Segua quella pecora

«Hop… hop… hop…»
Senza perdere né la concentrazione, né l’eleganza dei movimenti, Morozzo de’ Macci stava saltando la corda trotterellando nel corridoio antistante il suo ufficio sotto lo sguardo estasiato di alcune zingarelle che sostavano in attesa di entrare in aula per essere processate per violenza carnale (ai danni di un montone minorenne).
In effetti, il fisico ben modellato del PM, guizzante e scultoreo nella sua plasticità berniniana, durante la pratica degli esercizi ginnici, sembrava sprigionare una sensualità irresistibile, simbolo vivente e tangibile (per le più fortunate) del fitness estremo; non era infrequente quindi che, durante le lunghe sessioni di allenamento, si formassero crocchi spontanei di femmine (di ogni età e condizione sociale) intente a rifarsi gli occhi ammirandolo. Anzi, in occasione dell’ora di footing del Morozzo, che aveva luogo, con puntualità, ogni mattina dalle ore 8.00 in poi, venivano allestite, lungo l’usuale percorso, comode poltrone numerate, i cui biglietti si esaurivano (salvo bagarinaggio) anche con una settimana di anticipo.
Dunque il PM stava prodigandosi, nello zampettare con la consueta agilità la fune schioccante sul pavimento polveroso del settimo piano (al ritmo scandito dal batter delle mani delle sue fans), quando, passando davanti alla stanza della collega Albadea Bambi, sentì provenire dal suo interno un singhiozzo convulso e disperato. Incuriosito, bussò.
«Sì?!?» si udì flebilmente.
La donna, seduta alla sua scrivania costruita con i bastoncini del maxicono tuttifrutti, aveva le mani infilate tra i capelli per nascondere un viso rigato da lacrime bistrate di viola pallido.
«Ma cos’hai?» le domandò de’ Macci in maniera stranamente affabile poco prima di avvolgerla con un aspro odore maschio di sudore rancido.
«Niente… niente…» si smoccicò la collega smettendo di frignare.
«Come niente?!? Stai piangendo! Qualcosa forse ti angoscia? Lo sai che puoi sfogarti con un vecchio amico!» le mormorò il Morozzo afferrandola per un braccio che, data la sua consistenza, gli richiamò alla mente uno stagionato culatello.
«Non puoi capire…» gli rispose la PM tentando di digrignare i denti senza riuscirvi «… oh se tu sapessi… se tu sapessi…» e risinghiozzò con fragore.
«Beh tu provaci…» insistette Morozzo, che aveva scovato la maniera di ammirare, nel vetro di un portaritratti, il turgore e la flessuosità dei muscoli del suo avambraccio.
«Non puoi capire… oh se tu sapessi… se tu sapessi…!»
«… questo l’hai già detto Albadea…» ribadì con una venatura di fastidio montante.
«No, no tu non puoi capire… oh se tu sapessi… se tu sapessi…!»
«PARLAAA PERDIO!!!» urlò il de’ Macci sollevandola di peso per i capelli, poi resosi conto di ciò che stava facendo, mollò subito la presa, cosicché la donna, nel ricadere scomposta, diede una sonora capocciata nei tuttifrutti distruggendo completamente il tavolo «… cioè, volevo dire, confidati… mia cara… così dopo ti sentirai meglio» gorgheggiò vellutato.
«… Sì, sì hai proprio ragione… Morozzo… come sei buono tu… » biascicò la donna togliendosi le schegge di bastoncino che le trafiggevano l’area maxillofacciale «devi… devi sapere che Primo Fante…»
«… sììììì? Quel Fessacchiotto…?» la interruppe il PM con tono falsamente partecipativo.
Albadea scoppiò di nuovo in un pianto tempestoso agitando una montagna di capelli grossi come spaghetti.
Morozzo si massaggiò lentamente le tempie sforzandosi di resistere all’impulso di strozzare la donna con la corda che teneva ancora in mano.
«Che… che… io… e Primo…»
«Che Scorreggina e tu…?» incalzò de’ Macci, che, senza farsi accorgere, lanciò un occhio sul suo l’orologio suboceanico cronotachiprofondimetro constatando, con fastidio, che quella era la mezz’ora solitamente dedicata alle flessioni.
