È un film (volutamente) sopra le righe, senza che io sia riuscito a comprendere il perché dovesse per forza esserlo e, soprattutto, perché dovesse rinunciare ad avere, solo per questo, un proprio equilibrio, un proprio garbo o un tocco più leggero.
I grandi attori che vi hanno preso parte, più che un proprio ruolo, si sono ritagliati un (modesto) cammeo (parlo di Channing Tatum, Tilda Swinton, Scarlett Johansson e Ralph Fiennes) decisamente sotto utilizzati e calati in un ruolo macchiettistico che svilisce la loro caratura. Tatum è il meno convincente di tutti, perché poteva risparmiarci il suo balletto stile off broadway o la posa tenebrosa da Napoleone Bonaparte in esilio mentre in piedi sulla barca si avvicina al sottomarino russo.
L’interpretazione di George Clooney è tuttavia molto curata e si fa nel complesso apprezzare per le doti di versatilità e simpatia dell’attore, mentre è molto convincente e di ottimo spessore, la prova del protagonista Josh Brolin nella parte del ‘fixer’ Eddie Mannix (immagine qui sopra) e anche quella, buona, di Alden Ehrenreich (foto sotto) nella parte dell’attore impacciato Hobie Doyle. Ma soprattutto il personaggio di Mannix è ben scavato, tridimensionale e credibile, e reggerebbe già da solo il film.
Più che una trama il film fa leva sullo spaccato di un’epoca del cinema hollywoodiano post-muto peraltro solo in parte riprodotta nella sua atmosfera globale (con l’accenno all’esperimento atomico dell’atollo di Bikini e alla Lockheed Corporation). A tratti il film riesce dunque a compattarsi acquisendo una propria armonia e fluidità interna per poi improvvisamente perdere l’una e l’altra e disunirsi.
Insomma una pellicola che non rimane né nella testa, né nel cuore se non per alcune sporadiche scene che non giustificano però una valutazione del tutto positiva.
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