L’ultima cosa che ricordo – Dietro al racconto

Il racconto, L’ultima cosa che ricordo, è l’applicazione concreta della tecnica ideativa di cui ho scritto altrove (–> Il testo seducente).

Avevo infatti in mente da qualche giorno alcuni “fotogrammi” fissi che vedevano come protagonista un impiegato che entra nell’ufficio del suo Capo: mentre si trova in quella stanza, la luce, a un certo momento, si spegne e accade qualcosa che fa diventare lo stesso impiegato un protagonista della vicenda. Questo a grandi linee. Ancora non sapevo in realtà cosa e come “far girare” la trama in modo che funzionasse.

Così ho cominciato a scrivere, immedesimandomi nella situazione sino a quando non è stata la stessa situazione, mentre la mettevo nero su bianco, a suggerirmi la storia.

La trama può essere interpretata in due modi: o l’assassinio è avvenuto ad opera di qualcuno che già si trovava nella stanza insieme al Direttore per cui il nostro impiegato ne verrà incolpato (ingiustamente, visto che del killer non ve ne sarà traccia) oppure l’assassinio è opera dello stesso nostro impiegato che poi si è inventato, autoingannandosi sulla vicenda, la storia della presenza di una terza persona nella stanza.

La storia sembrerebbe raccontata (dallo stesso impiegato, non si sa quanto tempo dopo e dove) seguendo la traccia di questa seconda versione accreditando così anche l’ipotesi che il protagonista possa allora essere uno schizofrenico grave alla Norman Bates di Psyco.

La circostanza secondo cui, quando entra nell’ufficio del Capo l’impiegato non riesce a vedere chi c’è per via della lampada bloccata che lo abbaglia, è introdotta per avvalorare però la prima ipotesi, mentre il fatto per il quale il buio in cui l’uomo si è venuto a trovare per il verificatosi corto circuito risulterà in realtà fittizio (quando entra a sua volta nella stanza, Ottavia, si limita infatti ad accendere la luce e a sorprendere l’impiegato al buio) avvalorerebbe infine la seconda soluzione.

Stavo peraltro per chiudere il racconto e pubblicarlo quando ho pensato di inserire un ulteriore particolare, quello del bicchiere d’acqua gettato in faccia all’impiegato quando ancora si trova al buio, giusto per fargli poi scoprire, nel finale, che non di acqua si era trattato bensì di sangue.

Quando Ottavia vedrà il corpo del Direttore a terra, pugnalato alla schiena, e l’impiegato sporco di sangue, l’illusione (alla Hitchcock o alla Ellery Queen) che sia lui l’assassino sarà totale.

Quanto al titolo, “L’ultima cosa che ricordo”, vuol sottolineare che dopo l’entrata di Ottavia nella stanza e la scoperta da parte sua del cadavere (e dell’assassino?), scatta una sorta di black out mnesico del nostro protagonista. Con tutto quello che ciò può voler significare.

L’immagine in apertura del racconto è una figura astratta ed è stata scaricata da un sito di wallpaper.
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