Arresosi alla tragica evidenza di dover convivere con quell’odore acre e pungente, il PM, si sprofondò nella poltrona di comando, stropicciandosi l’un l’altra le mani in quel suo gesto tipico da dittero infelice. E si calò così tanto nelle riflessioni circa l’intricato caso che lo occupava, che fu solo dopo un’ora di passeggiata che notò di essere uscito.
L’aria del crepuscolo era dolce e carica di odori primaverili, mentre le rondini eseguivano garrule, nel cielo abbrunato, i voli acrobatici imparati durante il corso invernale, per poi scendere a sasso a dissetarsi nelle acque assonnate del fiume Bu .
Le colline Terse, ammantatesi per tempo di un verde tenero che avrebbe fatto impazzire qualunque pittore che avesse voluto riprodurne il punto di sfumatura, stavano per essere inghiottite dalle ombre lunghe abbandonate da un sole distratto che, senza neppure troppo brontolare, aveva ben presto lasciato loro libero il campo. L’aria pulita rendeva ancora ben distinguibile la biforcazione delle Due Valli e, in lontananza, la caratteristica silhouette del Monte Cangiante.
Ma Julius non si avvide di tutto ciò trattandosi, come già si é avuto modo di accennare, di fatti giuridicamente inapprezzabili.
Era già da un po’ impalato di fronte ad un cartello, senza in realtà leggerlo, quando rintoccò un numero imprecisato di ore al campanile della cattedrale di S. Pasquino .
In quell’istante un pesantissimo dito gli picchiettò sulla clavicola sinistra minacciando di sfondargliela.
Si voltò sobbalzando.
Davanti a lui, un essere gigantesco e bronzeo, di oltre due metri e mezzo, con un enorme tricorno, lo dominava immobile.
«Mi tolga una curiosità: che caspita sta facendo lì???»
Il PM, benché fosse convinto, fino a quella sera, che niente nella vita potesse ancora stupirlo, sbigottì.
«Su giovanotto, non faccia quella faccia, mi vuol forse dar a bere di non aver mai visto una statua che si sgranchisce le gambe?»
«Veramente no…» replicò Julius tentando di tener salda la voce; il dolore acuto alla clavicola fu sufficientemente forte da persuaderlo che non si trattava di un incubo.
«E’ perché si vede che lei è un tradizionalista, non è aperto ai cambiamenti!»
«Trova?»
«Allora, mi vuol spiegare il motivo per il quale, da mezz’ora, sta fissando il mio cartello? Non sa leggere o è rincoglionito?»
«Ero soprappensiero…»
«Qual è il tuo nome caro?» domandò la Statua.
«Mezzapassera, Julius Mezzapassera…»
«Come ben saprà, io invece sono Sigismondo Pagnotta…»
Al PM non riuscì proprio di deglutire.
«Mi scusi se l’ho spaventata Mezzafolaga, ma c’è sempre qualche imbecille che si ferma qui per fare pipì sul mio basamento.»
«Mi chiamo Mezzapassera… Julius Mezzapassera… il Mezza è giusto è il volatile che è sbagliato… »
«La vera verità» proseguì l’Eroe senza dar rilievo alcuno a quella precisazione «è che, di tanto in tanto, ho bisogno di parlare con qualcuno: in questa piazza, non succede mai nulla, ci si annoia da morire! Guardi qui… ho messo su pancia… mi sto impigrendo! Proprio io che nell’assalto decisivo alla cittadella nemica, il 29 febbraio 1832, ho urlato ai miei commilitoni ‘non seguite me, seguite il vostro destino’ (il che, nella generale confusione ha convinto purtroppo i miei soldati a retrocedere piuttosto che avanzare verso il fuoco degli austriaci; per incitarli, ho dovuto lanciare al di là della trincea avversaria la mia dentiera, che tutti sapevano essermi costata tre stipendi da Capitano!)»
Lisciatisi i baffoni bronzei con un orrendo stridio di metallo e scintille, continuò:
«Ma meno male che ci pensano gli amici a farmi compagnia! Li conosce i miei amici?!?»
«Dovrei?!?»
«Ci riuniamo spesso da queste parti. Viene il tenente Tonio Cacciadenari, sa quello di piazza del Teatro; ci racconta gli ultimi pettegolezzi del paese (il suo piedistallo è, infatti, vicino ad una fermata dell’autobus) per quanto, per via della baionetta che ha tra i denti (e che non si toglie mai) si fa una gran fatica a capire quel dice… e poi… e poi… c’è il pioniere Trento Ammoccammocca, quello dello slargo omonimo: ha giusto un ridicolo paio di baffi da tricheco come i suoi; lui si ostina a portare con sé Anghelberta, la fedele giumenta, che, trasportando padelle, badili e latte di ogni tipo, fa un chiasso infernale quando cammina. Animale insaziabile quello! Si mangia i chiodi delle panchine e i bulloni delle cancellate: in tutta Lamarmora non c’è più una schifa di panca su cui appoggiare le chiappe. Infine c’è Coniglio di Pezza, l’esperta (si fa per dire) guida militare indiana, si ricorda? Quella della battaglia della Piccola Trota Selvaggia del 1842… Arriva quasi all’alba, non solamente perché sta in periferia, ma in quanto si perde tutte le volte…; comunque non spiccica una parola che sia una, si limita a guardarci fisso, con un’espressione da ebete. Non si riesce a sapere se non comprende la nostra lingua o se è soltanto muto o se, magari, non ha nessuna voglia di conversare con noi.»
