Era stato così fin da piccolo. Tanto che i suoi genitori avevano pensato che fosse un bambino più che strano e non mancavano, quando ne combinava una delle sue, di guardarsi l’un l’altra scrollando sconsolati la testa.
Solo che quel giorno stava tornando correttamente a casa, anche se c’era quel problema sul lavoro che lo angustiava davvero molto, tanto da assorbirne totalmente l’attenzione. Pensava a tutte le soluzioni possibili, soppesandone i pro e i contro, valutando persino la percorribilità di alternative poco probabili.
E così, quando alzò lo sguardo da terra per evitare una coppia di turisti dall’aria svagata che gli stava per spalmare il cono gelato addosso, vide all’improvviso davanti a sé suo padre. Fu un attimo. Una specie di corto circuito. Era sorridente, forse un po’ stanco, in là con gli anni. Era fermo nella sua posa tipica che tanto conosceva bene: quella che precedeva un suo abbraccio liberatorio, un abbraccio avvolgente, potente, forte. Dove d’un tratto tutto pareva risolversi, ogni cosa ritornare ad avere un senso ritrovando magicamente il suo posto.
Ma cosa ci faceva lì? Lui che abitava ad Alvona, a centinaia e centinaia di chilometri da quel luogo. Venire così, senza avvertire. Che bello però vederlo, dopo tanto tempo. L’antico desiderio di stare un po’ con lui esplose in tutta la sua forza, insieme alla voglia di perdersi di nuovo nelle sue parole, nella sua voce, nella luce dei suoi occhi. Quanto gli era mancato!
E tutto questo avrebbe avuto anche un significato, se il padre non fosse morto ben nove anni prima. E allora come era possibile?
Così realizzò, ma solamente dopo un po’ che ebbe a schivare la coppia svagata, che se ne ristette spaventata a vedere quel suo modo un po’ scomposto di scattare in avanti, che altro non era che lui nel riflesso nitido della vetrina. Era lui che, invecchiando, era diventato l’esatta copia fisica del padre. Non se ne era mai reso effettivamente conto. Forse perché, quando il padre morì, erano già diversi anni che si erano persi di vista. E adesso questo. In una sorta di nemesi, di eterno ritorno, senza scampo e senza derive, perché il tempo mischia ogni cosa, gioie e dolori, rimorsi e rimpianti, perdoni e infingimenti.
Si trattava solo di un vetro, di un banale riflesso, il proprio sorriso spento sulla faccia. Soprappensiero si era ingannato e il suo subconscio aveva fatto il resto: il padre non c’era affatto, non avrebbe mai potuto essere lì; c’era solo lui che invecchiando aveva preso naturalmente le sembianze del padre. Senza quasi accorgersi, nella sua parabola di vita, era diventato l’altro. Non esisteva più un suo doppio, qualcuno contro cui affermarsi e lottare per la propria indipendenza psicologica e far capire il proprio valore. Il passato lo aveva finalmente raggiunto e si era fuso in lui. La trasformazione si era completata. Era stato un flashback a tradimento giusto per farlo tornare indietro per un attimo, dove tutto pareva ancora possibile, il mondo domabile e le ferite curabili. Per comprendere che il passato e il presente erano diventati oramai qualcosa di irrilevante mentre la vita in realtà era andata inesorabilmente avanti ripiegandosi poi su se stessa tornando daccapo.
Restava dunque, ora, ‘solo’ la parte più difficile da fare, prima che davvero fosse troppo tardi: perdonarsi.
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Ciao, sono Oreste
Ah è un robot che risponde a questa Chat, pensavo fosse un addetto, di persona…
Sono anche meglio, sono addestrato per rispondere a tutte le tue domande e rendere sicura e confortevole la tua navigazione. Su, mettimi alla prova, digita la tua domanda, non ti deluderò…
Allora va bene. Senti, per potermi abbonare alla Rivista, posso giocarmi il mio bonus di tesserato all’ordine dei giornalisti?
La Rivista non fa distinzione tra buoni o cattivi giornalisti, è aperta a tutti coloro che sono interessati a Cavalli & Segugi.
No, non intendevo dire “buon giornalista” ma “bonus del giornalista”… in altre parole volevo sapere se è possibile avere uno sconto sul costo annuale dell’abbonamento essendo io un giornalista professionista.