«Ci amiamo…»
«… toh!!!» barbugliò il PM meravigliato dalla imprevista risposta «… e io che credevo che Primo detestasse le donne…»
«Beh, in realtà, lui non sa ancora che lo amo… ma glielo dirò appena possibile… oramai non riesco più a vivere senza il mio Miciotto…»
«D’accordo glielo dirai, ma allora qual è il problema che ti angustia?»
Albadea, chiamate a raccolta le residue forze, tirando su con il naso un caccolotto allo stato semisolido, sospirò:
«E’ più di una settimana che non mi telefona… lui che è così assiduo dell’ufficio… così precisino… gli sarà successo una disgrazia… me lo sento qui» e indicò un punto del corpo che, secondo i calcoli del Sostituto, avrebbe dovuto essere il ricettacolo del cuore o di qualcos’altro che svolgesse funzioni consimili.
«Sto effettuando degli accurati accertamenti Albadea…» cercò di rincuorarla senza molta convinzione «ti assicuro che presto avremo una valida pista da seguire… (qualcosa mi dovrà pur venire in mente!)»
Nel pronunciare questa frase non poté far a meno di notare come la propria mascella quadrata riflessa nel monitor spento del computer avrebbe ben potuto essere utilizzata per qualche spot pubblicitario, onde suggerire l’idea personificata della Bellezza indomita e ferina…
Si piacque…
Poi il sorriso scomparve dalle labbra scacciato dal pensiero inquietante del Fessacchiotto sparito.
«… uhm… anche se a dire il vero le indagini per ora languiscono…»
«… sì languiscono… languiscono…» ripeté Albadea schizzando lacrime violette dappertutto.
«Quand’è l’ultima volta che l’hai incontrato???»
«Otto giorni, quattro ore e venti minuti fa… (circa). Mi ha rivelato che doveva vedere una persona che avrebbe risolto tutti i suoi problemi.»
«Problemi? Quali problemi?»
«Non lo so, non me li ha voluti dire…»
«Ti ha per caso riferito dove abitava tale persona…?»
«No…» e riprese a piangere a docciate «… però mi ha dato un pegno del suo amore.»
«Un che?»
«… una tangibile testimonianza della sua nascente passione per me: uno dei suoi sigari… uno dei suoi meravigliosi sigari… non è un gran tenerone il mio Miciotto?»
«Come no!» fece il Morozzo alzando lo sguardo al soffitto nella speranza di non mettersi a sghignazzare.
«E… mi ha consegnato pure la chiave della sua stanza, così, in sua assenza, (mi ha avvisato che avrebbe fatto tardi) avrei potuto nutrire le sue care bestiole… pensa che fiducia! Non è forse una grande prova d’amore questa?»
A quelle parole il PM si levò di scatto dando inavvertitamente una manata ad un cactus colonnare californiano che venne segato a metà.
«Ci sono!» gridò radioso.
Albadea trasalì. Il cactus agonizzò.
«Geniale, geniale! Perché non ci ho pensato prima…! Le bestie del Fessacchiotto!!!»
«Le cosa?!?» chiese la donna senza comprendere.
«Lo zoo schifoso che tiene in stanza!»
«E allora?!?» fece Albadea indecisa se riprendere a piagnucolare oppure no, «credi che sappiano qualcosa?!?»
«Ma no… ma no… maccheddici… piuttosto una di loro, se lasciata libera potrebbe portarci, a fiuto, da lui, ne sono sicuro! Mi pare ovvio!»
«Non ci avevo pensato…» confessò Albadea stentando un sorriso digrignato «potremmo utilizzare Clementina la pecora che tanto gli è affezionata! E potremmo farle annusare qualcosa di suo, come per esempio… per esempio… il sigaro che mi ha regalato!»
«SICURO! Presto, prendi le chiavi, vai nel suo ufficio e fai uscire Clementina! Io organizzo le ricerche, t’aspetto giù in strada.»
«Sì, svelti!!!» ansimò Albadea scaraventandosi spericolatamente giù dalla sua poltrona (alta dal parquet non più dieci centimetri).
Dopo pochi minuti il PM, Albadea e la pecora Clementina incontrarono, appena fuori del Palazzaccio, il Maresciallo Treviri Cassiodoro il quale, nello scorgerli, con la rapidità di un trappola per topi, scattò sull’attenti.
