Onore e Forza

«Come casa vostra?» fece Banco squadrando stupefatto e in malo modo i due. «Questa è casa mia!»
«Figliolo, ti sbagli» ribadì Franz, i cui occhi luccicavano dalla contentezza. «Quello laggiù, in fondo alla sala, è il mio studio. Quella la cucina e la porta che dà sul giardino! Vedo persino la mia amaca in giardino!»
«Già!» fece di rincalzo Nora «e quella è la mia poltrona preferita dove mi siedo di solito per leggere e riposarmi. C’è persino il mio gatto Aristotele, non lo vedi? Mi sta pure venendo incontro!»
«Ma quale gatto!?! Ma quale amaca!» rimbeccò Banco avanzando nell’abitazione. «Questa è la mia camera da letto, il mio computer Apple, le mie invenzioni… insomma la mia stanza. Saprò riconoscere casa mia o no?»
«Va bene» sorrise conciliante Franz «mentre tu ti rilassi a casa tua, io vado nel mio studio a prendermi un sigaro… è tanto che non ne fumo uno!»
«Io invece» gongolò Nora, quasi gorgheggiando dalla felicità, «mi coccolo il mio gattone che è un secolo che non vedo…»
«Mi sembrate tutti matti…» sentenziò Banco dirigendosi al suo tavolo. ‘Su questo Tessa, aveva proprio ragione’ pensò il giovane. Accanto al computer trovò la fascia azzurra di Tago ed ebbe un sobbalzo al cuore. La prese e se la mise attorno al polso sinistro, avendo deciso che, da quel momento, l’avrebbe sempre portata con sé in ricordo del suo amico. Franz, nel frattempo, girava per la stanza. Il ragazzo lo guardò meravigliato: stava effettivamente fumando un sigaro.
«Dove hai trovato quel sigaro a casa mia?» gli chiese Banco. «Da me nessuno fuma…»
«Ma se ti ho appena detto che l’ho preso dal cassetto del tavolino del mio studio!» gli rispose spazientito Franz. «Mi meraviglio di te giovanotto, mi sembravi un tipo che comprendeva le cose al volo…»
A Banco venne un sudore freddo. Si voltò verso Nora: teneva tra le braccia un gatto che stava accarezzando.
«Ragazzi, qui c’è qualcosa che non va…»
«A parte te, figlio mio, che mi sembri piuttosto svanito, va tutto benissimo» se ne uscì Franz molleggiandosi sulle punte. «Ci siamo liberati in un colpo solo dei Soci rimbambiti e siamo pure tornati a casa, sani e salvi. Non so come sia potuto accadere, ma è meraviglioso che sia successo» Poi rivolgendosi alla moglie: «cosa c’è cara per cena?»
«Ma non capite?!?» fece Banco.
«Cosa dovremmo capire?» domandò Franz in una nuvola di fumo.
«È una trappola! Il fatto che siamo in questa Immagine e in particolare in questa casa che ognuno di noi ritiene contemporaneamente essere la propria, è frutto di una manipolazione della Banda dei Malvagi che vuole sbarazzarsi di noi. I Soci si stanno già eliminando fra di loro, per cui rimanevamo solo noi che non eravamo mascherati da nessun personaggio e non potevamo subire influssi negativi di immedesimazione. I Malvagi dovevano pensare a qualcos’altro e così ci hanno attirati qua dentro. Sta per accadere qualcosa, lo sento… dobbiamo uscire da questo posto e anche subito!»
«Non essere così agitato, mio caro… hai avuto molte vicissitudini, anche dolorose, lo sappiamo, ma ora è finita. Adesso che siamo a casa ti faremo accompagnare là dove abiti e ci prenderemo tutti quanti un lungo periodo di meritato riposo!» concluse soavemente Nora come se stesse spiegando una favola.
«Ma noi non siamo affatto a casa vostra, né a casa mia! Lo volete capire? Siamo ancora su una Immagine sconosciuta, creata chissà dove. Come si spiega che io ho appena preso dal mio tavolo di casa questa fascia che era di Tago e voi avete prelevato dalla vostra abitazione il sigaro e il gatto? È fisicamente impossibile essere in due posti diversi allo stesso istante».
