Il protagonista, come si capisce dalle prime battute, è però del tutto scollegato dalla realtà che nonostante si dipani in tutta la sua crudezza intorno a lui, non lo tocca in alcun modo né lo interessa; continua infatti a seguire il filo dei suoi pensieri tutti proiettati a ben figurare sui social o sul proprio blog tanto da allontanarsi poco dopo dal luogo del sinistro, convinto di non esserne coinvolto, per poter redigere una storia (appunto da pubblicare sul proprio sito) che lo stesso incidente gli ha ispirato.
Il racconto vuol mettere a fuoco quello che potrebbe diventare presto (anche se forse esiste già, per fortuna in scala molto ridotta) il ‘prodotto’ cinico e indifferente dei media digitali, più adatti a creare soggetti che, pur essendo paradossalmente collegati con il mondo intero e virtualmente connessi gli uni agli altri, sono in realtà del tutto isolati e soli, privi di concretezza pratica, oltre che sconnessi dalla realtà e potenzialmente anafettivi.
Il racconto trae poi spunto da un lontano personale ricordo in cui, proprio per distrazione del guidatore (ma allora non c’erano gli smartphone) vidi effettivamente il cofano della macchina su cui mi trovavo, a seguito del violento tamponamento, accartocciarsi mentre lo stavo guardando. Lo trovai impressionante ed è rimasto, per questo motivo, scolpito nella mia mente in tutti questi anni. Il resto del racconto è venuto da sé, prendendo corpo questa volta più nel corso della scrittura che in quella di ideazione.
Ho effettivamente una zia in Venezuela ma non ha i capelli rossi.
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