Nelle segrete dei Baronduchi

E’ risaputo che il Tribunale di Lamarmora sia un autentico labirinto. Ci sono, infatti, nel Palazzo, infinite stanze e stanzette con uffici che crescono e si nascondono l’un dentro l’altro come scatole cinesi, di solito funzionalmente lontani tra loro e separati da sterminati corridoi che s’interrompono all’improvviso; altre volte, invece, sono divisi solo da paratie mobili e provvisorie che vengono spostate, secondo le esigenze del momento, senza preavviso e senza evidenti motivi di logicità. Questo è il risultato di alcuni secoli di continue e selvagge ristrutturazioni e di modifiche interne non organiche, prova inconfutabile del fatto che non si sia mai avvertito il bisogno da parte dei responsabili (ma chi sono?) di rendere l’Edificio al passo con i tempi.
E’ un posto, insomma, che avrebbe fatto venire l’esaurimento nervoso a Kafka, il quale, se fosse venuto a visitarlo, avrebbe potuto trarre abbondante materiale per riscrivere ‘Il Processo’ o per pensare al seguito.
Così migliaia di scalini, spesso pericolosamente scoscesi, salgono e scendono intersecandosi fra loro in modo irrazionale, potendo condurre a sorpresa ora ad una finestra aperta priva di vetri, ora ad un colorato negozio abusivo di chincaglieria ovvero ad uno sgabuzzino di una manciata di centimetri quadrati, ove un signore, stravaccato su di un lettino abbronzante, potrà rassicurarvi che avete sbagliato strada.
Oltretutto, ultimamente, si è verificata l’ulteriore inspiegabile commistione con esercizi commerciali e punti vendita di varia natura, il che ha contribuito notevolmente a rafforzare l’immagine che comunemente si ha del Palazzaccio come luogo a mezza strada tra una casbah araba ed un centro affari di Honk-Kong.
Può, dunque, succedere che la Cancelleria Centrale possa trovarsi, in via temporanea, al posto dell’Ufficio Fascicoli Smarriti , mentre la Segreteria della Distribuzione del Pane evangelico potrebbe aver traslocato presso l’Ufficio Finte Informazioni di Garanzia (ma attenzione, non si può totalmente escludere che il trasloco sia stato effettuato parzialmente); l’Ufficio Reclutamento Hostess, per contro, solitamente non lo spostan mai (scatenerebbe troppe proteste).
Inoltre, per citare altri esempi del caos imperante, (e non sono neppure quelli più significativi) la Stanza Auguri di Natale, che di norma dovrebbe trovarsi nella stanza numero 6 (dove ha sede pure il Club del Ramino), in realtà è quasi sempre nella stanza 9/1 ter (l’ex Ufficio Commessi Scomparsi per intenderci), mentre il registro relativo andrebbe reperito nella stanza H dove tuttavia staziona in via temporanea l’Addetto alla Portineria che dovrebbe, al contrario, essere raggiungibile nella guardiola del primo piano che è occupata, da che se ne ha memoria, da una pasticceria (i maritozzi, però, sono ottimi).
Qualche volta compaiono persino segnaletiche terroristiche piazzate dagli impiegati per scoraggiare l’afflusso di pubblico, quale quella, in prossimità di una porta che dà verso l’esterno, su cui si può leggere a caratteri cubitali: 

PROSSIMA USCITA KM. 6o

ancora, accanto ad un bar:

ULTIMO RIFORNIMENTO

Le stesse finalità svianti o defatigatorie hanno, poi, anche altri cartelli di contenuto ancor più minaccioso del tipo:

CHIUNQUE OLTREPASSA
QUESTA SOGLIA
LO FA A SUO RISCHIO E PERICOLO

oppure:

