Una trappola bianca

«Non credo proprio sarà così facile fuggire da qui…» se ne uscì Banco finito lungo disteso per terra nel tentativo di evitare un chiodo esplosivo. «Già!» rispose gelido Tago. «Ma che hai?» gli chiese l’amico, che aveva trovato strano quel tono di voce. Poi Banco si accorse che Tago stava guardando fisso davanti a sé con gli occhi spiritati. Si girò per vedere cosa fosse: un enorme Ragno Verde era fermo davanti a loro a qualche metro di distanza in atteggiamento di caccia. Batteva impercettibilmente la zampa anteriore destra per terra. «Mmma non avevi detto che i Ragni durante la trasmissione se ne stavano buoni buoni?» fece Banco alzandosi lentamente da terra. «Certo! Quando la luce dà loro fastidio … ma il trailer che abbiamo appena visto è stato completamente girato al buio…l’ambiente naturale di questi mostri…» Tago aveva preso a retrocedere con circospezione, quindi mormorò: «Quando te lo dico io, corri il più velocemente possibile. Cerchiamo di trovare scampo nella zona degli Alberi Armadio». «Degli alberiche?» «Tu corri dietro a me, quando sarà il momento ti spiegherò». Il Ragno Verde fece un altro piccolo passo verso di loro estraendo dalla bocca una protuberanza a forma di lancia che terminava a sua volta con un uncino gocciolante di bava che estroflesse ulteriormente. «Ora!!!» gridò Tago. Banco non se lo fece ripetere una seconda volta. Il Ragno, proprio nell’istante in cui i ragazzi scattarono all’indietro, lanciò contro di loro la sua protuberanza uncinata, che, conficcandosi nel tronco di una pianta, lo fece rimanere agganciato. I due giovani invece corsero a per di fiato, evitando per un paio di volte l’abbraccio di un paio di cactus che cercarono di afferrarli al volo; un Cespuglio Frustatore però, nonostante Tago l’avesse avvertito, colpì Banco duramente all’altezza dei reni facendolo piegare a metà dal dolore. «Fatti forza!» lo esortò l’amico che l’aveva visto in difficoltà «siamo quasi arrivati! Fai presto, sbrigati!» Il Ragno Verde, infatti, era riuscito a liberarsi e ora stava guadagnando terreno. «Ecco, ci siamo!» gli comunicò Tago indicando il tronco quadrato di un albero di grosse dimensioni. «E da dove si entra?» domandò confuso Banco che si stava facendo prendere dall’agitazione per il pericolo che incombeva alle sue spalle. Tago non rispose, si avvicinò ad un altro albero del tutto simile, che si trovava poco distante; tirò una maniglia ricavata all’interno del fusto aprendolo come un armadio: l’interno era capiente e completamente vuoto. Banco si girò a controllare ancora il suo inseguitore: il Ragno stava galoppando ventre a terra nella sua direzione. Ora era già in grado di distinguere l’uncino fuoriuscire dalla protuberanza a lancia e la ferocia degli occhi. Non perse tempo, tirò anche lui la manopola che finalmente aveva individuato ed entrò nel tronco. Dentro c’era un sedile. Si accomodò tenendo tirato a sé lo sportello che non aveva un fermo. Di lì a poco arrivò il Ragno Verde. Lo sentì che stava fiutando il fusto. Udì anche che con le zampe toccava la pianta, che, essendo vuota, rimbombò. Con le ganasce dentate, l’aracnide afferrò la manopola che cominciò a scuotere. Banco prese la maniglia dalla parte interna, ma avvertiva che il Ragno era più forte di lui. La porta gli stava infatti sgusciando di mano essendo sudata per l’emozione e la paura. Ma il Ragno dopo un po’ mollò la presa. ‘Forse non è poi così furbo come si può pensare’, rifletté Banco. La sua relativa sicurezza non durò tuttavia molto. La spaventosa creatura, infatti, iniziò a conficcare con forza la proboscidelancia nella porta fino a quando non riuscì a trivellarla. Dal foro così praticato fece entrare l’uncino quel tanto che bastava per spruzzare un liquido giallastro, purulento, che sfiorò Banco che si era appiattito contro una parete della pianta. Il liquido denso, dove cadde, corrose il legno spandendo, in quell’angusto abitacolo, un fumo fitto e irrespirabile. Banco, senza mai mollare la presa della manopola, mise l’altra mano dentro il suo zainetto. Non vedeva niente anche perché quei vapori gli stavano bruciando gli occhi: ma ecco che, dopo aver rovistato alla vana ricerca del boomerang, riuscì finalmente