È un fotogramma scenografico, unico nel suo genere, pieno di suggestioni. E forse perché Anghiari è, in modo indissolubile, legata proprio a quella famosa battaglia che segnò il declino delle brame di conquista nel sud del Ducato milanese, l’aspettativa che avevo prima di visitare il Museo della Battaglia era molto alta.
Immaginavo spiegazioni storiche calate diffusamente del contesto dell’epoca, la descrizione approfondita dei personaggi che si stavano contendendo il potere sul territorio, la spiegazione didascalica delle armi bianche usate nello scontro e delle relative divise indossate; ingenuamente pensavo persino alla esposizione, in teche luccicanti e super protette, dei reperti trovati, scavando, sul luogo di battaglia.
Solo l’ultima sala (che sarebbe meglio chiamare saletta) è dedicata alla battaglia. C’è un plastico di dimensioni modeste con spiegazioni superficiali sulle varie fasi della battaglia mentre ai muri giganteggiano cartelloni con spiegazioni sulla nomenclatura delle parti di un’armatura o sulle compagnia di ventura che è niente di più di quanto si è letto e riletto sui libri scolastici delle scuole medie.
La delusione quindi (ma è solo la mia opinione) è molto forte e ci si sente anche presi un po’ in giro visto che il museo è intitolato alla sola battaglia. Per fortuna il prezzo è contenuto.
Per il resto è bello perdersi nelle viuzze ben tenute e vive del paese, dando un’occhiata ai Palazzi nobili come il Palazzo Taglieschi e agli scorci medioevali tra le case (vedi foto sopra).
Pranzo al ristorante Feudo del Vicario. Una cucina prelibata attenta al prodotto e alla sua trasformazione con un servizio gentile e sollecito in un ambiente caratteristico e ben curato.
Quanto ai piatti, io ho preso un antipasto superlativo (in Toscana è tanto di default quanto trascurato) con, tra l’altro, un prosciutto cotto profumato e dal sapore intenso con contorno, tra l’altro, di carciofini sott’olio di prim’ordine; poi squisite gemme di chianina (raviolini dalla foggia particolare ripieni di prosciutto crudo) una tagliata di manzo di gran qualità e una panna cotta alla cannella e caramello del chianti davvero notevole. Devo dire, in tutta sincerità, che il pranzo varrebbe già di per sé il viaggio; e dire che io sono molto tignoso in fatto di cucina.
Una visita apposita non può mancare a Monterchi per la Madonna del Parto di Piero della Francesca. La cartellonistica per arrivarci è scarna e si finisce per fare tutto il giro del paesino prima di trovare il relativo edificio. Le informazioni fornite dal gestore sono esaustive anche se solo in italiano (tanto in Italia gli stranieri non vengono) anche in relazione all’affresco (della Madonna del Latte) trovato sotto quello della Madonna del Parto quando lo staccarono dalla chiesa di Santa Maria in Momentana ove su dipinto.
Il capolavoro della Madonna del Parto riempie però gli occhi e lascia senza fiato, neutralizzando così la stanza disadorna e spoglia dove è stata collocata.
Particolarmente interessante è invece il Museo delle Bilance, poco lontano. È un viaggio sia nel tempo che nei più disparati mestieri (compreso quello del daziere e dell’allevatore di bachi da seta, nella foto qui a lato la bilancia usata per pesare, appunto, i bachi); sono raccolte con ordine bilance di tutti i tipi, stadère e bàscule da quelle più piccole, da viaggio, a quelle da pesa pubblica.
Si respira storia autentica, con molte spiegazioni e fotografie. Un museo molto ben fatto e meglio tenuto. Merita.