SI CONSIGLIA DI ENTRARE ARMATI

Al diciassettesimo piano, all’ingresso del famigerato corridoio 303, meglio conosciuto, con ironia, con il nome de ‘La Promenade’, oltre cui nessuna persona, sana di mente, oserebbe inoltrarvisi, vi è un confessionale con tanto di prete di turno per chi volesse, nonostante tutto, tentare ugualmente la sorte. Di fronte al missionario staziona, in permanenza, stipato in un gabbiotto con la porta blindata, persino un notaio per l’eventuale redazione di urgenti atti mortis causa.
Molto si è scritto su questo infausto corridoio 303 e, francamente, nulla che sia piacevole da raccontare.
Va solo evidenziato che dal 1961 ad oggi, per dare un’occhiata a quanto poteva celarsi là in fondo, sono stati inviati: una squadra speciale di guastatori dell’esercito, un gruppo di ricconi americani in caccia di emozioni, un paio di agguerriti assicuratori ed un sindacalista are-krishna iscritto a Soccorso Rosso. A tutt’oggi si sta, purtroppo, ancora aspettando che qualcuno di loro torni per riferire come è andata.
Ogni tanto, da dietro l’angolo, che si intravvede dopo la prima galleria, giungono suoni indecifrabili che potrebbero definirsi bestiali e comunque strazianti e penosi. Bagliori rossastri e bluette si stagliano sui muri sporchi, facendo pensare ad un incendio in atto (da più di cinquant’anni?), ma sono scarsi gli elementi per formulare congetture anche solo accettabili. Un persistente odore di carne (umana) bruciata non invoglia ad approfondire la questione.
Per la restante parte del Palazzaccio circolano, per fortuna, mappe topografiche militari particolareggiate (scala 1:1) sulla ubicazione degli uffici e del personale operante, cartine, che, tuttavia, pur venendo costantemente tenute aggiornate, ora per ora e piano per piano, conservano pur sempre un ampio margine d’incompletezza e imprecisione.
C’è perfino un commesso soprannominato con gratitudine ‘Diogene’ (che si favoleggia essere ricco da far schifo per tutte le mance che s’intasca) che ha la specifica funzione di reperire tra gli angusti anfratti dell’Edificio coloro che, una volta entrati nel Labirinto, per essere appunto esaminati come testimoni, dopo la terza svolta a destra e/o a sinistra perdono invariabilmente il senso dell’orientamento. Non è infrequente, del resto, vedere vagolare, in quei meandri, singoli individui o comitive di persone con stampato sul volto il terrore di essersi perduti.
In apposite bacheche (riconoscibili al buio perché fosforescenti), è esposto, in ogni caso, un elenco esaustivo dei visitatori che, registrati all’ingresso, per un motivo o per l’altro, non risultano più usciti (e la lista, purtroppo si allunga ogni giorno di più).
All’entrata del Palazzaccio c’è chi, sfruttando questa situazione, ha fatto soldi a palate vendendo bussole, kit di sopravvivenza, oltre a torce elettriche e tende canadesi. Per qualche biglietto da centomila (prezzo che è possibile corrispondere in comode rate mensili detraibili dalla dichiarazione dei redditi) possono persino noleggiarsi degli splendidi terranova addestrati per rincorrere un determinato Magistrato o un tal Cancelliere il cui relativo nome, per facilitare la scelta dell’animale, spicca visibile sul collare. Non è, però, sempre facile trovare libere queste intelligentissime guide anche perché, a dispetto del loro costo elevato, sono assai ricercate.
L’unico ascensore disponibile poi (quando non è fuori servizio) è, in verità, una vera e propria trappola insidiosissima, in quanto preleva la gente ad un piano e le fa sbarcare, a proprio arbitrio, ad un altro, non prima, però di averle shakerate e spaventate ben bene durante il tragitto con sbuffi, sbatacchiamenti e black-out repentini di corrente. Si narra che una giovane donna, salita da sola, ne sia uscita, dopo un’intera notte, misteriosamente incinta.
I primi esiti positivi della collaborazione del gruppo speciale investigativo di Julius non si fecero attendere troppo.
La mattina successiva, infatti, il Trito Acàntore aveva fatto recapitare, nascosto in un panino, un grosso scarafaggio bianco del medesimo tipo di quello che il PM aveva potuto osservare sul foglio scodellatogli dal sua prezioso fax.
Secondo le informazioni più dettagliate fornite personalmente dal cliente-marocchino (il Passiflora non era potuto intervenire perché impegnato ad occultare un’altra valigiata di valuta nel doppio fondo del bidè, mentre la Spazzamare non si era ancora riavuta dopo lo shock del ritrovamento della cara bestiola a sei zampe) la blatta era stata rinvenuta proprio nell’armadio del Sommo per cui, ipotizzando che, per un qualche motivo, fosse scivolata al ladro all’atto del trafugamento, poteva allora anche costituire un valido indizio dal quale far partire le indagini.