ad afferrare qualcosa di consistente. Tastando meglio capì che era il suo martellotenagliacacciavite, un tutt’uno prezioso per il bricolage. Con violenza cominciò a colpire quella porzione della proboscide penetrata nel tronco. Dovette averlo fatto con molta energia perché il Ragno Verde non solo ritirò l’uncino, ma batté anche in ritirata. Banco spiò dal foro praticato dal Ragno per sincerarsi, prima di uscire, che la bestiaccia se ne fosse davvero andata. Poi timidamente aprì lo sportello. L’assedio era terminato. «Bella mossa!» sbottò Tago mettendo una mano sulla spalla di Banco che, non avendolo visto, né sentito uscire dal proprio nascondiglio, fece un salto dallo spavento. «Cosa hai usato questa volta?» insistette Tago divertito per l’inventiva del suo amico. «Un utensile del faidate. Però non farmi più di questi scherzi in un posto come questo: la prossima volta, prima, chiamami, non arrivarmi alle spalle come un’ombra». Tago sorrise. Quel sorriso simpatico, nonostante il viso sfigurato, lo mise di buon umore. «Sei pieno di risorse…» Poi, guardandosi in giro: «sono utili questi nascondigli, vero?» gli chiese Tago, voltandosi verso gli alberi quadrati, non nascondendo la propria soddisfazione. «Sì. Forse non sono proprio resistenti, ma utili senz’altro! Li hai costruiti tu?» domandò l’amico massaggiandosi i reni là dove aveva ricevuto la botta del Cespuglio Frustatore. «Già! È possibile crearli solo in questi tipi di alberi, che sono gli stessi poi che producono quelle pigne che sanno di cappuccino…» Banco annuì cercando di osservare meglio la pianta da vicino. Tutto sommato ne avrebbe assaggiato un altro di quei frutti prelibati. «L’unico problema di questi nascondigli sono le formiche…» ammise Tago. «Quali formiche?» «Quelle che hai addosso!» Banco si guardò la maglia. Era piena di formiche gialle a pois blu della grandezza di un centimetro. Cercò di levarsele urlando. Ma gli insetti gli avevano già invaso i capelli, i pantaloni e le scarpe. * «Mi sento strano, Tago» gli confessò Banco sedendosi sul pavimento del loro rifugio, dopo essersi liberato dalle formiche grazie alla nuotata nel fiume. «Non riesco a tenere gli occhi aperti». I due ragazzi avevano raggiunto l’unico posto dove avrebbero potuto stare relativamente tranquilli. «È colpa delle formiche» rispose Tago rassicurante. «Come sarebbe a dire?!?» «Emettono un gas soporifero a lenta azione. L’effetto curioso è che fanno fare sogni belli e dolcissimi da cui non ci si vorrebbe più svegliare». «E per quale motivo il tuo tronco non ne aveva?» «Perché nel mio non c’era un nido come nel tuo… Ho dovuto infatti costruirne uno nuovo proprio per quella ragione: ho provato di tutto ma non c’è stato modo di scacciarle da quell’albero. Scusami… me ne ero proprio dimenticato». Banco non stava neppure più ascoltando. Le palpebre gli si era abbassate a mezz’asta. Di lì a pochi secondi piombò in un sonno profondo. Come gli aveva detto l’amico, il giovane sognò che era a casa sotto le lenzuola a dormire mentre fuori pioveva; si stava godendo il fatto che l’indomani fosse festa e non avrebbe dovuto alzarsi presto; era felice perché, contrariamente al vero, la scuola gli andava benissimo: il profitto era ottimo, i professori lo portavano ad esempio a tutta la scolaresca, era popolare tra i compagni, e tutti lo cercavano per avere la sua compagnia o per ascoltare la sua opinione; tutte le sue invenzioni funzionavano al primo tentativo e gli venivano in mente idee sempre più geniali. Persino la ragazza bruna della IIB, quella dalle labbra indimenticabili, lo aspettava sorridente sulla porta del liceo. Insomma: si sentiva pervaso da una beatitudine appagante, come quella che aveva provato stando seduto sulla poltrona paradisiaca nella biblioteca della Sede della Compagnia. Ma il sonno, benché intenso, durò poco. Quando Banco si svegliò si accorse che anche Tago si era addormentato, anche lui aveva fatto il pieno di emozioni e un buon sonno l’avrebbe senz’altro ristorato. Si mise ad osservarlo mentre dormiva, accorgendosi che il suo sonno era molto agitato, tanto che sembrava lottasse contro qualche animale terribile; poi l’amico, all’improvviso, dopo aver fatto un movimento brusco