«Venga con noi, svelto!»
«Comandi?!?»
«Venga con noi, Maresciallo!» ripeté stizzito il Morozzo «siamo su una pista calda… prenda la macchina svelto, non stia lì a far l’imitazione del baccalà in umido!!!»
«Sempre a sua disposizione! Confluisco immediatamente e mi convergo in loco» e la mano guantata del militare volò a sfiorare la pistola allerta nella fondina.
Ad attenderli, poco distante, con la sua solita aria di trovarsi per combinazione da quelle parti, c’era la Sangiovina .
Appena saliti, il Maresciallo si mise al volante della preziosissima jeep, guardando fisso davanti a sé, teso allo stremo, nell’ansia di ricevere un qualsivoglia ordine. Il PM allora, preoccupato per l’atteggiamento del Milite che dava l’impressione di star per scoppiare di lì a qualche attimo, additando fuori dal parabrezza, incitò:
«Segua quella pecora!»
«Comandi?!?»
«Come non detto, Maresciallo, faccia pure guidare a me, si sposti…» Cassiodoro, cui fu impedito di mettersi sull’attenti all’interno dell’abitacolo (per evitare che qualcuno si potesse far male), si scambiò di posto con il Sostituto.
Intanto il quadrupede, che già si era incamminato avendo capito quale sarebbe stato il suo compito, visto che i tre si stavano gingillando, ritornò indietro, belando ripetutamente al finestrino del de’ Macci.
«Ti ho vista, ti ho vista, perdio… vai avanti!»
In quel mentre il dott. Julius Mezzapassera, sotto le mentite spoglie di un’amabile quanto inerme vecchierella ingobbita e acciaccata dall’età, s’introduceva guardingo nel cimitero di Cocoritos. Oltre il cancello in ferro battuto, a sinistra di un declivio roccioso in cui potevano distinguersi scolpite, con ineguagliabile realismo, due facce terrorizzate, scorse Nunzio e Pinolo che, sulla spianata in ghiaino, stavano giocando fra di loro ridendo e scherzando.
«Buongiorno» fece Julius con voce tremula e in falsetto.
«Buongiorno signora» rispose Pinolo interrompendo il suo allenamento quotidiano allo Scarafobos «è un piacere vedere che qualcuno ogni tanto ci viene a far visita… in cosa possiamo esserle utili?»
«Sa giovanotto» cominciò il PM-vecchietta alzando sino al mento la borsa della spesa ricolma di patate e verdura, da cui si spandeva il ronzio del microfonino acceso «avrei bisogno di prenotare un posticino per me… non che mi serva proprio subito, ben inteso, ma sa è sempre meglio essere previdenti, non si può mai sapere quando può giungere il momento fatidico, non crede?»
«E’ vero, ha proprio ragione!» fece Pinolo assumendo un atteggiamento professionale «purtroppo però, per adesso, non ci sono loculi disponibili. Tuttavia c’è una lista di attesa… e se lei fosse così gentile da fornirci il suo nominativo noi…»
«Oh… che peccato… che peccato… è proprio sicuro giovanotto?»
«Sono costernato signora… vorrei poterla accontentare, ma Cocoritos, modestia a parte, è molto ambita come casa dell’eterno riposo, sa… il clima, i servizi… i comforts…»
«Mio nipote rimarrà davvero deluso da questa notizia… lei conosce mio nipote vero?» rintuzzò il Cipollone protendendo ancor più il patatone-microfono.
«Non saprei…» ribatté sorpreso Pinolo. In quello stesso istante dalla giacchetta consunta la vecchierella tirò fuori una foto di Primo Fante che spiattellò fulmineo sotto il naso del ragazzo.
«No… mi spiace… non l’ho mai visto.»
«Ne sei certo?» domandò con voce da basso tuba il PM correndo il rischio di farsi scoprire.
«Sicurissimo signora» ribadì quello iniziando a esaminare con sospetto l’inerme interlocutrice.
«Capisco… sì capisco…» riprendendo quella una tonalità tremebonda e querula «e che particolare gioco sarebbe mai quello, giovanotto?» chiese riferendosi al recipiente di latta da cui serpeggiavano fiamme vive.
