«Oh, mi scusi» fece la donna che gli era seduto di fronte «non volevo urtarla».
«Non si preoccupi» disse lui «capita sovente su questi treni, cosiddetti ultramoderni, dove sembra che il progettista si sia dimenticato che i viaggiatori hanno le gambe».
La donna non parve capire la battuta, il suo volto, giovane ma pallido, era rimasto infatti imbronciato come fosse molto preoccupata. Di lì a qualche minuto, facendosi leva sulla borsa griffata che aveva sulle ginocchia, si sporse un poco verso di lui e gli chiese:
«Lei sa per caso quando arriva a Roma questo treno?»
«Come ha detto, scusi?» domandò stupito l’uomo.
«Le ho chiesto se sa per caso quando arriverà a Roma questo treno…»
«Ma questo treno non va affatto a Roma!»
«Come no?» fece, mettendosi a ridere, «non mi prenda in giro».
«No, non mi permetterei mai, glielo assicuro, questo treno va esattamente dalla parte opposta. Sta andando a Milano».
«Non è possibile! Santo cielo. Ma è proprio sicuro? Ma come ho fatto a sbagliare? È che io prendo così raramente il treno… di solito vado in macchina. E adesso come faccio? Avevo una lezione all’università, a Roma per l’appunto. Come farò a giustificarlo?»
«Mi spiace, mi spiace veramente…» fece l’uomo sincero cercando in qualche modo di confortare la donna che, accennando ad alzarsi si risedette nervosa, faceva sobbalzare la sua borsa di plastica marrone.
«Mi perdoni se mi intrometto» disse un’altra donna molto elegante che sedeva sulla poltrona vicina a quella dell’uomo, ma al di là del corridoio di passaggio.
«Ho sentito, non volendo, quello che stava dicendo a quella signora. Guardi che è lei si sbaglia, questo treno non va né a Milano, né a Roma. Va a ovest, cioè a Torino».
«Ma sta scherzando!» fece l’uomo con la cravatta di seta, che nell’imbarazzo non sapeva che tono assumere «sono almeno otto anni che ogni mattina prendo questo treno e lo saprò bene se se va a Milano o da qualsiasi altra parte!»
«Sarà pure come dice lei, ma certamente questa mattina il treno lo avete sbagliato entrambi. Non ho il minimo dubbio di quello che dico» fece la donna togliendosi il cappello per poi rimetterselo con un sospiro «ne ho parlato con il capotreno prima di salire; e poi se guarda fuori vedrà che ci stiamo dirigendo verso il mare e fra poco saremo a Genova».
L’uomo gettò subito un’occhiata angosciata tra l’incredulo e il sarcastico fuori dall’ampio finestrone scuro, certo che avrebbe in un attimo trovato quel tal particolare della campagna appena fuori Firenze che gli avrebbe consentito di smentire immediatamente la petulante signora. Ma benché scrutasse anche in lontananza, si accorse che non riconosceva nulla. Anche se non vedeva il mare, come diceva quella signora, non riusciva ugualmente a riconoscere i posti che mille altre volte aveva visto sfilare sotto i suoi occhi. Anzi, più volgeva attorno lo sguardo più si accorgeva di non aver mai visto quel paesaggio così diverso dal solito. Un brivido freddo gli attraversò la schiena. Eppure non poteva aver sbagliato. Era ben vero che non aveva controllato sul tabellone elettronico del binario se quello fosse davvero il treno superveloce per Roma, ma era anche certo che lo aveva riconosciuto dalla forma e dal numero delle carrozze; inoltre era arrivato all’ora solita e sulla solita piattaforma. Stava ancora scandagliando la sera come un marinaio fa con il cielo nel pieno della burrasca, con la convinzione ottusa dei disperati, quando sentì un altro uomo che stava discutendo con la signora dalla borsa griffata. Stavano quasi litigando.
«Le dico che questo treno va a Trieste» esclamò tutto rosso in volto l’uomo con dei baffi alla Clark Gable «non mi faccia perdere la pazienza, non va né a nord, né a sud, né tanto meno a ovest come dice lei, bensì si dirige decisamente ad est. E non dica più stupidaggini».