con le mani come per proteggersi il volto, aprì gli occhi sbarrandoli. «Calmati, è solo un incubo» mormorò Banco cercando di tranquillizzarlo. Tago si tirò su e, passandosi una mano sulla fronte sudata, sospirò. «Che sogno terribile. Ho sognato che ci trovavamo in una trappola». «Non hai sognato sbagliato, amico mio» gli rivelò Banco passandogli un bicchiere colmo di acqua piovana. «Cosa vuoi dire?» «Poco fa, aspettando che tu ti svegliassi, stavo guardando verso la riva. Vedevo del bagliore che prima non c’era, poi ho capito!» «Di quale bagliore stai parlando?» chiese Tago preoccupato. «Di quello lì!» e indicò fuori. A 360° si ergeva, tutto attorno al rifugio, una barriera altissima e bianca su cui la luce della luna si posava rendendola ancora più lattescente. Le pareti candide chiudevano le rive del fiume da ogni parte attraversandolo sia a monte che a valle. «Ma quelle sono… ma quelle sono…» si ripeteva Tago che non aveva il coraggio di finire la frase. «Esatto!» completò Banco: «sono ragnatele! I Ragni hanno approfittato del fatto che stessimo dormendo e ci hanno chiusi dentro. E dire che credevamo non potessero né vederci, né fiutarci. Ora, anche se uscissimo dal nostro rifugio – e prima o poi dovremo farlo per procurarci da mangiare – non saremo mai in grado di superare delle barriere così appiccicose, spesse e alte». «Siamo spacciati!» gemette Tago. I due stettero a rimirare quel muro bianco come se potessero forarlo con gli occhi. Certo, avrebbero potuto nuotare passando sotto la parte di ragnatela che attraversava il fiume, ma non potevano sapere quanto sarebbe stata compatta quella parete e per quanti metri avrebbe pescato nell’acqua. Rischiavano di rimanere intrappolati in quel punto e magari pure di affogare. «Per costruire in così poco tempo una ragnatela tanto grossa, significa che si sono dati convegno in questo posto decine e decine di ragni» sospirò Tago. «Secondo te, quelle bestiacce dove sono andate a finire? Non riesco a vederle» gli chiese Banco cercando di aguzzare la vista. «Sono nascoste nel bosco. Ognuna di loro, sicuramente, è rimasta attaccata alla ragnatelatrappola con un filo, in modo tale che, in qualunque punto volessimo sfondare, le vibrazioni dal muro si trasmetterebbero al Ragno più vicino, che avvertirebbe gli altri, attaccando in forze». «Prospettiva allettante» commentò Banco scoraggiato. «E secondo te, per quanto tempo ancora potranno durarci le scorte di cibo e d’acqua?» «Se le razioniamo, per due o tre giorni al massimo». Di lì a poche ore, venne giù un acquazzone violento, allagando il rifugio. Tago predispose tutti i recipienti che aveva a disposizione per raccogliere quanto più liquido era possibile. Almeno la scorta d’acqua era assicurata. Mangiarono in silenzio. Entrambi erano seriamente angosciati dalla prospettiva di essere prigionieri in quel fortino: sapevano che la resa dei conti era vicina anche se solo rimandata. Del resto la pazienza dei ragni è proverbiale: loro tendono la rete e non fanno altro che aspettare la mossa falsa da parte della preda. «Ora abbiamo il doppio problema di come uscire dal rifugio e di come scappare da questa Immagine. L’un problema mi sembra più irrisolvibile dell’altro» sospirò esasperato Tago. «Sei proprio sicuro di non esserti portato dietro la fascia che ti ho lasciato, vero…?» «Sì, sono sicuro, te l’ho già detto. Sono dispiaciuto sul serio. Sono partito in fretta e furia. Ma sarebbe stata poi davvero utile in una situazione simile?» «Probabilmente sì. Quando la si riceve da un Druido, entrato nella Dimora dell’Ultimo Cielo — come è successo a me che l’ho ricevuta da mio padre morto l’anno scorso — si acquistano poteri magici di premonizione, intuizione e acutezza sensoriale. I più fortunati, dicono, ricevono addirittura il Dono del Nodo…» «Il Dono del Nodo?» fece Banco curioso. «Sì, la capacità di annullare parzialmente la magia cattiva…» «In che senso?» «Non è facile spiegarlo, ma gli effetti benefici del Nodo della Forza e dell’Onore attenua e governa la magia nera e, in alcuni casi, addirittura la neutralizza. Questo però accade solo se il Nodo è ‘entrato in te’ e se tu lo sai usare con Purezza e Amore». Tago quasi si trasfigurò nel volto