consiglio deve sapere…»
Transitò davanti anche ad Albadea Bambi, che, uscendo da una segreteria (con uso di rivendita di frutta e verdura), ululò, al volo, digrignando i denti:
«Arrestate quell’uomo… arrestate quell’uomo…»
Insomma, una brillante carriera stroncata.
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