Del film mi è rimasta l’atmosfera di chi ritorna dopo tanto tempo nel paese natale e prova il disorientamento di non riconoscere più il posto; mentre del libro, ho mutuato il linguaggio asciutto, tagliente e scarno ma immaginifico dello stile unico dello scrittore americano.
L’idea per la trama mi è venuta invece visitando un cimitero — che sembrava abbandonato — a Tromsø, in Norvegia, l’estate scorsa. Si trovava all’ombra di una chiesetta: l’atmosfera era triste più che lugubre. Dispiace sempre constatare di come i vivi si possano dimenticare facilmente di chi è vissuto prima di loro e per loro.
Quanto alla storia vera e propria, in un primo momento avevo in realtà pensato di articolare la trama in modo che il contadino fosse il custode del cimitero e che, avendo constatato che da tempo nessuna andava più a porre un fiore sulla tomba del caro estinto, ne aveva ricavato un orto. Il visitatore del racconto doveva invece essere un uomo alla ricerca della tomba del padre tornato al paese dall’estero dopo una lontananza trentennale.
Una trama di tale tipo presentava però delle incongruenze narrative di fondo non risolvibili oltre all’inconveniente (grave) di svelare immediatamente al lettore quello che avrebbe dovuto essere invece scoperto da ultimo, vale a dire che l’orto era stato ottenuto usando l’area consacrata del cimitero.
La fotografia di apertura della pagina del racconto è una mia foto scattata ieri nel reparto ortofrutticolo del supermercato di Collefili e raffigura, ovviamente, delle zucchine globose (o tonde: le cosiddette rondini tondo di Nizza).
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