Poi si era messo a piovere forte e, nella pigrizia di aspettare che migliorasse, ora dopo ora, era arrivato il momento della chiusura dell’esercizio. Sicché si era arreso all’idea di farla al self-service, il giorno dopo, prima della partenza.
Alla domenica dopo cena, se solo fosse stato possibile, pioveva ancora più forte. Oramai il momento di partire era arrivato e non c’erano più scuse.
Quando scese dalla macchina si accorse di essere probabilmente l’unica persona in giro sotto quella pioggia insistente. Si era anche alzato un vento teso che sul piazzale della stazione di rifornimento aveva fatto rotolare ed aprire alcuni sacchi della spazzatura che non avevano trovato posto nel bidone; scatolette, resti della cena, bottiglie schiacciate di plastica si rincorrevano in un gioco malinconico di inquietanti mulinelli.
Tirò fuori la banconota che il vento cercò di strappargli dalla mano. Un lampo, come un enorme e accecante flash, sembrò voler immortalare l’attimo. Attese il tuono che tardò ad arrivare. E quando deflagrò parve sorprenderlo per la violenza del rumore. Prima crepitò nell’aria, quasi dovesse prendere la rincorsa, e poi esplose sopra di lui con una tale potenza che lui abbassò istintivamente la testa per evitare schegge immaginarie anche se l’ampia tettoia in laminato lo metteva al sicuro dalla pioggia fitta e obliqua. Il cartello basculante con scritto “APERTO”, martoriato dal vento, non cessava di cigolare.
Fece scivolare la banconota nella fessura apposita; la macchina fece un paio di tentativi per raddrizzarla e saggiarne la validità e poi la ingoiò con soddisfazione nascondendola nella sua pancia fredda. Lui schiacciò sul display il tasto corrispondente all’erogatore e, in quel preciso istante, come se le due azioni fossero state collegate, tutte le luci della stazione di servizio si spensero. Il buio si prese la colonnina, la sua auto, la piazzola della stazione e il mondo intero gettando lui nell’estraniamento più totale; attorno solo il rumore della pioggia battente che cresceva con forza.
Si voltò in giro, nella speranza che i suoi occhi si abituassero al buio, ma riusciva a distinguere solo ombre confuse. Gli venne un brivido di freddo. Decise di rientrare in macchina; almeno lì si sarebbe sentito al sicuro. Ma fece appena in tempo a fare un passo di lato che si riaccesero le luci al neon e le spie luminose. Si sentì distintamente il suono dei reset delle pompe e dei dispositivi elettronici; ma sul display della colonnina era sparita l’indicazione del suo pagamento: il computer invitava a inserire una banconota per ottenere carburante. Si fece prendere dal nervoso e assestò un paio di manate alla colonnina, avvertendo però solo la sua superficie gelida e inospitale che lo respinse come una corrente elettrica.
«Serve aiuto?» sentì dire alle sue spalle.
Ebbe un sobbalzo. Dietro a lui, sotto un ombrello malandato, c’era un uomo il cui volto non si intravvedeva per il cappuccio tirato sulla testa. Non lo aveva sentito arrivare.
«Sono il gestore della stazione di servizio e abito in quella casa là» fece indicando un punto buio alla sua destra. «È già un po’ che la osservo. È in difficoltà?»
«In un certo senso…» gli rispose «…ho inserito una banconota da 50 euro, ma poi è andata via la luce e il display si è azzerato.»
«Non è uscito lo scontrino che le comprova la mancata erogazione del carburante?» chiese il gestore esaminando meglio la colonnina. Ora si vedeva meglio che si trattava di un uomo anziano, le rughe sul volto a testimoniare una vita trascorsa all’aperto.
«No. Avrebbe dovuto?»
«Sì, senza lo scontrino non potrà avere il rimborso…»
«Ma se ora lei apre la cassettina dei soldi troverà sicuramente il miei 50 come ultima banconota…»
«Non funziona così, purtroppo… anche se la trovassi, e non ho dubbi che ci sia, non potrò mai giustificare con la Compagnia il suo rimborso senza una pezza giustificativa…»
Lui rimase senza parole. «Ma è una fregatura ai danni del povero utente… io i soldi ce li ho messi!» commentò dopo qualche attimo.