L’uomo della cravatta di seta cominciò a sentirsi mancare. Era come se tutti si fossero messi d’accordo per fargli uno scherzo grottesco. Di lì a poco anche altre persone si unirono a quella discussione farneticante senza capo né coda che stava contagiando tutta la carrozza e forse tutto il convoglio. Ognuno affermava di aver preso il treno giusto per andare in una città che era però sempre diversa da quella degli altri. Stava regnando il caos più completo. C’era chi stava andando in escandescenze tanto da prendere ad ombrellate, chissà perché, una porta di intercomunicazione: forse voleva solo sollecitare l’intervento di qualcuno di autorevole che venisse a chiarire cosa stesse succedendo. Altre persone si erano, al contrario ammutolite, come in preda ad un evidente panico montante. Poi, all’improvviso, in quella carrozza entro il controllore. Seguì un’ovazione di giubilo collettivo.
«Adesso vedrete se non ho ragione io» fece l’uomo con i baffetti strani che sembrava il più arrabbiato di tutti. Molti si alzarono per avere delle immediate spiegazioni accalcandosi attorno al controllore che appariva straordinariamente calmo e serafico.
«Insomma ci dica dove stiamo andando veramente, qui non si capisce più nulla» fece una donna anziana che era rimasta fino a quel momento in silenzio.
Il controllore sulle prime non aprì bocca. Poi fece un gesto con la mano indicando i vari sedili, un gesto semplice che ricondusse però tutti alla calma, tanto che ogni viaggiatore, senza togliergli lo sguardo di dosso, ritrovò il suo posto senza aprire più bocca.
«Beh posso dirvi innanzitutto che questo non è affatto un treno» esordì l’uomo con la divisa. Ci fu un silenzio gelido che pervase tutto il convoglio stringendo i presenti in una morsa soffocante. In quel momento tutti si accorsero che effettivamente non si sentiva neppure più il rumore tipico della carrozza che viaggia sulle rotaie.
«E inoltre…» fece ancora l’uomo con la divisa che tutti avevano ritenuto essere un controllore «siete proprio sicuro di non ricordare nulla?»
«No, nulla, cosa caspita ci dovremmo ricordare?» chiesero un paio di persone in fondo alla carrozza.
«Niente di particolare, almeno credo» fece un uomo in là con gli anni asciugandosi la fronte. Poi uno che era rimasto zitto fino a quel momento:
«Io, sì, mi ricordo qualcosa di strano, ma forse non c’entra niente. Ieri… ieri mi trovavo in cima alla scala. Ero a casa, sul tetto, stavo aggiustando il camino quando… quando… oh mio Dio!»
«Cosa le è successo è caduto, è caduto?» domandò la giovane ragazza che era accanto a lui. Ma non ricevette alcuna risposta.
«Io mi ricordo invece che stavo attraverso la strada» disse un altro, ancora più spaventato, tenendosi con una mano i vestiti come se avesse avuto freddo «stavo tornando a casa e…»
«E…?!?» fece il controllore.
«E… e… ho sentito un gran stridìo di freni, una macchina mi è venuta addosso a tutta velocità…»
«Già!» fece la donna con la borsa griffata «io stavo leggendo quando ho sentito un forte dolore al petto».
L’uomo dalla cravatta di seta il cui nodo non ne voleva sapere di tenere si alzò di scatto facendo cadere a terra il suo quotidiano. Guardò negli occhi il controllore che gli era vicinissimo ed esclamò:
«Vuole forse dire che, in realtà siamo tutti morti?»
L’uomo in divisa fece una velata smorfia. E non ripose. Si incamminò verso l’uscita tra lo sguardo allucinato e inebetito di quanti lo stavano squadrando aspettando che dicesse qualcosa. Qualcuno cominciò a piangere, altri si gettarono sui finestroni cercando di aprirli a suon di pugni.
«Beh tutto sommato poteva andare peggio» disse un ragazzo cercando di pulirsi gli occhiali «in fondo stiamo andando tutti in paradiso». Ma proprio in quell’istante, al di là dei grossi vetri del treno, si era fatto dapprima grigio, poi sempre più nero. Le luci all’interno della carrozza si spensero all’improvviso. E fu quello il momento in cui alte fiamme si levarono un po’ dappertutto bruciando ogni cosa ed ogni viaggiatore senza consumarlo. Mai.
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