«Ah quello!» disse sorridendo il ragazzo «… è solo il mio hobby… si adoperano degli scarafaggi (bianchi) e…»
Non ebbe modo di finire la frase. Percorsi alcuni chilometri, a passo di ovino, gli ultimi dei quali martoriati da tornanti forse un po’ troppo impegnativi per la Sangiovina, Morozzo de’ Macci, Albadea Bambi e il Maresciallo Treviri Cassiodoro, a sirene spiegate, stavano facendo trionfante ingresso nel camposanto di Cocoritos.
Ci fu un fuggi-fuggi generale.
Sceso dalla jeep in corsa, il Maresciallo si buttò all’inseguimento dei ragazzi, purtroppo non con gli esiti sperati. Andò invece meglio con la Julius-vecchietta che, pur rimasta sul posto, oppose una strenua resistenza.
«Sarei in grado, dottor de’ Macci, di poterle comunicare con notevole approssimazione (per difetto e/o per eccesso, scelga lei) che questo sito ameno e aprico (se non fosse per una vegliarda che sostiene di essere il Sostituto Procuratore Julius Mezzapassera e due giovani che se la sono data a gambe come forsennati) è del tutto abbandonato.… nel senso… nessuno del di lui custode, nessuno del di lui portinaio…» relazionò d’un fiato il Milite che, nel frattempo, si era riportato al cospetto del PM.
«… va bene Maresciallo, tagli corto!»
«Si certamente, dottore, come crede meglio e opportuno… ci sono solo defunti… un centinaio circa… in ordine sparso… raccolgo i nomi?»
«Non importa, non ritengo sia rilevante…»
«No, che non è rilevante…» irrigò tutti di lacrime viola Albadea che, da quando era entrata in quel cimitero, stava temendo il peggio. La Sangiovina, sensibile all’accresciuto tasso di umidità nell’abitacolo, espulse automaticamente alcuni parabordi da gozzo, un mezzomarinaio e un set di canne da pesca d’altura.
«E come mai sta reggendo in braccio una vecchietta?» sbottò il Magistrato.
«Ho dovuto tramortirla dottore, farfugliava cose insensate e mi ha assestato anche diversi calci negli stinchi. L’ho trovato indecoroso!»
«Per lei o per la vecchietta?»
«Prego?!?»
«Lasci stare Maresciallo… scherzavo… cos’è che diceva riguardo al dott. Mezzapassera???»
«L’anziana signora si aggirava nei pressi con fare furtivo e sospetto cercando (vanamente) di sfuggire al nostro pronto intervento; la sunnominata, all’atto dell’arresto, ha declinato false generalità: sosteneva sfacciatamente di essere il dott. Mezzapassera!»
«E allora???»
«Ovviamente non ci siamo cascati! Sa, dottore, dicono tutti così quando si sentono sul collo il fiato gelido ed inesorabile della Giustizia.»
Morozzo squadrò il Milite come se fosse la prima volta che lo vedeva.
«Mi tolga una curiosità Cassiodoro…»
«Comandi dottore!!!»
«Lei ci crede veramente a ciò che dice?»
Il sottufficiale sfiatò un poco i polmoni (ma non troppo), facendo un poco ciondolare all’indietro il viso privo di espressione della Julius-vecchietta. Non si aspettava una domanda così impegnativa. Poi, arcuando le sopracciglia, abbozzò con voce incerta:
«Sì, perché?»
«Niente Maresciallo… prosegua pure con quanto stava dicendo.»
«Certamente… dunque… la sospettata non aveva documenti con sé: niente della di lei patente… niente della di lei passaporto…»
«Maresciallo!»
«Mi perdoni… dicevo… poi il sesso non coincide…»
«Sì, sì, il sesso non coincide! Non coincide!» innaffiò di lacrime entrambi Albadea ancora all’interno della jeep che, ritenuto essere in atto un allagamento dell’abitacolo con imminente inabissamento della vettura, aveva centrato la PM con un salvagente da bagnino.
«Vale a dire il Mezzapassera è un maschietto e questa è una vegliarda… non so se riesco a spiegarmi… è chiaramente un impostore (o un’impostrice?!?)»