«Non le faccio io le regole, signore, se dipendesse da me…» fece l’uomo allargando il braccio libero dall’ombrello.
I due si guardarono comprendendo che la discussione tra loro era già terminata.
«Gran brutta serata, vero?» aggiunse il vecchio dopo un po’ per vincere quella sorta di imbarazzo che si era venuto a creare. «Mi spiace davvero…» disse ancora riprendendo la strada di casa. Di lì a poco sparì sotto lo scrosciare della pioggia.
Lui rimase ancora per un po’ seduto in macchina cercando di ricordarsi dove fosse il bancomat più vicino. Restò in ascolto della pioggia come per avere un suggerimento sul da farsi. Poi mise in moto e partì.
Nel frattempo, la pioggia si era attenuata, tanto che di lì a poco smise del tutto, facendo piombare la stazione di servizio in un silenzio innaturale.
E in quel silenzio, si avvertì un ronzio: la colonnina aveva appena vomitato lo scontrino.
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Buona Pasqua 2022
Ma cosa voleva poi mai dire? Il talento era il talento, e lui ne aveva da vendere, lo sapeva bene, e sarebbe stato prima o poi apprezzato. Era solo una questione di tempo.
Così si preparò un mese prima. In vista della Santa Pasqua predispose un racconto molto breve da pubblicare sul suo Blog; una storia come piaceva a lui, anzi come sarebbe piaciuta a entrambi. Un testo semplice ma con una prosa a effetto, leggera ma ironica, una trama robusta ma non complicata; oltre all’immancabile colpo di scena di chiusura con un finale però aperto in modo da lasciare al lettore il desidero di rimuginarci sopra assaporando dentro di sé l’atmosfera formatasi nella mente. Fece diversi tentativi, corresse, ridusse, cambiò e limò fino a quando non fu davvero soddisfatto di quello che aveva scritto. Meno di mille parole, ma un concentrato di buona letteratura. Forse era davvero una delle sue cose migliori. Sì, avrebbe fatto centro questa volta, se lo sentiva.
Poi preparò il testo della mail. Spiegò brevemente chi era, come aveva fatto ad avere il Suo indirizzo telematico (cosa che gli avrebbe consentito anche di poter vantare presso di LUI un qualche credito in quell’ambiente, giusto per far capire che, dopotutto, non era proprio uno sprovveduto ma, anzi, che praticamente erano colleghi) e, infine, buttato lì con noncuranza, il link al Blog. E se LUI fosse stato solo un po’ curioso ci avrebbe cliccato sopra e avrebbe letto la sua storia. E il gioco era fatto. La mail del resto era garbata, conteneva per lo più un augurio gradevole, senza nessuna fastidiosa richiesta di recensione o altro, mentre il link al suo racconto sembrava lasciato per caso o addirittura per sbaglio, comunque senza forzature, anche perché il testo si intitolava proprio “Buona Pasqua 2022” sicché pareva una mera prosecuzione naturale dell’augurio già formulato nella mail, come se rimandasse a una piacevole e divertente immagine di completamento. Solo all’ultimo momento LUI avrebbe scoperto che era una composizione letteraria: un fine giallo di poche battute. E, a quel punto, sarebbe prevalsa la Sua indole di scrittore/fervido lettore e sarebbe stato letto. Poteva funzionare.
Al venerdì pubblicò il racconto sul suo Blog e poi inviò la mail, e aspettò.
Passò tutto venerdì.
Passò anche tutto sabato.
Niente.
Poi, il giorno di Pasqua, aprendo il Blog, trovò un commento sotto il nuovo racconto. Aveva il cuore in gola. Andò a controllare.
Era proprio LUI! Non ci poteva credere. Sul suo Blog c’era davvero la traccia di un grande della letteratura contemporanea anche se aveva usato uno pseudonimo, riconoscibilissimo peraltro (un personaggio famoso di un Suo libro). Il suo Scrittore per eccellenza, insomma era lì sotto i suoi occhi.
