Kamurdesen – Dietro al racconto

Il racconto Kamurdesen nasce dalla libera rielaborazione di diversi episodi di vita varia (anche se quello principale del tizio che guida al posto dell’autista è di pura fantasia) che, prendendo l’autobus per andare a lavorare, quotidianamente si impongono alla mia attenzione. È un teatro vivo, a volte bizzarro e inconsueto, ma non per questo meno vero e comunque fonte di mille idee.

Perdabal’ è una espressione milanese che vuol dire fannullone/nullafacente, persona che parla a vanvera (è metaforicamente colui che “perde le balle” in quello che fa).

Anche le altre espressioni denigratorie che utilizza l’uomo dalla t-shirt (che poi apprendiamo essere il suocero dell’autista del bus) sono prese a prestito dallo stesso dialetto lombardo, tradendo la provenienza dell’unico protagonista che nella storia parla.

Lo stile del racconto risente molto (come spesso mi accade) della attuale lettura del libro dell’ottimo Alessandro Robecchi Dove sei stanotte della saga Monterossi/Falcone (di cui ho apprezzato tantissimo Follia Maggiore).

Il titolo (Kamurdesen) fa riferimento a uno dei segni convenzionali tipici del gioco della briscola (il gioco a carte per cui l’uomo con la t-shirt della storia si reca al bar) con cui il componente di una squadra comunica all’altro di avere l’asso di briscola (il “segno” consiste in una strizzatina d’occhio).

La foto della pagina che contiene la storia è tratta da internet e raffigura persone anziane che giocano, appunto, a briscola; è stata trattata con il programma di fotoritocco digitale “Prisma” in modo da farla sembrare un quadro.
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