«OK! Della sua pericolosa vecchierella ce ne occuperemo più tardi, la butti sulla Sangiovina e mi segua!» ordinò il Magistrato che, con la coda dell’occhio, aveva notato la pecora Clementina arrancare al piccolo galoppo verso una collinetta . Cassiodoro, eseguì gli ordini ricevuti immantinente e, appena scaricato il leggero fardello sul sedile posteriore della jeep (che subito sparò su Julius una tuta in neoprene e una cintura zavorrata di centosettantadue chili), tenne dietro al PM, mentre Albadea, con le sue gambocce prosciuttine e rasoterra, intralciata dal salvagente che le si era incastrato addosso, si mise a ruzzolare sull’erba da lei stessa resa scivolosa per il pianto.
Arrivata al colmo, Clementina, si rigirò su se stessa più volte, in preda ad un evidente smarrimento.
Anche Morozzo, giunto in cima, non seppe capacitarsi.
«Una buca profonda, dottore, anzi assai profonda!» si sentì in dovere di commentare Cassiodoro.
«… già questo lo vedo anch’io» protestò sgarbato de’ Macci.
«… e sarei altresì sufficientemente tranquillo nel congetturare che lo scavo medesimo stimasi della forma esatta di un parallelepipedo… del tipo in uso nelle rivendite di onoranze funebri… di un feretro insomma, se mi consente…» continuò imperterrito il sottufficiale.
«Qui sepolto deve esserci il mio Miciotto, me lo sento…» deflagrò Albadea in un affannato piagnisteo liberatorio.
Il Sostituto, sporgendosi dall’orlo della fossa, vi calò uno sguardo accigliato, accorgendosi che non riusciva a percepirne la fine.
«Se mi consente, dottore, usufruendo dell’idonea attrezzatura in uso al Comando in rubrica indicato e reperibile sulla Sangiovina potrei, in maniera sollecita e/o comunque in tempo tale da non attardare le necessarie espletande indagini, misurare con sufficiente esattezza (e con scarto di qualche millimetro, che è del tutto accettabile in simili evenienze) la profondità del rilevato…» recitò Cassiodoro intacchinito .
«Va bene, ma si sbrighi!»
In un batter di tacchi, il Milite, di ritorno dalla Sangiovina, montò un’apparecchiatura che somigliava molto ad una consolle portatile per automobiline telecomandate. Distese un’antenna telescopica, schiacciò un paio di interruttori che accesero una spia blu e un’altra rossa; quindi girò una manopolina che ebbe il compito di mettere in movimento delle lancette vibranti lungo scale graduate. Un bzzz sommesso uscì dal macchinario.
«Ecco ci siamo… dottore… ecco… ecco… guardi… guardi qui, lo può vedere lei stesso…» annunciò emozionato il Cassiodoro indicando, con i suoi candidi guanti da parata, alcune cifre che si erano venute formando sui leds del display.
«Vedo, vedo… ehm ventiquattro… accidenti ventiquattro metri, davvero profondo…» esclamò il PM con meraviglia portandosi le mani ai fianchi e dondolandosi sui talloni.
«Mi scusi dottore… ma sono ventiquattro chilometri…»
«COSAAA?»
«Ventiquattro chilometri, centosessantasei metri e ottantun centimetri per l’esattezza e le dirò inoltre, dottore, se mi permette… che i ricettori, sensibilissimi di questo apparecchio in dotazione alle unità speciali cui mi onoro di appartenere (ho avuto tre conflitti a fuoco, una menzione d’onore e la foto sul giornale) rivelano, al termine di questo corridoio a fondo cieco… la presenza, come le stavo accennando testé, di un parallelepipedo di legno, di ottimo legno in verità, piuma di noce sosterrei… con rifiniture in metallo pregiato, dall’intensa fragranza di mughetto, un gran bel feretro in conclusione… con al suo interno, debitamente occultata, una salma… in buono stato di conservazione… di razza caucasica, di sesso maschile, di apparente età di circa 34 anni, 2 mesi e 15 giorni… per i secondi, purtroppo non posso essere più preciso…»
«A quella profondità la bara è irrecuperabile!!!» sbigottì Morozzo che era rimasto a metabolizzare la prima informazione.