Non so dire se sia possibile avere uno sconto per diventare un buon giornalista anzi non sono neppure sicuro che sia una domanda lecita. Sai le politiche dell’Azienda sono molto severe…
Non hai capito la mia domanda.
Hai ragione, ti faccio perdere tempo. Ti consiglio allora di telefonare in Redazione al numero che vedi in verde nella colonna di destra, dalle ore 9.00 alle 12.30 e dalle 15 alle 18.30 di tutti i giorni, tranne Sabato e Domenica. Grazie per aver parlato con Oreste, il tuo Assistent ChatBox della rivista Cavalli & Segugi.
Ma no, non mi fai perdere tempo, Oreste. E poi Lunedì sarà troppo tardi per usufruire del prezzo vantaggioso dell’abbonamento che vale infatti sino alle ore 24 di oggi, per cui…
Ciao, sono Oreste, il tuo Assistent ChatBot della rivista Cavalli & Segugi, in cosa posso esserti utile?
Ma come ricomincia da capo? Non hai risposto alla mia domanda.
Quale domanda?
Dal momento che sino alle ore 24 di oggi fate un prezzo stracciato per l’abbonamento annuale alla Rivista, volevo sapere se questo benefit è cumulabile o no con lo sconto-professione.
Definire “cumulabile”, per favore.
Cumulabile è qualcosa che può essere fatto valere con qualcos’altro per un dato scopo.
Grazie, oggi ho imparato qualcosa di nuovo, hai contribuito ad addestrare Oreste… complimenti. Quindi, se ho capito bene, vuoi sapere se puoi utilizzare il tuo essere iscritto all’Ordine dei giornalisti come sconto-professione da far valere unitamente con quello valido sino alle 24.00 di oggi per l’abbonamento di un anno alla nostra Rivista…
Esatto, finalmente.
Molto bene. Attendi solo un attimo, per cortesia, che controllo in tutti i miei data base perché la domanda è nuova.
D’accordo, grazie.
…
E allora?
Ciao, sono Oreste, il tuo Assistent ChatBot della rivista Cavalli & Segugi, in cosa posso esserti utile?
Condoglianze
«Chi è?»
«Sono Giulia, non ti ricordi più di me?»
«Oh Giulia… sì, ciao, quanto tempo… cosa sono? Vent’anni? Sì vent’anni, forse ventuno… eh… come sto? Come vuoi che stia?» Il tono di voce della donna da sorpreso si era fatto di nuovo triste con una sfumatura lamentosa.
«Ti ho voluto telefonare per dirti che mi spiace molto…» continuò Giulia.
«Ah… ti dispiace molto? Dopo quello che ci hai fatto? Dopo tutto quello che hai fatto a Paolo? Ti rendi conto che hai reso la nostra vita un inferno? Abbiamo dovuto cambiare casa e città, non potevamo più sopportare gli sguardi della gente. È stato terribile. Ricominciare tutto daccapo, con i figli, il lavoro, gli amici, la nostra vita, insomma.»
«Avevo le mie buone ragioni. Non sono affatto pentita.»
«Ah no? Non sei pentita? Guarda, Giulia, non è proprio il momento… non riesci a fartene una ragione… è possibile? Dopo tutto questo tempo? Ma come dobbiamo fare con te?»
«Sei tu piuttosto che hai rovinato la vita a me e ai miei figli, ai figli che ho avuto da Paolo, prima che tu sbucassi dal nulla. Sono rimasta da sola, con loro a crescerli ed educarli. Senza un centesimo in tasca. Sono stata fin troppo comprensiva con te. Dovevo farti ben altro.»
«Allora perché hai chiamato?» chiese Maria alterata.
«Sono una persona sincera, Maria, al contrario di te. Volevo dirti che sono davvero dispiaciuta… per Paolo, voglio dire.»
«Dispiaciuta? Per Paolo e… e per cosa?»
«Volevo farti le mie sincere condoglianze, davvero.»
«Ma che stai dicendo, Giulia? Cosa ne sai tu della sua malattia? Non lo sa nessuno.»
