Occorre quindi subito considerare che la giustificazione del motivo non deve essere solo soggettiva. La presunzione di non liceità, certamente, può essere superata solo con la manifestazione da parte del detentore di una ragione plausibile di detenzione, per cui se nulla riferisce al momento della sorpresa in flagranza, il porto rimane senza motivo lecito. È necessario pertanto:
- l’immediatezza della esplicitazione della ragione del porto; sul punto il Supremo Collegio ha ritenuto che il giustificato motivo, rilevante ai sensi della norma che lo impone, non è quello dedotto a posteriori dall’imputato o dalla sua difesa, ma quello espresso immediatamente, in quanto riferibile all’attualità del momento e suscettibile di una immediata verifica da parte dei verbalizzanti (Sez. 1, 26 febbraio 2013, n. 18925, Carrara, rv. 256007). Una volta che le particolari esigenze sono state rappresentate dal fruitore è necessario che il motivo trovi riscontro nelle circostanze di fatto e di tempo in cui si verifica il porto e dunque abbia una conferma di natura oggettiva. Il giudice deve quindi verificare (secondo requisito);
- la liceità della detenzione (e la Cassazione ha escluso possa integrare “giustificato motivo” il porto finalizzato allo “spezzettare la droga”, trattandosi di esigenza non corrispondente ad una regola comportamentale lecita (Sez. 4, 6 ottobre 2005, n. 11356, Bucchieri, rv. 233659) e questo in quanto l’acquisto e la detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale costituisce tuttora illecito amministrativo (Sez. 1, 8 aprile 2009, n. 18189, Perri, rv. 243549). Ne consegue che è senza giustificato motivo e pertanto illecita la detenzione di uno strumento utilizzato comunque per commettere un reato. Anche il fine di suicidio è stato ritenuto non escludente la configurabilità della contravvenzione non potendosi ravvisare il giustificato motivo in una scelta negatrice del fondamentale principio del rispetto e della promozione della vita, (Sez. 1, 9 maggio 2013, n. 33244, Sicuro, rv. 256989);
- l’attualità della giustificazione rispetto al momento dell’accertamento della condotta altrimenti vietata. Deve esserci una stretta correlazione di tempo tra la giustificazione e il fatto giustificante; risulta pertanto senza giustificato motivo il porto dell’arma impropria rinvenuta nel giubbotto di una persona che non fornisca alcuna prova convincente circa l’esercizio in corso dell’attività di caccia o di pesca, in quanto in sede di perquisizione dell’autovettura non era stato rinvenuto alcun oggetto idoneo a comprovare l’esercizio venatorio (Sez. 1, 13 maggio 1986, n. 10244, Del Pistoia, rv. 173864). Occorre d’altronde considerare anche se sia cessata o meno, da tempo, la ragione giustificatrice; la Cassazione ha ritenuto che il porto di un coltello a serramanico è da ritenersi legittimo se detto oggetto sia impiegato nell’uso suo proprio e rimane tale per tutto il tempo di durata della attività e, quindi, all’assenza dall’abitazione. Ne consegue che non risponde di reato di cui all’art. 4 legge n. 110 del 1975 colui il quale, avendo portato con sé un coltello per adempiere al suo lavoro nei boschi, successivamente, e prima del rientro a casa, si ubriachi e lo esibisca in pubblico perché il fatto non costituisce reato (Sez. 1, 13 novembre 1986, n. 254, Tasso, rv. 174809), mentre risponde di porto di tre coltelli a punta da lancio assertivamente dimenticati dall’imputato nella propria autovettura dopo il gioco del tiro a segno praticato nell’autorimessa, pertinenza della casa di abitazione, Sez. 1, 11 aprile1985, n. 8897, De Mas, rv. 170661). Deve inoltre ricordarsi che il reato di cui all’art. 4 L. 110/75 è una contravvenzione sicché la condotta è punibile anche a titolo di colpa