«Lo credo anch’io… ma il fenomeno maggiormente curioso e che a Lei non sarà senz’altro sfuggito, é rappresentato… da queste larghe e marcate striature parallele fra loro, che, partendo dalla superficie vanno a sparire dritte dritte in profondità. Parrebbe che le medesime siano state prodotte da un getto di fuoco sviluppatosi con particolare violenza e/o in modo repentino, con sviluppo contestuale di un intenso calore. In via puntuale, mi trovo nella fortunata condizione di poter ritenere, inoltre, che dovrebbe trattarsi del risultato di una rapida combustione, come se a partire dall’orlo, in direzione del baratro, la tomba fosse stata spinta da un potentissimo… uhm… razzo o da qualcosa di analogo…»
A queste considerazioni tutti si fecero meditabondi, mentre un leggero venticello primaverile portò alle narici del de’ Macci il profumo vago di spigo della divisa del Maresciallo facendogli storcere il naso per l’eccessiva delicatezza.
Il PM, ancora calato nella sua tuta ginnica neropece che metteva ancor più in risalto gli occhi cerulei e la testa biondocrinita da dio greco caduto dall’olimpo, si ricordò, con amaro disappunto, che quello era anche il quarto d’ora consacrato alla sua benamata cyclette; poi si tastò i poderosi quadricipiti saggiandone la rassicurante compattezza.
«Inoltre…» seguitò Cassiodoro con voce atona che non tradiva alcuna emozione, come se stesse leggendo il bollettino ai naviganti «… sarei in grado altresì di poter affermare, con ragionevole certezza, che il cadavere in oggetto è appartenuto in vita al dr. Primo Fante (‘Scorreggina’ per intenderci).»
«Come fa a sostenere una cosa simile, Maresciallo, su andiamo, adesso esagera!!!» lo rimbrottò seccato Morozzo per l’inaspettata e spiazzante competenza.
«E’ piuttosto semplice dottore! Osservare e dedurre. Dedurre e osservare, c’è scritto pure sul manuale del ‘Buon Carabiniere’ (c’è tutto quanto serve sul manuale del ‘Buon Carabiniere’!).
La mia congettura, dunque, si articola in tre punti:A) innanzi tutto perché il quadrupede lanoso cui è stato imposto il nome suggestivo di Clementina, da Lei ingegnosamente utilizzato per rintracciare il nostro obbiettivo, compagno inseparabile del ricercando, ci ha portato senza esitazione fin quassù;
B) perché la qui presente dottoressa Albadea Bambi (nota per il suo digrignante intuito e, da qualche tempo, anche per la tresca clandestina con il nominato in epigrafe Primo Giacinto Ortensio Fante) sta per avere (almeno così mi pare) una crisi isterica (che la farà certamente cadere, fra breve, dalla croce su cui si è appollaiata);
C) infine, ma non da ultimo, perché su quella lapide c’è proprio il nome e cognome di Primo Fante! »A quel punto Albadea, slittando sulle sue stesse lacrime fattesi fangose, cadde dalla croce su sui si era arrampicata, cominciando a rotolarsi nello sconforto più cupo, travolgendo, con il salvagente una decina di lampade votive e un numero imprecisato di vasetti di vetro fioriguarniti.
Non lontano da lei, su di una pietra tombale, frutto pregevole di un anonimo rotariano , la pecora Clementina giaceva svenuta con le zampe al cielo.
Un coniglietto, invece, uscito a pochi centimetri dalla scarpa da footing del PM, spaventatosi per l’inaspettata confusione in un luogo usualmente così silenzioso, per scappare più in fretta che poté, si tuffò per sbaglio nella fossa profonda ventiquattro chilometri (penso che stia ancora cadendo adesso).
Il Maresciallo, non curante dei lamenti strazianti della donna e del plateale svenimento dell’ovino (per tacere dell’urlo lancinante del coniglietto senza paracadute), ristette un attimo palpandosi il mento barbapuntuto onde raccogliere le idee.
Poi riprese a parlare:
«Ah… e dimenticavo… dottore, queste vaste macchie gialle depositate intorno ai margini della buca e che hanno impregnato il primo strato di terriccio… lei le avrà indubbiamente notate…»
«Ebbene?» latrò astioso Morozzo che, per contro, non aveva notato nulla.
«E’ zolfo dottore, indubitabilmente zolfo, se mi consente…»
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