Mi ero fatto convincere da Tonio, a prendere un supercaffè da ‘Ombra de Palma’ il nuovo bar alternativo di Lughi. O meglio, come dice Wayne, il barman nato e cresciuto a La Vegas, proprietario di quell’esercizio, una Spremuta d’arabica.
«Un Mustang macchiato» disse un signore appoggiandosi al banco. Io lo guardai incuriosito. Il barman, senza scomporsi ,tirò fuori dal frigo una bottiglietta color viola, ad ampolla, che versò con trascurata eleganza in un bicchiere svasato dove poi spruzzò un liquido rosa che subito si diffuse al resto del liquido. Il cliente appariva soddisfatto nel sorseggiarlo, tanto da assaporare la bevanda come fosse stato armagnac di dodici anni.
«Un Nuvola nera» fece un altro, sulla trentina, che giocava a rimbalzarsi le chiavi della macchina da una mano all’altra.
Il barman, questa volta,versò da una bustina dorata una polvere rossastra che, a contatto con un liquido azzurrino versato da una bottiglietta con il beccuccio a pappagallo, prese una consistenza pastosa e densa. Un gnocchetto di panna, fatto abilmente scivolare nel bicchiere, prima prese a galleggiare sulla superficie della bevanda e poi ad affondare in uno sbuffo di fumo colorato.
«Andiamo via di qui» mormorai a Tonio, tirandolo per una manica «mi sa che al nostro barman piace giocare al piccolo chimico.»
«Ma dai, non fare il noioso… questo non è il solito caffè dell’altro giorno, ma una sferzata d’oriente…»
Stavo per replicare quando arrivarono i nostri due caffè. Ma anziché essere serviti nella solita classica tazzina, erano stati messi in un calice lungo che avrei visto meglio ospitare una rosa baccarat. Scrutai sgomento Tonio, che invece aveva già cominciato a bere, come se quello fosse stato un recipiente normale.
«Pensa che questi bicchieri vengono appositamente dall’Arizona e sono cavi nel manico fino al basamento» mi rivelò il mio amico con malcelata soddisfazione. «In altre parole, si viene a creare, naturalmente, per il principio dei vasi comunicanti, una sorta di corrente interna al bicchiere che mette in movimento il caffè rimescolandolo di continuo ed esaltandone l’aroma.»
«Sarà pure come dici tu, ma è il mio è diventato subito freddo.»
«Sei il solito pignolo» mi fece lui con una smorfia di disapprovazione.
Mi sentii mortificato. E nel lasciare controvoglia sul fondo del bicchiere lo zucchero di canna, che non ero riuscito ovviamente a girare e che non sarei mai stato in grado di recuperare, mi chiesi come sarebbe mai stato quel Comanche liscio che un cartello rosso e blu sopra il banco reclamizzava come il digestivo del nuovo millennio.
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Sigarette
«Neanche per le sigarette, neanche per le sigarette. Ma ti rendi conto?» L’uomo, così dicendo, spostava, da una parte all’altra, da una vaschetta di plexiglas, alcuni centesimi di euro: si stava rivolgendo al suo San Bernardo un po’ spelacchiato che, accucciatogli accanto, prima sbadigliò svogliatamente e poi si rotolò da un lato a fare il morto. Un signore, poco distante, allungò il passo e, presi dalla giacca il pacchetto di sigarette e dieci euro, li inserì nella vaschetta. Il gesto fu semplice, ma molto naturale.
«Grazie, nobiluomo» fece con un sorriso sdentato il barbone, alzandosi in contemporanea al suo cane che aveva ripreso la sua posizione originaria. «Lei ha un animo gentile e compassionevole.» Nell’aggiungere queste parole, il barbone oscillò appena, avanti e indietro, come fosse già ubriaco alle otto del mattino. Poi, quando il passante si fu allontanato, afferrò sigarette e danaro che ripose con cura in una sacca nera, che prima non avevo notato. Si sedette infine pesantemente sul cordolo del marciapiede a guardare la piazza. C’era poca gente a quell’ora e i più erano ancora in casa o nei bar per un caffè di corsa.
Tonio era in ritardo. Stavo meditando di andarmene.
Poi il barbone all’improvviso balzò in piedi corrugando la fronte e stirandosi la barba. Il cane era disciplinatamente sdraiato come una sfinge su quello che un tempo doveva essere un plaid: osservava attento il padrone che, schiarendosi la voce, si era posizionato, mezzo piegato in avanti con le mani nella vaschetta, in direzione di alcuni passanti senza guardarli. L’uomo quindi si parlò addosso:
«Neanche per le sigarette, neanche per le sigarette. Ma ti rendi conto?»
La valigia color verde
‘Anche a loro si rompono le valigie’ pensai mentre vedevo sfilare la donna a pochi metri da me. ‘Sono un popolo ipertecnologico, ma con gli stessi nostri problemi’.
La cinese non fece in tempo a uscire dal quadrato della piazza che un uomo, partendo da dietro le mie spalle, si diresse rapido verso il cassonetto e, senza alcuna esitazione, come fosse stato un gheppio che avesse scovato un topolino tra l’erba, afferrò la valigia abbandonata sparendo, in un lampo, nella via adiacente la chiesa. Il tutto si era svolto in pochi attimi, tanto che sembrava che i due avessero agito in sintonia.
Poco dopo arrivò Tonio. Mi parlò delle sue cose. Mi raccontò che era venuto a farsi visitare da lui un suo amico per un dolore ad un fianco ed ora risultava dalle analisi che aveva un tumore al fegato e non sapeva come dirglielo. Gli avevo appena ordinato un caffè, come se avessi voluto in qualche modo consolarlo, quando vidi tornare indietro la cinese. Si mise a rovistare in modo convulso vicino al cassonetto: sembrava che cercasse la valigia verdastra che, ovviamente, non c’era più.