nel pronunciare queste parole. «Capisco…» assentì Banco, anche se non era vero. «Ma io non sono un Druido Eletto» si lamentò l’amico «la cintura, in questa situazione, forse mi avrebbe aiutato un po’, ma non completamente. Non so perché, ma come ti ho già detto, con me non funziona al meglio. Questo è sempre stato il più grande cruccio di mio padre: lui era consapevole che io non sarei mai stato un Druido Bianco come era lui, né che avrei acquisito i sacri Poteri delle Ombre. E invece sento che tu saresti la persona giusta». «Io? Ma scherzi?» «Sì, tu stesso mi hai detto che ti sei sentito diverso, quando per un po’ l’hai portata. E poi sei coraggioso, altruista e lotti con entusiasmo e abnegazione contro il Male… Probabilmente il nostro incontro e la nostra profonda amicizia non sono un caso. È il Destino che lo ha voluto proprio per ovviare alle mie incapacità». Tessa aveva ragione, pensò, Banco: Tago aveva un modo di raccontare che lo rendeva affascinante. Forse era l’espressione del viso che assumeva quando parlava di certe cose o forse era il tono della voce: misterioso e, allo stesso tempo, antico. «Non so cosa dirti, Tago… probabilmente esageri». «Non credo, non mi sbaglio mai su queste cose. Ricordatene casomai riuscissi a ritornare in possesso della fascia». Banco si voltò per troncare quel discorso che lo inquietava. La parete bianca, che mandava bagliori di neve, era ancora lì a ricordare loro chi fosse il nemico da battere. Quindi disse: «Ma forse mi è venuta una mezza idea …». «Dimmela, dimmela subito…» fece l’amico, che non stava più nella pelle. «Un giorno tu mi dicesti che ogni Immagine ha un proprio NPI, cioè un Numero Progressivo di Immagine, che identifica l’Immagine stessa in via esclusiva rispetto a tutte le altre». «Sì e allora?» «Mi dicesti anche che l’Immagine della Sede della Compagnia era sparita perché alla stessa era stata sovrapposta quella dell’Oceano, operazione resa possibile, secondo te, in quanto qualcuno, Fritzmaster o chi per lui, aveva assegnato all’Immagine della Sede lo stesso numero identificativo dell’Immagine dell’Oceano della testuggine! Un po’ come succede, se ho capito bene, quando, nella finestra di un computer che contiene un file, trascini dentro un altro file che ha lo stesso nome». «Una cosa simile, sì. Ma forse ho capito dove vuoi arrivare…» sorrise Tago i cui occhi si erano illuminati per l’entusiasmo. «Tu dici che, se potessimo modificare l’NPI dell’Immagine in cui ci troviamo, assegnandogli lo stesso numero di un’altra Immagine, come per esempio quella dell’Oceano sovrapposto che ben conosciamo, quest’ultima si sovrapporrebbe a questa, cancellando di colpo i Ragni Giganti e tutto quello che si trova qui contenuto». «Certo! E se consideri, come ti ho raccontato, che è possibile forzare la zigrinatura di collegamento tra i due bordi del cilindroImmagine, così come io già sono riuscito a fare, potremmo uscire facilmente dall’Oceano ritrovandoci ben presto nel giardino di casa mia!» «Ma è fantastico! Come ho fatto a non pensarci prima? Oltretutto con il mio rivelatore Gator, sono perfettamente in grado di individuare dove si trova il Numeratore che custodisce l’NPI di questa SuperImmagine. Mi era già capitato di intervenire, altrove, su uno di questi dispositivi e so benissimo come funzionano. Inoltre, siccome lo stesso rivelatore tiene traccia in memoria degli identificativi numerici di tutte le Immagini che visita, posso scoprire facilmente quale è l’NPI dell’Oceano Sovrapposto e quello di questa SuperImmagine. E il gioco è fatto. È geniale, Banco, semplicemente geniale!» «Perfetto… allora non ci resta che uscire da questa trappola interi e non digeriti» fece Banco con un filo d’ironia. I due si misero a guardare fuori dal rifugio come per trarre ispirazione. Il silenzio avvolgeva il fiume che sembrava addirittura aver smesso di scorrere tanto l’atmosfera circostante era densa e gravida di pericolo. Anche gli uccelli notturni tacevano: probabilmente per la presenza nella boscaglia dei Ragni acquattati, pronti a scattare e a raccogliere dalla tela le prede tanto agognate. C’era solo aria di attesa, di un’interminabile attesa.

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