generica se il soggetto per disattenzione porta ancora con sé uno strumento atto ad offendere quando la ragione giustificatrice è venuta meno in un lasso di tempo non più scusabile; sul punto della irrilevanza della carenza dell’elemento intenzionale o che il porto non sia diretto ad arrecare offesa alla persona (Sez. 1, 11 aprile1985, n. 8897, De Mas, rv. 170661). Sulla stessa questione si veda anche Sez. 1, 19 febbraio 2013, n. 13365, Rochira, rv. 255178, ove è stato ritenuto che, nel reato contravvenzionale, l’imputato deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per osservare la norma violata senza che ciò integri alcuna inversione dell’onere della prova, a lui spettando di provare il contenuto dell’eccezione difensiva rispetto alla prova della colpa fornita dall’accusa. (Nella specie la Corte ha ritenuto corretta la condanna dell’imputato che, accusato di aver trasportato a bordo di un’autovettura non di sua proprietà un coltello a serramanico, non avesse dimostrato di aver compiuto quanto era nelle sue possibilità per osservare la norma violata, giacché l’arma bianca era collocata nel vano porta oggetti posto al suo fianco e, dunque, ben visibile e prontamente utilizzabile). E ancora il “giustificato motivo”: - deve essere relazionato inoltre:
- alla natura dello strumento (un coltello da caccia non è congruo per un pic-nic sull’erba);
- alle modalità di verificazione del fatto,
- alle condizioni soggettive del portatore,
- al luogo dell’accadimento,
- alla normale funzione dello strumento.
Ne consegue che il porto di coltello da caccia e di coltello con cavaturaccioli da parte di chi si reca per diporto in zona boschiva è pienamente giustificato, atteso che detti oggetti sono tra quelli che normalmente un soggetto porta con sé, allorquando si reca in gita in zona boschiva di montagna ove gli stessi possono essere utilmente usati (Sez. 1, 5 dicembre 1995, n. 580, Paterni, rv. 203466). Il porto di un coltello a serramanico rinvenuto addosso a un autotrasportatore e asseritamente utilizzato per preparare panini e sbucciare frutta è stato per contro ritenuto dalla S.C. ingiustificato il porto per non avere trovato riscontro, nella perquisizione eseguita contestualmente, la giustificazione addotta dall’agente, Sez. 1, 14 gennaio 1999, n. 4696, Zagaria, rv. 213023).
È stato anche correttamente precisato che gli oggetti indicati specificamente nella prima parte dell’art. 4, comma secondo, della L. n. 110 del 1975 sono equiparabili alle armi improprie, per cui il loro porto costituisce reato alla sola condizione che avvenga “senza giustificato motivo”, mentre per gli altri oggetti, non indicati in dettaglio, cui si riferisce l’ultima parte della citata disposizione occorre che essi appaiano anche “chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona” (Sez. 1, 29 novembre 2011, n. 10279, Croce, rv. 252253).
Infine, per gli strumenti non considerati espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona è stato deciso dalla Suprema Corte che, perché sia giustificato il porto degli oggetti che, pur potendo servire occasionalmente all’offesa, abbiano una diversa destinazione come strumenti di lavoro, è richiesto che il porto medesimo sia unito dal nesso della causalità all’attività lavorativa. Tale nesso comprende qualsiasi momento comunque collegato, anche indirettamente, con lo svolgimento dell’attività lavorativa. È quindi giustificato il porto anche nel percorso per recarsi da casa al lavoro o nei momenti di pausa temporanea dell’attività lavorativa, essendo pur sempre il porto a questa ricollegabile (Sez. 1, 11 marzo 1993, n. 6965, P.G. in proc. Ferro, rv. 197540).
Portare un coltello per legittima difesa (così come è stato più sopra scritto per lo spray) non costituisce un giustificato motivo. La possibile condizione di pericolo è eventuale, futura e incerta e non rende plausibile l’attualità del porto (vedi però per l’ipotesi di una legittima difesa più concreta).
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