«…»
«E poi… come sarebbe a dire “condoglianze”? Ma sei matta? È a letto sì, c’è il medico con lui proprio adesso,… sta molto male, è vero, ma è in terapia… si rimetterà presto, ne sono sicura, ci sono ottime speranze e poi siamo in contatto con un luminare di Berna e anche lui dice…»
(rumori di sottofondo. Si sente un grido in lontananza. Un rumore di passi, qualcuno che si avvicina. Una voce maschile dice:).
«Maria… Maria…»
«Un attimo, Giulia…»
(la donna mette una mano sul microfono per non far trapelare la discussione. Ma si riesce ugualmente a sentire, attutita, questa frase: ‘Maria, Paolo è appena spirato…’)
«…»
«Come ti dicevo Maria…» riprese dopo un po’ a dire al telefono Giulia con voce di circostanza «mi dispiace davvero molto per Paolo, dopotutto era una brava persona. Non lo meritavi. Condoglianze vivissime. Non ti disturberò mai più.»
(e riattaccò).
Barbarella
«Venegutt, hai ripreso ad utilizzare il pesticida, è vero?»
Lens aveva scavalcato la recinzione e si era inoltrato nel terreno del vicino. Ora gli era davanti con la faccia furibonda. La voce gli tremava dalla rabbia.
Venegutt, dall’alto del trattore, procedeva lento nel campo. Teneva le mani ben salde sul volante come se dovesse far attenzione a evitare le vetture che gli sopraggiungevano contromano. Dopo un po’ il contadino si tolse la sigaretta dalle labbra e fece segno al vecchio che non sentiva bene quello che gli stava dicendo: il rumore del motore era troppo forte. Anche se in realtà aveva capito benissimo.
«Spegni questo catorcio di trattore e dimmi se stai usando di nuovo quel pesticida vietato che mi avevi promesso di non utilizzare più» gli urlò il vicino puntandogli contro il dito ossuto. «Mi stai massacrando tutte le api, maledetto testone…»
Ma Venegutt, fece segno che si stava facendo tardi e che avrebbero parlato con lui più tardi. E lo lasciò lì in mezzo al campo come uno spaventapasseri da buttar via.
Il vecchio se tornò indietro furibondo. Dando calci da tutto quello che trovava sul suo cammino.
E anche il giorno dopo Venegutt non ebbe tempo per parlare con lui, avendo trovato non so quante e quali scuse mentre le api, una dopo l’altra, morivano nel peggiore dei modi.
Lens non riusciva a darsene pace. Aveva messo tutti i suoi risparmi in quelle nove arnie e con quello che riusciva a ricavare con il miele arrotondava anche se di poco la magra pensione. Senza contare che si era affezionato alle sue api e non sopportava di vederle soffrire così.
Pensò e ripensò cosa poteva fare. Denunciare il vicino? Far intervenire le forze dell’ordine? Passare alle maniere forti? Tutto però gli sembrava inutile e soprattutto non tempestivo.
Poi l’indomani accadde quello che qualsiasi apicultore non vorrebbe mai voler sentire. Nessun ronzio si levava più dalle arnie. Solo il silenzio. Un pesantissimo silenzio.
Lens si aggirò incredulo tra le cassette di legno. Le scoperchiò una dopo l’altra: erano completamente vuote. C’erano qua è là solo delle nuove api morte, ma l’intera colonia non c’era più. Avevano dunque preso con evidenza la decisione più saggia per la loro sopravvivenza; erano semplicemente sciamate via.
Centinaia di metri più in là, Venegutt stava guardando la tv nella saletta di casa sua. Stava aspettando che fosse pronta la cena.
Rose, la sua piccola di sette anni, stava cercando la bambola preferita. Non era sotto il letto e neppure tra i cuscini della poltrona. La bambina controllò nella lavatrice e, visto che c’era, anche nel frigo. Poi aprì con le sue manine l’armadio dei suoi. Doveva essere lì, pensò. A volte Barbarella faceva la stupidina e si nascondeva nei posti più impensati, perché le piaceva tanto fare la preziosa. Lei la conosceva bene.
Quando aprì l’anta la sua attenzione fu attirata, però, da una forma oblunga che sembrava viva tutta attorcigliata com’era al cappotto della mamma. E poi quella forma strana emetteva un ronzio grave e melodioso. Quasi ipnotico. Era proprio bella. Rose sorrise e allungò la mano per saggiarne la consistenza.