Davanti a questa obiezione Franz e Nora non seppero come replicare. Effettivamente, Banco aveva al polso un oggetto che a casa loro non c’era e che prima non aveva.
‘Ma forse il ragazzo ce l’aveva in tasca già da prima’ pensò Nora riallineandosi gli occhialini d’oro sul naso ‘e l’ha tirato fuori solo per farci uno scherzo’.
In quello stesso istante, un posacenere si staccò da un tavolo e mirò al panciotto di Franz prendendolo in pieno. L’uomo accusò il colpo piegandosi in due. Nel frattempo un quadro volò in direzione della donna centrandola alla testa. Banco, per prontezza di riflessi, si buttò sul pavimento riuscendo ad evitare il suo monitor che lo avrebbe preso in piena pancia.
«Raggiungiamo il bagno, raggiungiamo il bagno…» urlò Banco.
«Quale?!?» chiese la donna «quello di casa nostra o di casa tua?».
«Ma è lo stesso! Prendete piuttosto degli asciugamani, purché siano bianchi, e mettetivici sotto!»
I tre, camminando a gattoni, raggiunsero il bagno. Franz, che faceva molta fatica a spostarsi, alzò la testa per poter individuare meglio dove fossero gli asciugamani in questione: ma subito la cipolla della doccia lo colpì a tradimento sulla schiena facendolo cadere sulle piastrelle. Appena i tre riuscirono a sistemarsi sotto gli asciugamani bianchi, gli oggetti smisero di colpirli.
«Ma cosa è successo?» chiese Nora che, così conciata, sembrava una pellegrina di Lourdes.
«Questa casa è un’immagine stregata» spiegò Banco «e gli oggetti in essa contenuti sono attirati dai colori. E il bianco è assenza di colori! Per questo hanno smesso di centrarci.»
«Ma sarà poi vero?!?» fece Franz mettendo la testa fuori dall’asciugamano. In quel preciso istante, la cipolla della doccia, che lo stava aspettando per aria, gli assestò un altro colpo secco sul mento.
«Ok ci credo, ci credo!» piagnucolò l’uomo con le mani alzate e il corpo completamente coperto dall’asciugamano «Non lo faccio più!»
«E come hai fatto a capire che dovevamo fare così?» gli chiese Nora.
«Non saprei…» rispose Banco che effettivamente non si capacitava di questa perspicacia «…è una cosa che ho sentito dentro».
Il giovane, da quando era entrato in quella casa, si sentiva in effetti davvero strano. Come se avesse delle intuizioni o delle premonizioni in fatto di magia e malefici. Poi guardò la fascia di Tago che aveva ancora legata al polso sinistro e solo in quel momento sentì come un bruciore acuto. Si levò in fretta la fascia per accertarsi cosa stesse accadendo: vide che gli si era impresso sul polso, a fuoco, un segno. Guardò bene e si accorse che si trattava del Nodo celtico ‘Onore e Forza’ di cui gli aveva parlato Tago, lo stesso che era disegnato sulla fascetta. Banco ne rimase sorpreso. Cercò anche di farlo andar via sfregandolo con la maglia, ma era profondo e persistente, come fosse un tatuaggio. Avvertì un sudore freddo per tutto il corpo e un calore bruciante alle orecchie. Non ci poteva credere. Il simbolo celtico era trasmigrato in lui. Si spaventò. Cercò di fregare con ancora più energia per togliere quel marchio. Ma era sempre lì a testimoniare un mistero che ora si era impresso in modo indelebile nella sua carne.
Il ragazzo si rese allora anche conto che purtroppo era altrettanto vero che Tago non c’era più. Il passaggio di consegne da Druido a Druido poteva essere avvenuto solo con la morte del Druido donante. Si rattristò molto per questa certezza anche se percepì che l’amico ora lo stava proteggendo dalla Dimora dell’Ultimo Cielo, come gli aveva raccontato, e che lo avrebbe aiutato come del resto aveva fatto in vita. ‘Ma come posso essere io un Drudo eletto?’ si chiese ‘sono un semplice e normale ragazzo… non mi si può chiedere questo, non ne sono capace, non ne sono assolutamente capace’. Chiuse gli occhi cercando di non farsi prendere dallo scoramento. Poi si riprese.
