L’eccellenza si impone infatti di per sé, a prescindere da ciò che in concreto si fa e dall’interesse che per quella stessa attività può avere chi la osserva. Un artigiano può saper costruire un oggetto che non vorremmo mai a casa nostra ma che nonostante ciò evidenzia ai nostri occhi una sua grandezza; uno sportivo alle Olimpiadi può dimostrare di essere l’unico al mondo ad avere quella data abilità in una disciplina che mai e poi mai praticheremmo, eppure siamo lì ad ammirarlo per la sua bravura.
L’eccellenza ha un suo fascino trasversale, misto a stupore e meraviglia per quel che rappresenta e significa; è la massima espressione di una capacità umana che, in quanto tale, ci è così vicina ma nel contempo è altrettanto lontana, sicché il gesto è estremo, iconico, emblematico, al di là di ciò che giudichiamo normale, finanche di quel che riteniamo possibile, tanto da apparire inarrivabile, oggettivo, definitivo nella sua bellezza e plasticità.
Ed è allora un piacere osservare il grande centometrista o il tennista funambolo che colpisce la pallina facendosi beffe della forza di gravità, così è un godimento leggere ciò che scriveva e diceva il grande scienziato o lo scrittore o il pittore o ascoltare a distanza di secoli il musicista che ha saputo abitare e muoversi in mondi che solo lui ha visto o sentito, artisti che ci hanno permesso di intravvedere tali dimensioni irraggiungibili attraverso le emozioni fortissime che ci hanno saputo trasmettere.
Ma l’eccellenza non è solo dei grandi è anche della gente cosiddetta comune. Di quella che ha saputo interpretare la propria esistenza al massimo livello con il proprio esempio e la propria dedizione.
Perché, dice tra l’altro il libro che raccomando per quello che insegna, ognuno può fare la differenza, reinventando continuamente la propria vita in modo positivo e ognuno, soprattutto, può dare il massimo in quello che fa ed essere straordinario nella sua ordinarietà.
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