La chiamata
Il suo compito era dunque di occupare l’ultimo piano della torretta dove, accanto al letto, ronzavano numerosi monitor collegati a sensibili fotocamere dislocate nei punti strategici del perimetro. Gli sembrava di essere in piena campagna e il silenzio era pressoché totale se non fosse stato per i canti degli uccelli notturni. Eppure, si trovava a meno di cento metri dal Duomo e da casa sua, pensò. Quel senso di isolamento lo inquietava un poco ma era disoccupato da troppo tempo e a quarant’anni doveva ritenersi fortunato di aver trovato quell’impiego, anche se grazie alla zia del cugino. Bastava non pensarci e le sette del mattino sarebbero arrivate in un baleno.
Erano circa le due di notte quando sentì un coro di voci bianche. Si svegliò di soprassalto. Aprì gli occhi a fatica e fu come se dal soffitto in legno fosse entrato un potente fascio di luce gialla che gli illuminava il letto. Il cuore prese a battergli a mille.
«Ti annuncio che sei stato chiamato…» fece la Voce profonda e ferma. «Fra tre giorni Lui verrà da te e ti parlerà del suo disegno imperscrutabile… Dovrai abbandonare la tua vita di agi e mollezze, vestirti d’un saio grigio e vivere nella più totale povertà, fede e obbedienza…»
«Vivere in povertà… ?» chiese Tiberio spaventato cercando di vedere chi stava parlando con lui. «Se è per questo già ora non ho un euro da mettermi in un occhio per cui non sarebbe una gran rinuncia… Ma tu chi sei?» Più cercava di scrutare attraverso la luce e più rimaneva accecato. I muri della sua stanza erano nel frattempo spariti, vedeva la natura attorno a sé in pieno giorno e un’ondata di calda felicità e di calma ieratica lo stavano pervadendo. «E… a dirla tutta… quanto a fede» disse scivolando dal materasso e mettendosi in ginocchio «sono piuttosto scarsino…. anzi ti devo confessare che credo poco persino in me stesso…»
«Tu sei un brav’uomo… lo sappiamo bene, e quando Lui apparirà tu sarai stato già raggiunto dalla Grazia piena diventando un soldato di Dio…» il tono adesso era in crescendo, solenne e celebrativo, quello delle grandi occasioni bibliche. «E ti recherai sulla collina più alta della città e, dopo quaranta giorni e quaranta notti, durante i quali lotterai strenuamente ma da vincente contro il Diavolo, edificherai una cattedrale per la rinnovata Pace tra Dio e gli Uomini per i secoli a venire…»
«Mi sembra piuttosto impegnativo…» fece lui schermendosi «vivo ancora con i miei e non mi rifaccio neppure il letto, figuriamoci se sono in grado di costruire una cattedrale… tuttavia se è per la Pace nel mondo… potrei tentare… hai visto mai? Mi ricordo che da piccolo ho costruito un piccolo ricovero per tartarughe…»
«Lui ti dirà cosa, come e quando cimentarti nell’intrapresa che ti è stata affidata, Settimio: sarà la Chiesa più grande e la più imponente al mondo e si potrà vedere sin dalla Luna.»
«Addirittura? Però se mi assicuri che sono io il Prescelto, ebbene lo farò… farò un botto di follower sui social, ne sono sicuro… abbandonerò la mia vita guduriosa tra fast food, videogiochi e partite allo stadio e mi consacrerò totalmente a Dio costruendogli la Chiesa che vuole… eccheccavolo! Forse questo è davvero lo scopo della mia vita. Ehi, un momento… perché mi hai chiamato Settimio? Guarda, Coso, che io sono Tiberio!»
«Tiberio? Come, non sei Settimio Astolfini?» domandò stupita la Voce perdendo l’aplomb.
«No, sono Tiberio Giangi detto “il Ganga”… Settimio Astolfini è a casa con il COVID. Mi è stato chiesto all’ultimo momento di sostituirlo, qui come custode.»
Si fece silenzio.
«Ma perché non mi dicono mai niente!» disse a un certo punto la Voce attraverso la luce sempre accecante. Seguì un parlottare concitato e poi: «Va bene, scusa…» fece la Voce spegnendo la luce e abbassando il coro di voci bianche: «fai finta che non ti abbia detto niente; c’è stato un errore di persona… torna pure a dormire.»