Non riuscì a proseguire.
Si alzò dalla poltrona e cominciò a girare per la stanza in prenda a vivo nervosismo, ma anche a indicibile contentezza mista a frenesia. Le gambe gli tremavano.
‘Aveva commentato, aveva commentato’ si ripeteva girando in tondo e strofinandosi le mani.
Poi prese un bel respiro e si sedette nuovamente. Doveva trovare il coraggio di leggere.
Cliccò e finalmente lesse:
«Grazie, buona Pasqua anche a te.»
Le lumache arcobaleno
Partì, ma gli occhi le divennero pesanti che non erano neppure le 22. Attivò il navigatore che le segnalava una pensioncina a Marina di Torregrilli appena uscita dall’autostrada. “Nonno Charlie” si chiamava l’alberghetto; ma anche fosse stato di infimo ordine le sarebbe andato bene lo stesso, visto che doveva schiacciare solo qualche ora di sonno.
La ragazza che l’accolse al bancone era rimasta in silenzio alla sua richiesta di una camera. Linda aveva persino avuto l’impressione che fosse straniera e che non capisse la lingua.
«Vorrei una stanza solo per questa notte» scandì bene le parole, Linda.
«Guardi che avevo capito bene anche la prima volta; pensavo che la sua fosse una battuta» rimbrottò la ragazza un po’ seccata scostandosi nervosa da un lato il ciuffo. «È che non c‘è una stanza libera nel raggio di cinquanta chilometri… lo sanno tutti.»
«Ma io non sono di qui» cercò di giustificarsi Linda «come mai è tutto occupato?»
La ragazza di nuovo non rispose. Linda si stava spazientendo.
«Per la sagra della Lumaca arcobaleno!» sbottò la ragazza dopo un po’ reagendo al tono della donna. «Lo sanno tutti!»
«Gliel’ho già detto, non sono di qui!» Poi, accortasi che stava alzando la voce, si riprese. Lesse il nome della ragazza sul distintivo che aveva sul petto e disse nel mondo più gentile possibile.
«Senta, Aurora… io sono stanchissima… mi andrebbe bene anche un divano, sono disposta a pagarla bene… purché non debba passare la notte in macchina: fa piuttosto freddo e…»
«Ci sarebbe l’appartamento di Nonno Charlie…» buttò lì la ragazza inteneritasi per quei modi diventati garbati.
«Perfetto, andrà benissimo…»
«Non le darà nessun fastidio… ci sono due stanze da letto e…»
«Le ho detto che andrà benissimo, preferirei pagare ora, però, perché domattina mi devo alzare molto presto.»
«No, per carità, niente soldi…» fece Aurora agitando davanti a sé un dito grassoccio e scuotendo vistosamente la testa. «L’appartamento non fa parte dell’albergo e non è per i clienti. Si tratta di un’eccezione. Diciamo così… lei sarà ospite di mio nonno. Vada quindi su per questa scala, all’ultimo piano, sulla destra… Non ha bisogno di chiavi, è aperto.»
«Grazie… infinitamente» rispose Linda sincera. Salì in fretta i gradini di legno che scricchiolarono al suo passaggio e arrivò alla porta. “Casa di Charlie” era ricamato su un panno a punto croce in una cornice di palissandro. Bussò.
«Nonno Charlie?» fece la donna spingendo adagio l’anta «c’è nessuno?»
Non avendo avuto alcuna risposta, esplorò l’appartamento. Era in effetti molto ampio. Ci si potevano ricavare comodamente almeno altre quattro stanze. Poi trovò una camera da letto piccolina piuttosto disadorna, vicino a un’altra di più grandi dimensioni e ingombra di oggetti e vestiti probabilmente del nonno. Si sistemò in quella più modesta, si lavò e senza neppure mangiare si mise a letto non prima di aver chiuso la porta a chiave.
«Dorme bene?» si sentì chiedere dopo una mezz’ora nel buio della stanza.
«Chi è?» chiese spaventata Linda svegliandosi di soprassalto.
La voce proveniva dal fondo del letto. C’era come un chiarore evanescente che vagheggiava sulle lenzuola, ma forse era solo il riflesso della luna.
