Allah è grande

Abdul aveva atteso a lungo quel viaggio. Era ben consapevole che la sua passione per l’arte non poteva dirsi appagata se non con una visita a una città ricca di storia e di capolavori. Così quando si presentò l’occasione di andare a trovare quella amica conosciuta in vacanza in un Club Med dove lui faceva l’inserviente e che tanto aveva insistito perché venisse in Italia, lui alla fine aveva accettato di buon grado. Munito di cartina e di buona volontà, approfittando che l’amica che l’aveva ospitato fosse al lavoro, Abdul partì alla conquista della città. Visitò musei, pinacoteche, monumenti, non mancando di fotografare, prendere appunti, riprendere e finanche disegnare. Era incredibile vedere in un posto solo tante meraviglie così.
Nel primo pomeriggio si ristorò per il caldo con una bevanda fresca in un bar. Il cameriere, accorgendosi che si trattava un turista, gli chiese se avesse visitato la chiesa di fronte. C’era un raro affresco del maestro del Manierismo. Ne valeva davvero la pena, anche perché quasi tutte le guide turistiche regolarmente si dimenticavano di citarlo. Il giovane accolse l’invito e ci andò volentieri. La chiesa era rinascimentale, spaziosa, ordinata, ampia. Si respirava subito il fascino stupito della nuova concezione dell’uomo. Tutto esprimeva equilibrio, armonia, serenità nella contemplazione. Anche se Abdul era musulmano riusciva a percepire il senso di raccoglimento della preghiera, della meditazione, di comunione con un essere supremo. Gironzolò tra cappelle e affreschi fino a quando non vide quello che gli era stato segnalato. Inserì una moneta in una scatola di ferro addossata alla parete e subito due potenti fari schermati, uno per ciascuno basamento della cappella, illuminò il dipinto. Si mise comodo su una panca a rimirare quel capolavoro. Il cameriere aveva ragione, l’affresco era stupendo, carico di fascino, con colori tenui, ma potenti, una prospettiva moderna per quei tempi, i visi dei santi erano intensi e ieratici. Ne rimase rapito. Si guardò intorno per vedere se c’era qualcuno, quindi azionò la cinepresa sfruttando la luce forte dei due proiettori.
«Ti piace la raffigurazione religiosa, Abdul?»
Il giovane ebbe un sobbalzo. La voce non sembrava avere una direzione e questo lo spaventò ancora di più. Si alzò portandosi verso il centro della chiesa: ispezionò le tre navate, ma erano deserte.
«Non devi avere paura» disse ancora la voce «queste cose, in una chiesa cristiana posso anche accadere…»
Abdul tornò indietro verso la panca e guardò all’interno della cappella.
«Dove sei? Fatti vedere…» intimò il giovane in modo minaccioso.
«Dove vuoi che sia? Sono dove mi hanno messo… sulla croce!»
Si alzò di nuovo, ma in quel preciso istante la luce sull’affresco si spense. Abdul era incerto sul da farsi. Quelle improvvise tenebre lo avevano svuotato di ogni coraggio. Aveva paura, chiunque si nascondesse in quel luogo poteva avere delle pessime intenzioni.
«Non c’è bisogno che accendi la luce, io ti vedo lo stesso…» fece la voce suadente.
Adbul si avvicinò ala cappella e inserì la moneta nella scatola metallica e poi, alla luce che aveva ravvivato quell’angola della chiesa si riparò di alla panca; qui, con lo zoom della cinepresa controllò i dintorni.
«Allora, adesso mi vedi bene?»
Abdul diresse ora la cinepresa sul crocifisso che era a lato e si sentì gelare. Attraverso la lente il Cristo stava parlando proprio con lui.
«Mi fa piacere che tu sia venuto a trovarmi da così tanto lontano» disse ancora il Cristo.
«Non sono venuto per te…»
«Lo so che è difficile credere in me, come figlio dell’unico Dio morto sulla croce per la salvezza del mondo intero: ci provano tutti i giorni tante persone senza riuscirci. Non credono in me perché è difficile credere in qualcuno che non si vede, che non si manifesta, che non rassicura, che non è tra la gente…»
Al giovane sembrava impossibile che tutto questo stesse accadendo veramente. «E allora perché ti manifesti a me che sono oltretutto musulmano?»
«Perché tu possa mostrare a tutti la cassetta che stai registrando. Sei giovane, di religione diversa: distribuiscila, mettila su internet, falla circolare. Basteranno pochi passaggi mediatici e la mia immagine farà quello che le mie parabole in millenni non sono riuscite a fare».
«Perché mi fai questo, perché?» Il crocifisso non rispose. L’unico suono che si udì fu lo scatto della luce sull’affresco che si era spenta di nuovo. «Perché ?» gridò ancora Abdul. La chiesa era diventata silenziosa e buia. Il giovane riguardò agitato la ripresa. Era venuta benissimo. Si vedeva il Cristo prendere sembianze umane e parlargli come fosse vivo. Ne provò una gioia incontenibile. Sarebbe diventato famoso, avrebbe anche potuto farci un sacco di soldi. Non ci poteva credere, proprio a lui. Gli prese un’agitazione incontenibile sforzandosi di pensare cosa avrebbe dovuto fare per prima. Depositare la registrazione nella cassetta di sicurezza di una banca? Portarla con sé al suo paese? Caricarla quella sera stessa su Internet? Farne una copia? Poi pensò che forse da quella situazione non ne sarebbero derivati solo vantaggi. Non l’avrebbero infatti più lasciato in pace, lo avrebbero intervistato, fotografato, ripreso, non avrebbe più avuto una vita privata. E che cosa avrebbero detto di lui i suoi fratelli musulmani? L’avrebbero tacciato di tradimento, di servire la causa di una religione diversa dall’unica possibile, quella dei suoi padri. Però pensò che sarebbe diventato tuttavia ricco, che avrebbe vissuto di rendita per tutta la vita. Avrebbe potuto aiutare i suoi fratelli e le sorelle, i vecchi genitori. Avrebbe potuto comprar loro una nuova casa, far ricoverare il padre in una clinica attrezzata dove sarebbe stato seguito e curato. Lui stesso avrebbe potuto non lavorare più e occuparsi della sua passione: l’arte.
Nel frattempo Abdul, che provava a ragionare combattuto su questo dilemma, era uscito dalla chiesa. L’aria lo fece sentire di colpo meglio. Gli venne in mente che forse tutta quella storia era stata voluta da Allah per metterlo alla prova, per saggiare la sua fede. Cristo era solo un profeta e non era affatto il figlio di Dio. Era una bestemmia esecrabile anche solo a pensarla. Una menzogna creata ad arte dai cristiani infedeli. Di colpo gli fu tutto chiaro. La mente adesso era sgombra, le mani non gli tremavano più. Afferrò la cinepresa che aveva a tracolla, aprì lo sportelletto della cartuccia e la tirò fuori. La guardò con aria di sfida e di scherno, gettandola subito dopo a terra, dove la calpestò con il tacco riducendola in mille pezzi. «Allah è grande» disse facendo scivolare ogni cosa in un tombino.

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