Poi si mise a piangere, di un pianto che aumentava sempre più in intensità e disperazione. Quindi si mise a gridare:
«Il mio bambino, il mio bambino… mi sono pentita, mi sono pentita… dov’è il mio bambino?»
Il venditore di ombrelli
Non c’era nessuno in giro: io e il mio amico sembravamo gli unici in quel primo pomeriggio un po’ assonnato. L’aria era satura di umidità, tanto che ad un tuono improvviso seguì, in pochi attimi, una pioggerellina quasi trasparente che volentieri vedevamo scendere al riparo dell’ampio ombrellone.
«Mi piacerebbe tanto sapere come fanno.»
«Come fanno chi?» mi chiese ‘Gi accendendosi la sigaretta.
«Come fanno alcuni extracomunitari ad essere così tempestivi a vendere gli ombrellini portatili.»
Poco distante da noi, infatti, un nordafricano aveva posato sul marciapiede una pila ben ordinata di piccoli e colorati ombrelli pieghevoli. Pareva si fosse materializzato dal nulla o che fosse cresciuto come un fungo dal marciapiede stesso.
«Chissà… non saprei» fece il mio amico poco interessato alla mia domanda.
«Sembra che sappiano in anticipo che pioverà. Non è possibile che abbiano a portata di mano i loro ombrelli, in così poco tempo…»
«Mah… sarà un caso…» mi rispose ‘Gi distratto.
Quindi riprese a riferirmi di quanto la signora lo stesse facendo diventare matto e come avrebbe dovuto dar fondo a tutto il suo repertorio di ‘segugio’ implacabile. L’argomento lo appassionava perché si era messo a gesticolare e a fumare nervosamente. Passò una mezz’oretta. Ad un certo punto vidi che l’extracomunitario si chinò a raccogliere i suoi ombrelli e a riporli delicatamente in un borsone nero. Dopo esserselo messo a tracolla con un gesto che sapeva di abituale e consumato tran tran, se ne andò a larghe falcate. E non era passato un minuto che si aprì un squarcio tra le nuvole bigie facendo filtrare un sole caldo.
«Oh bene…» mi disse sorridendo il mio amico «ha smesso di piovere. Facciamo due passi.»
La campana di Ignazio
“Ciao…”
“Dove stai andando?”
“Sto tornando in studio, sono andato a visitare Ignazio.”
“Chi? Il sacrestano della Pieve?”
“Proprio lui. Lo sapevi, vero, che da quando ha battuto la testa contro la campana della torre ha preso a starsene a cavalcioni su una sedia, sul sagrato della chiesa, qualunque tempo faccia?”
“Sì, me lo hanno detto.”
“E che si era messo a raccontare ad alta voce tutti i fatti della gente della valle, fatti cui probabilmente non ha mai assistito?”
“Sì, mi hanno detto anche quello.”
“Da quando ha iniziato a fare le sue ‘rivelazioni’, in paese sono scoppiati litigi a non finire. Non fa piacere a nessuno sapere che la moglie di Tizio è andata a letto con il lattaio o che il benzinaio del paese ha taroccato la pompa del distributore o che Caio ha rubato nella cassetta delle elemosine…”
“Ma sarà poi vero?” gli chiesi io, come al solito diffidente.
“Cosa vuoi che ti dica… appena Ignazio mi ha visto, mi ha detto che lo stetoscopio che mi era sparito l’anno scorso l’avrei trovato dietro l’armadio dello studio, perché lì l’aveva messo un paziente buontempone…”
“Ma va?!?”
“Ho telefonato a Maria, la mia infermiera, ed effettivamente la trovato lì. Ci ero molto affezionato perché era di mio padre.”
“Ma guarda…”
“Comunque Ignazio, ora sta conciato peggio…”
“Che gli è successo?”
“I paesani, per farlo smettere di mettere zizzania nelle famiglie, hanno approfittato che lui si fosse allontanato per soddisfare delle esigenze corporali e gli hanno fatto sparire la sedia.”
“E lui?”
“Non l’ha presa bene. Si è attaccato al microfono della chiesa, quello collegato con gli altoparlanti esterni che danno sulla piazza, e ha continuato imperterrito a raccontare tutto ciò che i compaesani non volevano sentire.”
“Caparbio…”
“Già, un bel testone… però, com’era prevedibile, una notte, alcune teste calde hanno perso la pazienza: sono entrati in chiesa e l’hanno massacrato di legnate.”
“Poraccio…”
“Probabilmente perderà un occhio e ha un braccio che non gli servirà più a nulla.”
“Adesso almeno se ne sta zitto?”
“Ma nemmeno per idea… ha un fil di voce, ma non si dà per vinto! Continua a parlare: tanto che hanno piazzato i carabinieri davanti alla porta per la sua incolumità.”
“Ti sei fatto almeno pagare per la visita?”
“Ovviamente no, non ne ho avuto il coraggio. Però mi son fatto dare i numeri del superenalotto.”
“Ma se Ignazio ‘prevede’ eventi del passato, quei numeri sono già usciti, non ci hai pensato?”
“E’ quello che gli ho detto anch’io. Lui mi ha però precisato che da un po’ di tempo percepisce anche qualche stralcio del futuro…”
“Possibile?”
“Sì, pensa che mi aveva preannunciato che ti avrei incontrato e che dopo averti raccontato questo fatto non ci avresti creduto.”
“Beh, se stanno così le cose…”
“E mi ha anche raccomandato” anticipando quello che gli stavo per chiedere “di non darti ‘sti numeri perché sennò non ‘funzioneranno’.”