«Sono nonno Charlie» sentì bisbigliare «la ringrazio per essersi offerta di farmi compagnia, è da molto che non viene più nessuno a trovarmi. Con la scusa che sono morto mi evitano tutti quanti…»
«Come sarebbe a dire che lei è morto?»
«Sì, dieci anni fa… mi è venuto addosso il trattore… pensavo lo sapesse… lo sanno tutti nella zona. Be’, in ogni caso, abbiamo tutta la notte per parlarne.»
Come seme di grano
La voce gli arrivò sulla spalla curva. Ma lui non se ne diede conto e continuò a sparpagliare il sale sul camminamento di ferro come fosse seme di grano.
«Si può sapere perché lo fai?» insistette il suo amico d’infanzia Roldo che non era mai riuscito a capire a fondo le sue stranezze.
«Non voglio che qualcuno scivoli sul mio ponte e si faccia male…» fu, dopo un po’, la semplice riposta.
Il passaggio pedonale in ferro scavalcava il torrente, ma in alcune mattine di inverno l’umidità dell’acqua risaliva silenziosa come una serpe indurendo le traversine con ghiaccio azzurrino e insidioso.
«Sono nato in quella casa, Ro’» disse voltandosi e indicando una casupola appoggiata pigramente al basamento del ponte «e ho quasi ottant’anni… come posso non ritenere un po’ mio questo passaggio? Me ne prendo cura, tutto qui…» fece un mezzo sospiro dispiacendosi che il suo amico non capisse. E poi prese un’altra manciata piena di sale e la fece correre sul ferro che restituì un suono di pietrisco e sabbia.
«Ecco, questa mattina ci mancava solo lei…» fece l’anziana signora Pina venendo su dalle ripide scalette. «Gliel’ho già detto mille volte di non buttare quella robaccia qua sopra, mi rovina le scarpe.» La signora Pina si era piantata all’inizio del camminamento con le mani sui fianchi cercando di incrociare lo sguardo acquoso di Beppe che invece continuava nella sua opera in modo risoluto e testardo. «Perché non fa come tutti i vecchi del paese e non se ne va a giocare a tressette al bar?» incalzò lei con gli occhi sbarrati da spiritata.
Beppe, chiuso nel suo mondo, non ribatté mentre la signora Pina, i capelli color viola pallido, gli scivolava accanto sbuffando un ‘Vecchio rimbambito’.
«Hai sentito, Ro’? Beppe è in terapia intensiva… l’ha presa proprio brutta» fece calando una carta con una certa veemenza e alzando dal tavolo il suo bicchiere con dentro due dita di chiaretto.
«Certo che l’ho sentito, Tito. Ci sono stato ancora questa mattina, in ospedale, ma non me lo hanno fatto vedere… Sembrava stesse meglio nei giorni scorsi, ma poi si è aggravato da un momento all’altro: è conciato proprio male… Sono davvero preoccupato.»
«Mi spiace proprio.»
«E al ponte? Chi ci pensa al ponte?» fece Ro’ interrogando gli amici al tavolo.
«Quale ponte?» chiese Mario guardando fuori dalla finestra le luci dei lampioni appena accesi che non riuscivano a bucare le ombre lunghe della sera.
«Il camminamento sul torrente…»
«Mah… so assai…» fece Mario calando con soddisfazione una carta. «Che vada in malora quel maledetto ponte.»
Tutti al tavolo del tressette assentirono senza dire più nulla. Si sentiva solo il fruscio delle carte consunte che luccicavano sulla tovaglia quadrettata mentre in lontananza Remo sistemava le tazzine sporche nel lavastoviglie. Dovevano ricostruire il ponte più a sud, ampliandolo, giusto per consentire il traffico veicolare; e questo già all’inizio nel nuovo secolo, ma solo quando avessero anche spostato la linea ferroviaria. Poi avevano lasciato la linea lenta dov’era facendo passare l’alta velocità sul lungo lago e ogni cosa, nonostante le promesse del Sindaco, era rimasta come prima.