Seguì un attimo di pausa durante la quale il Sostituto approfittò per ingoiare una goccia di saliva.
«Credo che, tuttavia, ciò non la interessi affatto vero giovanotto?» chiese il Personaggio notando l’inespressività del viso del PM «… posso chiamarti Julius, Mezz’aquila?»
«Il mio nome è…»
«Potresti essere il mio tris tris tris nipote!» gli troncò il discorso in gola il Pagnotta buttando sulle sue spalle un centocinquanta chili di braccio in bronzo.
Il Cipollone assentì un po’ seccato, non tanto per il peso insopportabile che gli stava torcendo le ginocchia, quanto per quella non richiesta ed eccessiva manifestazione di confidenza pur proveniente dall’Eroe più amato dai lamarmoresi.
«S’è fatto tardi» tagliò corto il PM cercando vanamente di raggiungere l’orologio che aveva in tasca «ora devo proprio tornare!»
«Devi sapere, mio caro Julius» ripartì il Pagnotta non curante dello sforzo del suo interlocutore «che non è facile essere Eroi, né prima per diventarlo, né tantomeno dopo…» quindi, cavandosi il tricorno e ponendoselo sul cuore con l’aria di voler pronunciare un solenne giuramento, proseguì «perché significa appartenere alla classe eletta delle Forze primordiali della Natura, udire il respiro dell’Effimero, riordinare le innumerevoli tessere dell’Armonia cosmica, essere consapevole del Tempo Immoto attraverso le cui screpolature trasuda il Flusso del Divenire … occorre, cioè, possedere quel qualche cosa di inacquisibile, di cromosomico ed ineffabile che costituisce la semplice, ma incommensurabile differenza tra uno come te e uno come… ME…»
«Insomma, una bella faticaccia!»
La Statua, si rimise il cappello in testa con rumore di tegame vuoto, spingendo nel contempo uno sguardo (vacuo ma) altero in direzione di un cielo eccezionalmente stellato.
Pure il Magistrato, imitandolo, levò il capo.
Così si vide che un non so che di baluginante, staccatosi all’improvviso dalla volta celeste, aveva cominciato a muoversi prendendo velocità. All’improvviso, nell’infinito interspaziale, sbucò da dietro una massa più scura un secondo puntino chiaro che, divenuto in pochi attimi opalescente, iniziò a tallonare il primo. Dopo un affannoso fuggi fuggi, l’inseguitore fu ben presto addosso all’altro. Il tutto svanì in un accecante bagliore.
«Ma sì vai… vai pure, Mezzagazza, gli Eroi sono sempre soli…»
«Egregio signor Pagnotta…» scattò Julius assumendo un tono aggressivo «lei deve capire che il mio nome…»
«Taci!» redarguì sottovoce l’altro bucando con gli occhi spenti la profondità della notte «sta arrivando qualcuno… sparisci che devo riprendere la mia collocazione nella Storia…» e così il Pagnotta, con insospettabile agilità, saltò rapido sul basamento in un clangore di ferraglia. Avvedutosi però che qualcosa gli mancava, tirando due moccoli da caserma, armeggiò ripetutamente alzando ed abbassando il tappetino di marmo rosso di Seravezza, steso sotto la sedia poltronata. Raccolta finalmente la pergamena , che si era incastrata tra alcune sciabole, l’afferrò con superba dignità. Quindi si sedette ricomponendosi in un atteggiamento bellicoso e fiero.
«E non farti più beccare da queste parti a pisciare sul mio monumento!» profferì l’Eroe a mo’ di viatico «d’ora in poi ti terrò d’occhio!» poi, sorridendo, (almeno così sembrò) «grazie, comunque, per la gradevole chiacchierata…»
Il Cipollone fece per allontanarsi perplesso quando si arrestò come fosse rimasto agganciato al monumento:
«Signor Pagnotta, Signor Pagnotta!!!»
«Che vuoi ancora!?!»
«Guardi che ha sbagliato tutto!!! Lei deve stare in piedi tenendo il Cartiglio nella mano sinistra e non, al contrario, star seduto sulla poltrona con il Cartiglio a destra… ach… e la carriola, che adesso è vuota, deve portare il ferito e rimanere rovesciata al suo fianco e…»
Ma Julius fu interrotto dallo scalpiccio dei passi di una persona che, transitando in fretta e poco distante di lì, si era soffermato a squadrarlo malamente per averlo sentito parlare da solo con una statua. Il Pagnotta, immobile e compreso nel suo ruolo, aveva assunto la postura consueta (o quasi), nel classico aplomb da imperituro Eroe.
Al PM non restò, allora, che riprendere, meditabondo, la strada del Palazzaccio.
‘Così è tutto sbagliato’ andava ripetendosi ‘se ne accorgeranno, se ne accorgeranno particolarmente per la carriola’.
Poi si ribloccò di colpo.
Un sorriso (storto) diede una smorzata al buio.
«CERTO!!! Perché non ci ho pensato prima!» scoppiettò come un caminetto di campagna «la carriola! La carriola!»
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