Il blocco dei TIR

Il recente blocco dei TIR mi ha fatto riflettere. Sono bastati pochi giorni per trascinare l’Italia al collasso. All’improvviso si è scoperto che quasi tutto in Italia si sposta su gomma. Quasi tutto si produce qui, ma si deve trasportare laggiù. Lo sciopero degli aerei, dei treni, dei bus fa arrabbiare la gente perché non può andare a lavorare o spostarsi come vuole. Il blocco dei camion invece ferma le industrie, svuota gli scaffali degli iper, fa agonizzare le vetture agli angoli delle strade. Una specie di bomba silenziosa che deflagra in ogni comparto del commercio e del sociale facendo venire meno il quotidiano in edicola, il cuscinetto a sfera di quel tal ingranaggio, il mangime nelle mangiatoie dei polli che, poverini, a forza di osservarne il fondo vuoto se non sono morti d’inedia sono diventati strabici. Una crisi pervasiva, trasversale, finanche democratica, come una malattia che colpisce tutti in modo diretto o indiretto. Durante il blocco, i TIR li potevi trovare dappertutto: a intasare, rallentare, ostruire, giganteggiare. Sembravano aumentati di numero, magari te ne trovavi uno parcheggiato nel cortile di casa o sopra l’aiuola delle rose giusto perché non sapeva dove dar fastidio. Forse hanno ragione i ‘padroncini’, non saprei giudicare, ma il metodo rimane incivile e irresponsabile. Chi dovrebbe intervenire ha gridato sdegno e minacciato precettazioni. Ma poi l’ingranaggio per far panettoni è tornato a girare, il mangime è scivolato nelle mangiatoie e, si sa, il Natale è vicino.

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