«Cerchiamo di uscire…» fece Banco agli altri con piglio risoluto.
I tre scivolarono fino alla porta, coperti dagli asciugamani, e l’aprirono. Ma non fecero in tempo a mettere il naso fuori che una fitta sassaiola si alzò nella loro direzione. Nel legno della porta, subita richiusa, si conficcarono persino alcune frecce ed una lancia. Mentre loro si trovavano in quella casa stregata, il gruppo di assalitori aveva evidentemente approfittato per avvicinarsi. Banco notò che i volti di Franz e Nora si erano fatti pallidi, prima di vederli sparire sotto i larghi asciugamani.
«Uscite da lì dentro, siete circondati!» fece una voce dura e nervosa.
«Cosa volete?!?» gli fece di rimando Franz guardando in direzione della porta come se il suo interlocutore fosse proprio lì davanti a lui.
«Siamo arrivati alla conclusione» disse la stessa voce in tono autoritario «che il Gator ce l’abbiate voi!»
«Era quello che temevo» mormorò Banco a Franz e Nora. «Alla fin fine, le due parti in lotta o addirittura quella vincitrice sull’altra, si sono convinte che nessuno di loro aveva il Gator e che solo i Capi, cioè voi, potevano sapere dove fosse sistemato!»
Franz ascoltò attentamente il ragazzo e poi gli chiese:
«E se Saruman avesse ragione e ce l’avessimo davvero noi il Gator? Noi nel bagno di casa nostra ce l’abbiano il navigatore, e anche tu nel tuo, Banco, a quanto mi risulta, per cui…»
«È la prima cosa che ho controllato, Franz, non c’è il Gator in questa abitazione, né nel bagno, né da nessuna altra parte» fu la risposta esauriente del giovane. «Ritengo che questa casa non sia la copia esatta delle nostre rispettive dimore. Non potrebbe esserlo. Del resto la Banda dei Malvagi ha creato questa Immagine truccata per intrappolarci, non certo per offrirci una via di scampo».
«Hai ragione Banco: a volte sono proprio uno sciocco…» poi urlando all’interlocutore appena fuori dall’uscio: «Noi non l’abbiamo il Gator… se l’avessimo ce ne saremmo già andati!»
«Non è necessariamente vero!» sentenziò l’assediante «forse semplicemente non funziona e bisogna solo ripararlo! Certo è che prima sulla collina questa casa non c’era e se ora è apparsa dal nulla di sicuro nasconde qualcosa! Non saremmo mai arrivati qui comandati da voi se non ci fosse stata la possibilità di un ritorno».
