Una strategia sbagliata

L’operaio alza entrambi le mani per prendere l’equilibrio: sembra un airone impacciato, indeciso se spiccare il volo o no. Il tetto luccica di umido per la nottata invernale. È senza casco, senza imbracatura, senza scarpe antiscivolo. Ogni tanto si sporge verso il cortile per prendere ordini da un altro operaio che, trenta metri più in giù, anche lui senza protezione alcuna, si aggira sotto un’impalcatura che per ragioni di sicurezza andrebbe abbattuta. Mi domando, loro che si scambiano vocalizzi in dialetto di Valona, cosa ne sappiano del pacchetto sicurezza. Non solo di quello appena varato, ma anche di quello in vigore fino a ieri. Nel nostro Paese dei Mille Balocchi quando qualcosa non funziona, anziché far rispettare le leggi che ci sono, si sente il bisogno di crearne delle nuove. Poco importa se mal si coordineranno con le precedenti creando problemi di interpretazione o se rimarranno per lo più inapplicate: l’importante è dare una risposta formale a una esigenza concreta, anche se il reale problema non sarà neppure sfiorato. Von Clausewitz sosteneva che se la strategia si rivela sbagliata la battaglia non si vince aumentando il numero dei carrarmati, ma cambiando appunto strategia. Ci vorrebbero insomma più controlli, più verifiche, dimostrare più seriamente la presenza dello Stato anche nel rispetto di queste norme e non limitarsi a riempire le gazzette ufficiali. Ma ecco: l’operaio equilibrista è appena inciampato su un coppo. Mi viene un tuffo al cuore. Si guarda in giro e sorride. No, non cadrà. Non oggi.

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