Il tappo viola – Dietro al racconto

Il racconto “Il tappo viola” nasce dalle problematiche agitate in questi giorni dalla legge di bilancio in corso di discussione. È una esasperazione dei toni conseguenti alla ricerca dei partiti di governo di sempre nuovi fondi per la realizzazione dei progetti di programma.

Anche se il progresso tecnologico nelle biogenetica non permette a tutt’oggi di poter prevedere con un margine di quasi certezza la durata della vita di una persona (ma neppure in modo approssimativo), non mi pare tuttavia che un simile obbiettivo sia così tanto lontano dall’essere realizzato, o quanto meno non lo è più dell’andare su Marte (con buona pace di Elon Musk).

E non riesco a immaginare quale potrebbe essere l’esatto impatto di una simile (nefasta) predittività sulla nostra economia (penso alle assicurazioni sulla vita, alle concessioni di mutui, agli avanzamenti di carriera). Si griderebbe subito allo scandalo per una eventualità simile e poi magari, piano piano, pur non rendendo obbligatorio per tutti un simile accertamento, in quanto occorrerebbe modificare troppe norme attualmente in vigore (si pensi innanzitutto alla legge sulla privacy) alcune probabilmente anche di rango costituzionale, troverebbero il modo si assegnare dei vantaggi economici (sotto forma di sconti o di riduzione di tasse) a chi vi si sottoponesse. Ma non sarebbe nulla di buono.

Il racconto riecheggia le tematiche care a “Il fu Mattia Pascal”, celebre romanzo di Luigi Pirandello del 1904, in particolare là ove si fa riferimento alla concreta eventualità che la morte civica prevalga su quella reale creando una serie, spesso inarrestabile, di conseguenze.

Nella storia “Il tappo viola” tuttavia questo aspetto del sovvertimento ufficiale della vita del protagonista diventa ancora più paradossale perché anche se sempre frutto di un errore, a negare che Arturo Mezzabaracca sia vivo non è in realtà l’apparato burocratico ma un computer che, nell’analizzare il corredo genetico, ne sancisce il (già avvenuto) decesso.

Il tappo viola della provetta di Arturo (che dà il titolo al racconto), almeno nell’accenno che ne fa l’impiegata, inserisce nel racconto un elemento di dubbio circa la trasparenza dei criteri di valutazione del DNA, criteri che, come si comprende tra le righe, non sono noti o non lo sono del tutto a chi li subisce. L’algoritmo di valutazione potrebbe essere in altre parole pilotato a uso e consumo delle “politiche” di chi ha inventato il Sistema giusto per escludere dalle risorse dello Stato i “non desiderati”. Nel racconto questo tema è solo accennato in quanto il suo sviluppo avrebbe richiesto molto più spazio narrativo, uscendo dai limiti del blogtale (–> cos’è il blogtale). Se ne fa cenno qui per completezza.

In un primo momento avevo pensato di intitolare il racconto CMP (Certificato di morte predittiva) ma mi è poi sembrato di minor impatto rispetto a “Il tappo viola” che accende una piccola luce sul tema della profilazione indebita dell’Utente.

I termini “Utente“, “Signore“, “Certificato di morte predittiva“, il comportamento algido dell’impiegata e il suo sciorinare meccanico di tutta la procedura cui è stata sottoposta la provetta di Arturo, mira a creare una sorta di atmosfera “da alienazione” dove è sempre più evidente (a mio avviso) lo scollamento tra società gestita da computer e la società fatta da persone, e questo in nome del progresso e dell’efficienza.

La suddivisione della storia in due parti si è resa necessaria affinché la prima rendesse chiara ed esplicita la seconda.

L’immagine di apertura della storia è ancora una volta un wallpaper (e in questa pagina è riportato un particolare) e ricorda, con il rinvio al foliage, la fase della vita del lavoratore che dovrebbe sfociare nel trattamento di quiescenza. L’immagine più sopra, al centro e a sinistra, è quella invece di una “sala server” e quella qui a destra di una “provetta dal tappo viola”.
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