Quella frase risuonò nella casa come fosse stata vuota. ‘Il ragionamento non fa una grinza’, pensò Franz rendendosi conto che qualunque altro argomento avesse tirato fuori non sarebbe stato credibile. Il dialogo con gli assedianti era entrato in una fase di stallo, che rivelava, per la verità, una mancanza totale di idee da entrambe le parti; poi l’edificio, come se avesse ubbidito ad un meccanismo a impulsi sonori, cominciò lentamente a roteare su se stesso. Il primo giro fu lento, nell’incredulità generale: pensarono potesse trattarsi di un terremoto, ma considerarono anche che nessuna scossa sismica poteva far girare in quel modo le case. Il secondo giro fu più rapido e poi, via via, tutti gli altri divennero sempre più veloci. Banco, Franz e Nora vennero prima sbatacchiati contro i mobili e le suppellettili che cadevano frantumandosi, poi vennero schiacciati contro le pareti per la tremenda forza centrifuga che si stava sviluppando. L’abitazione ben presto diventò una trottola che girava vorticosamente attorno al proprio asse. In quel vortice violento, che non permetteva quasi neppure di respirare, Banco chiuse istintivamente gli occhi. Dopo qualche secondo provò una fitta lancinante al petto. Portò la mano all’altezza dello sterno: lo sentì caldo, quasi bruciante. Quindi sentì le mani di Tago che lo tiravano fuori dal corpo. Era come se venisse fuori da una muta in neoprene da sub, solo che subito dopo avvertì una sensazione di liberazione e di improvvisa leggerezza. Si volse attorno: era davvero uscito da se stesso; vedeva infatti la casa, ora perfettamente immobile, ma anche Franz, Nora e se medesimo, schiacciati contro le pareti in un turbinio di oggetti che roteavano assieme a loro, ma ugualmente sospesi nell’aria. Osservava, in altre parole, una fotografia tridimensionale fissa di quello che stava accadendo attorno a lui, pur standoci dentro. Si portò fuori dalla abitazione attraverso i muri, senza fatica, semplicemente fluttuando sollevato da terra; girandosi indietro poté cogliere l’intera costruzione nelle sue linee essenziali come in una radiografia dove non fossero rimaste impresse le pareti trasparenti. Poté quindi accorgersi che, dinanzi alla porta d’ingresso, c’erano una decina di Soci nell’atto di confabulare fra loro. Uno di loro, assomigliante moltissimo a Saruman come lo aveva visto al cinema, si trovava in piedi e stava arringando gli altri che lo ascoltavano attentamente. Erano, ovviamente, anche loro bloccati, come tutto ciò che lo circondava, in un fotogramma fisso che li immortalava in espressioni e atteggiamenti bellicosi.
‘Dunque è stata la fazione di Saruman quella vincente’ pensò Banco. Per terra, ammucchiate ai loro piedi, c’erano centinaia di pietre, frecce e lance pronte per essere scagliate. Dalla parte opposta c’erano invece due creature che sarebbe stato erroneo definire umane per il loro aspetto informe: sembravano uscite dal peggiore degli incubi, da quelli cioè da cui non si riesce a svegliarsi nonostante tutti gli sforzi possibili. Le orbite degli occhi erano vuote fatta eccezione per un puntino giallo al centro di esse. Il viso era senza espressione, come di pietra. La fronte sfuggente terminava in pochi capelli radi e lunghi che si perdevano orizzontali dietro alla loro testa, forse per il vortice d’aria creato dal movimento dell’abitazione. La mascella era massiccia, spropositata. Il torace possente e carenato, gonfio e ispido, mentre le zampe erano robuste e nodose. Dai piedi larghi e muscolosi fuoriuscivano possenti artigli che affondavano sul terreno per far presa su di esso. Le creature goffe e mostruose erano protese con il corpo verso la casa, intente a soffiare con grande forza: era con evidenza questo il motivo per il quale l’abitazione aveva preso a roteare vertiginosamente. Banco girò attorno alle due belve immonde. Le vedeva alla sua mercé allungate nello sforzo di soffiare con tutta la potenza che avevano a loro disposizione. Si sorprese nel sentirsi straordinariamente tranquillo, sereno, padrone della situazione, senza età e senza quel senso di nausea e di vertigine che fino a pochi istanti prima lo avevano oppresso per effetto della violenta roteazione; anzi, ogni cosa attorno a sé sembrava avere persino un senso, una giustificazione, un perché; provava fin’anche la sensazione che l’Universo intero stesse attendendo la sua decisione e fosse in ascolto dei suoi