Occorre distinguere innanzitutto, in caso di difficoltà creativa, tra l’ipotesi che l’impasse sia contingente, momentaneo, ovvero una condizione permanente.
Se la mancanza di idee perdura da diverso tempo le ragioni potrebbero essere le più varie: un esaurimento della vena creativa, l’esser venuto meno l’interesse o la voglia di scrivere, il non aver più niente di interessante da dire e altro. Per queste cause forse l’unica strada è cercare di prenderne coscienza e farsene una ragione (–> Un esame di coscienza prima di mettersi a scrivere).
Ma il blocco potrebbe anche avere una origine fisica o psichica: non stiamo bene e non lo sappiamo, siamo molto preoccupati per qualcosa che ci sta accadendo e non ce ne rendiamo conto.
L’interdipendenza tra creatività e disturbi psicosomatici è da tempo nota e studiata, parlarne qui porterebbe troppo lontano (per quanto creatività e psicopatologia a volte, al contrario vanno proprio a braccetto, –> Creatività e psicopatologia). Potrebbe invece essere utile discuterne con qualcuno, magari con una specialista del settore o con il proprio medico di fiducia.
Qualora invece la difficoltà di costruire un racconto sia solo momentanea e si abbiano delle scadenze da rispettare (un racconto da consegnare a chi de lo ha commissionato, un post da pubblicare, un articolo da inviare a un giornale) le metodologie cui ricorrere sono tante.
È bene però chiarire in via preliminare alcuni concetti di base: in primo luogo occorre tener presente che i racconti, così come i romanzi, ruotano normalmente intorno a un’idea centrale, originale, accattivante, di segno forte, su cui l’Autore innesta altre idee secondarie, subordinate, derivative, come può accadere per un albero che fa dipartire dal proprio tronco, dopo averlo ben radicato a terra, rami primari e secondari.
C’è, in altre parole, sempre un nucleo vivo, un seme germinante, primogenito, da cui far partire tutto il resto anche quando sembra che vi siano storie parallele o fuori asse rispetto alla linea temporale principale o tanti personaggi che si muovono sulla stessa scena.
Questo non significa che basti un’idea striminzita per costruire un romanzo di cinquecento pagine. Tutt’altro. È evidente che sia necessario un impianto ben più strutturato di una sola idea per scrivere qualcosa di complesso, tuttavia un’idea iniziale, soprattutto quando valida ed efficace, è un solido e concreto punto di partenza per quanto minima sia ed è sufficiente per poter intraprendere il percorso narrativo che ci siamo prefissati. ‘Anche un viaggio di mille miglia inizia con un singolo passo‘, ebbe a dire Lao Tzu, –> Lao Tzu).
Il secondo aspetto da tenere a mente è che la creatività non è quasi mai legata al pensiero sequenziale bensì a quello analogico, associativo, dove il collegamento tra un’idea e un’altra è costituita da una sinergia non logica e razionale ma per saltum, inferenziale, relazionale, parallela, persino improbabile (per quanto possibile) ma tale da connettere elementi distanti tra loro.
Se penso per esempio a un gatto che entrando nella cucina di casa si dirige verso la ciotola della pappa, penso a qualcosa di ordinario, scontato, normale. Se invece immagino un gatto che, entrando nella cucina, trova una volpe con il muso nella sua ciotola ecco che inserisco una ‘frattura’ nell’atteso creando attenzione e curiosità nel lettore.
Non c’è una strada prefissata da percorrere, dunque, ma un ponte da costruire tra un qualcosa che si conosce e l’ignoto; non è un tiro al bersaglio o a casaccio, bensì è un proiettile vagante dove tu non sai dove il proiettile sta andando, ma il proiettile sì (per cui anche un cambio di prospettiva può essere utile).
Infine, usando la metafora degli scacchi, non ci sono un pedone o a una torre che procedono in modo fisso, in linea verticale od orizzontale, bensì un cavallo che si muove a ‘L’, valicando e sorprendendo, sfuggendo e attaccando, tanto è vero che è proprio il cavallo il pezzo dell’avversario più difficile da tener sotto controllo per la sua imprevedibilità di movimento (–> Con la mossa del cavallo si vince il futuro).
Il terzo aspetto è quello relativo al fatto che l’intuizione creativa è agganciata al pensiero ‘eidetico’, alla capacità cioè di pensare per immagini dove le immagini spesso non richiamano altre immagini in modo preordinato, come in un film, ma per aggregazioni, come nei ricordi o come nei sogni (e non è un caso se ‘immaginare’ e ‘immagine’ hanno la stessa radice).
E l’essere creativi, come ben ha focalizzato Ellis Paul Torrance (Test di pensiero creativo, Giunti O. S. Firenze, per un approfondimento –> I test Torrance del pensiero creativo) significa produrre associazioni diverse da quelle ‘connaturali’ (non ‘gatto/pappa’ ma ‘gatto/volpe’, per riprendere l’esempio di prima) andando oltre l’ovvio e l’apparentemente irrilevante. Non si deve procedere solo avanti, ma saltare, procedere lateralmente o in modo obliquo magari anche, perché no, saltando allo stesso tempo.
Per tirare le fila di quanto appena detto, può essere sufficiente allora, per dare inizio al nostro scritto, la creazione di un’unica idea principale facendola scaturire da un’associazione di immagini non ovvia e non scontata, ancorché indotta da noi stessi.
Questa impostazione altra non è se non la riproposizione di quel binomio fantastico di cui parla Gianni Rodari (Grammatica della fantasia, Einaudi Ragazzi, 1997, per saperne di più –> Gianni Rodari, un meraviglioso intellettuale) dove la collisione tra due situazioni non convenzionali possono funzionare da scaturigine per lo spunto di una trama, come fosse una scintilla nata dallo scontro di due pezzi di selci. Le due immagini che abbiano scelto devono quindi trovarsi in contrapposizione inusuale tra loro.
Non devo quindi pensare a un pappagallo sul suo trespolo tradizionale ma:
- a un pappagallo in un frigorifero, meglio ancora se si tratta di un pappagallo che indossa una maglia pesante e una sciarpa di lana attorno al collo(accostamento per straniazione);
- oppure a un pappagallo completamente senza piume nella vetrina di un negoziante (accostamento per opposizione) (animale che nessuno ovviamente vorrà comprare)
- o a un pappagallo che ha fatto tana in un computer (accostamento per parallelismo)
- o infine a un pappagallo che ha un piccolissimo pirata sulla spalla (accostamento per paradosso) e via dicendo (giusto per ribaltare lo stereotipo di certi fumetti dove è il pirata che ha il pappagallo sulla spalla).
Basta poi applicare alla situazione ‘anomala’ che abbiamo creato la successiva tecnica delle formulazione delle domande — di cui si è parlato nel capitolo ‘Un due tre, pronti?… immagina’ (–> Come allenare il muscolo della fantasia) — per ottenere delle risposte che consentono di muovere l’immagine secondo una prima traccia narrativa.
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IN CONCLUSIONE
Dunque, ricapitolando, di cosa si è parlato in questa pagina:
delle potenzialità creative degli accostamenti inusuali tra cose o concetti; il ‘binomio fantastico’ di Gianni Rodari è spesso una carta vincente da giocare sul tavolo della narrazione o quanto meno il motore per innescare nuove suggestioni e nuove emozioni da trasformare e manipolare.
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<– Come allenare il muscolo della fantasia
–> Il finale aperto del racconto. Il ruolo chiave del Lettore
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Ciao + Godere, B
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