«Ah… lo sai Ro’ della Pina?» fece Nando bloccandosi per aria con la carta da giocare in mano.
«No, che ha fatto ancora quella vecchia megera…?»
«Passando questa mattina sul ponte… è scivolata sul ghiaccio. E s’è rotta il femore.»
Il canto melodioso dell’usignolo
Sono proprio contento di essermi trasferito qui in campagna dal centro città. Aria profumata, colori riposanti, il silenzio. In questa notte tranquilla, poi, si sente solo il canto melodioso dell’usignolo. Niente più turisti, niente più traffico, niente più idropulitrici che sferragliano sulle strade alle quattro del mattino. Solamente sole e aria buona, cibo sano e riposo. Ah, sono in pace con me stesso.
Notte # 3
Gran bella giornata, anche oggi. Ora mi ci vuole davvero un meritato riposo. Un bel libro e un meritato riposo. Ho fatto proprio bene a sistemarmi in questa casetta. Ho le mani tutte spellate ma sono felice.
I ritmi sono diversi da quelli di città. Non c’è che dire.
Anche l’usignolo ha iniziato presto questa sera a tenermi compagnia. Non mi stancherei mai di ascoltarlo.
Notte # 6
Una giornata davvero faticosa. Non ci sono abituato.
I maggiori sforzi che facevo quando lavoravo erano quelli di scrivere al computer e parlare con la gente. Ora bisogna dissodare la terra, potare gli ulivi, innestare le piante, tagliare l’erba e riporre la legna e poi… e poi le galline. Perché ho comprato le galline? Non mi bastava andare al market e comprare le uova? Anche se qui non è come nella grande distribuzione giù in città dove trovi di tutto: sugli scaffali ci sono appena quattro cose e di marche sconosciute.
E poi la terra è propria bassa. Ma perché l’hanno sistemata così in basso?
Per fortuna posso dormire in tranquillità in questo silenzio stupendo.
Certo: sembra che l’usignolo aspetti proprio il momento in cui mi corico. Tocco il letto e lui canta. Canta bene, per carità, ma canta. Gran parte della notte. Anzi, a me sembra tutta la notte. Si azzittisce solo all’alba.
Chi potrebbe però vantarsi di avere un usignolo personale, come ce l’ho io? Forse nessuno.
Forse perché non è una cosa di cui vantarsi. Ha due polmoni supplementari, questo volatile? Fischia, trilla e gorgoglia. Non potrebbe acquietarsi anche solo un po’ e farsi un giro? Che so, andando a usignole o a mettere in ordine il nido o a far la spesa?
Notte # 14
Oggi ha grandinato fortissimo: non avrò nemmeno un frutto questa estate. Sono bastati pochi minuti di grandinata e il prato è diventato tutto bianco. Per fortuna avevo riparato la macchina. C’erano però a terra fiori, foglie e gemmine già turgide. Un disastro. C’erano anche dei nidi di merlo spaccati a metà con le uova rotte.
Vado a dormire. Non ci voglio pensare. Che nervoso.
Chissà perché l’usignolo è sempre sopra all’albero accanto alla mia camera da letto. Forse ci ha fatto il nido? Il suo nido evidentemente è rimasto intero! Il merlo sì e l’usignolo no. Non c’è giustizia distributiva tra gli uccelli?
C’erano altri 32 alberi a disposizione dove poteva stare…
Notte # 16
Potrei convincere l’uccello ad andare da un’altra parte. Potrei scuotere l’albero o i rami oppure potrei uscire di notte con una di quelle trombette da stadio… ma no ma no, che dico? Mi farei odiare dai vicini; già mi guardano in modo strano ogni volta che passo per la strada; sì ho la macchina lussuosa e allora? Ho lavorato una vita per comprarmela. E ora che sono in pensione ho voluto regalarmela. Che colpa ne ho io se siete tutti dei contadini poveracci?
No, la tromba da stadio non va bene.
E se segassi l’albero?
Ma no… mi fa ombra sulla camera da letto ed è fresca per questo. E poi è un olivo di Boemia con un profumo dolcissimo di vaniglia…
Notte # 21
(si sente un colpo di fucile)
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