pensieri, percependo la posizione ‘logica’ di quella Immagine nell’immensità del Creato. Che fosse quello il Potere delle Ombre cui aveva fatto riferimento Tago? Studiò con calma il da farsi. Poi pensò a cosa avrebbe fatto Tago se si fosse trovato al suo posto in quella situazione. Gli venne in mente di quando il suo amico aveva eliminato IT. Avrebbe potuto fare altrettanto? Vide che dentro alla casa, la sua, stavano roteando, con il resto della mobilia, pezzi di cucina, oltre a stoviglie, posate e diversi altri oggetti. Forse con quelli poteva tentare una sorta di contrattacco. Decise di rientrare nel proprio corpo, anche perché in quella condizione di spirito non era in grado fisicamente di fare alcunché. E quando si avvicinò a se stesso ebbe come compassione per quella spoglia umana, così fragile e così esposta al dolore ed alla morte. Poi ruppe gli indugi rientrando nella sua tuta umana, avvertendo così, subito dopo, tutta la pesantezza e gravità di un simile passaggio, come avesse indossato un’armatura di piombo. L’esperienza era stata inebriante, non poteva nasconderselo: ma era stata anche estenuante e, comunque, ancora non credeva gli fosse accaduta davvero. Rientrando dentro di sé, la casa immediatamente prese a roteare all’impazzata. Tutti gli oggetti che prima, come spirito, aveva visto fermi a mezz’aria ora li poteva osservare mentre gli passavano accanto, liberi, a velocità elevatissima. Tant’è che un grosso mestolo da cucina, per la forza centrifuga, gli si appiattì addosso. Lo impugnò e, trascinandosi sulle pareti della sua camera, si spinse fin verso la finestra che per il grande scuotimento si era spalancata. Agguantò il termosifone, quello sotto cui era rimasto incastrato il Gator poco prima di partire per quella pazza avventura e, infilando il mestolo tra gli elementi del termosifone stesso, ne spaccò la parte a cucchiaio. Poi, tenendosi con una mano al davanzale della finestra, si protese all’infuori. Chiuse gli occhi perché aveva capito che solo in questo modo avrebbe potuto vedere i Demoni. La casa aveva ormai preso una velocità insostenibile. Banco era pressoché schiacciato contro uno stipite. Vedeva in basso le creature infernali passargli davanti ad intervalli di poche frazioni di secondo. Non riusciva a muoversi nonostante i suoi sforzi. Dovette mollare la presa del termosifone anche se la forza centrifuga lo teneva ormai bloccato nell’angolo della finestra. Si agganciò allo stipite penzolando pericolosamente nel vuoto. Lanciò un urlo per darsi coraggio, allungando ancor più verso l’esterno il braccio con cui impugnava il mestolo scheggiato. Fu così che al primo Demone furono trapassate le guance come fossero di burro e al secondo il mestolo entrò addirittura in gola spezzandosi in più punti. Trascorsero ancora alcuni secondi, ma poi vide che le due creature si erano accasciate al suolo rantolando per il dolore e dimenandosi come ossessi: non presero fuoco come avrebbe desiderato, ma le loro urla echeggiarono ugualmente in tutta l’Immagine facendo tremare finanche il terreno e atterrire il ragazzo, che si sentì raggelare il cuore. Appena i Demoni smisero di soffiare la casa cessò immediatamente di roteare. L’arresto fu così repentino che Franz e Nora, per inerzia, andarono a sbattere contro la parete opposta della stanza finendo a gambe all’aria tra cuscini, pentole, libri e quadri. Banco, invece, dopo esser rimbalzato contro lo stipite della finestra andò a incastrarsi dentro al suo armadio le cui porte si erano divelte. I visi di Franz e Nora avevano preso un colorito che si sarebbe detto tendente al verdastro. Franz aveva ancora in bocca il sigaro, che però era spezzato in due. Il troncone rotto era ancora legato da un filo di foglia di tabacco a quello incastrato tra i denti dell’uomo, e penzolava come un metronomo. Nessuno dei due stava bene, né era in grado di parlare. Anche Banco si sentiva sottosopra, come fosse caduto dentro a una enorme lavatrice in centrifuga. Dette di stomaco, anche per l’emozione di quanto gli era appena accaduto. Se ne stette così, sul pavimento della sua stanza, a interrogare le piastrelle fredde, quasi avessero potuto spiegargli le ragioni delle sue disavventure. Quindi, riavendosi, disse più a se stesso che rivolto ai suoi compagni:
«Credo che ora sia tutto finito. Dobbiamo solo occuparci di quei matti dei Soci, là fuori ».

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