L’Acàntore precisò successivamente, tra una succhiata e l’altra di cozze gratinate, che uno scarafaggio albino di quella particolare specie l’aveva rinvenuto stecchito, molto tempo addietro, in mezzo ad un fascicolo processuale che si era fatto portare dall’Archivio Generale ubicato nel sottosuolo del Palazzaccio. Ciò, dunque, poteva voler dire: o che il ladro era stato nelle segrete (ma erano anni che nessuno osava tanto, soprattutto dopo il trasferimento dell’Archivio in un’altra città) oppure il trafugatore era stato poco prima del furto proprio là ove quegli insetti vivevano.
Fu per questo che il Cipollone, seguito dal fedele Mannò armato di coraggio e di pila (in quanto nessuno si era mai sognato di installare sottoterra un impianto di illuminazione degno di tale nome), decise di avventurarsi nelle viscere dell’Edificio per un’accurata perlustrazione.
I due stavano scendendo i gradini del quinto ed ultimo piano sottosuolo (l’ascensore si è spesso rifiutato di calarsi fin là) quando, arrivati all’altezza del vasto androne che reca alle segrete adibite un tempo dai Baronduchi del Filugello a luogo di tortura, percepì chiaro un velato:
«Psss… psss…»
Julius, affatto impressionato (lo sarebbe stato invece il Mannò qualche giorno dopo ripensandoci sopra) si bloccò.
«Psss… psss…» fece di nuovo la voce (sottovoce).
«Chi è là?» domandò il PM con forza.
«Carabinieri…»
«Chi?»
«Carabinieri… si qualifichi…»
Mannò diresse il fascio della pila verso la fonte del suono, sorvolando la cipolla di Julius che rifletteva la luce come uno specchio.
In fondo al salone immenso apertosi innanzi a loro, nella penombra, due Militi dell’Arma stavano tenendo per mano una catena, attaccata alla quale un omino anziano in manette, un po’ ingobbito, dall’aria sparuta da passerotto con le piume arruffate, aveva socchiuso gli occhi feriti per il chiarore improvviso. Poco distante, stava un giovane, sui vent’anni, molto distinto, con giacca, camicia e cravatta ed un’importante borsa in pelle sotto il braccio.
«Minchia! Ti avevo detto che non era la strada giusta questa!!!» disse il Carabiniere all’Appuntato La Martora scatenando un’eco irrefrenabile da grotte di Postumia.
«Ma chi siete???» reiterò Julius.
L’omino, al centro, nonostante le manette gesticolava in maniera strana, come se si stesse impegnando in un complicato discorso.
«Stai fermo tu!» strattonò un Milite tirando a sé la corta catena.
«Vi prego di comportarvi con il mio Assistito in modo più consono allo spirito rieducativo insito nella ratio ispiratrice dell’art. 27 della Costituzione…» recitò solenne ed educato il giovane; poi, rivolgendosi al PM, cui allungò un elegante biglietto da visita in cartoncino Bristol extrafine, continuò «… permette? Sono l’Avvocato Orlando Raucubba» accennando ad un lieve inchino «indegno difensore dell’Esimio Don Ciccillo qui presente»; l’omino a quel punto, sentendosi nominato, sorrise abbozzando un ciao ciao con la manina «codesti signori…» indicando i Carabinieri con una smorfia a forti tinte di biasimo, «si sono invece gentilmente offerti di accompagnarci…»
«Veramente saremmo la scorta del qui presente detenuto Francesco Speranza…» interruppe l’Appuntato «e… siamo qua dentro da quattro giorni (almeno credo) segnatamente in cerca dell’uscita (o dell’entrata?!?)» poi rivolto al commilitone «temo che non arriveremo in tempo all’interrogatorio con la dottoressa Melapà…»
«Lo penso anch’io!» rispose il PM tra i denti «io sono il dr. Julius Mezzapassera, Sostituto procuratore di questo Tribunale e lui è Calogero Mannò, il mio Uditore. Sono al corrente del vostro ritardo: sono diversi giorni che vi stanno aspettando… vi danno ormai per dispersi…»
«Già, comincio a credere che l’ufficio non sia affatto da questa parte… tu e la tua voglia di cercare un cesso!» sbraitò il graduato assestando una berrettata sulla testa del Carabiniere «non potevi farla in Caserma prima di partire!?!»
«Siete cinque piani sotto il livello del terreno… e qui non ci sono servizi igienici… solo polvere e nient’altro (almeno spero…)» esordì il Mannò scrutando un po’ teso le tenebre che sembrarono muoversi «comunque non state a preoccuparvi» aggiunse facendosi forte dell’improvvisa autorità che la pila in mano gli conferiva «dovete salire questa stessa scala sino a giungere al pianterreno e poi chiedete nuovamente.»
Il boss-puffo, tra i Militi, si mosse in modo esagitato, sorridendo come per voler dimostrare il proprio sollievo.
Quindi La Martora, con quanto più fiato aveva in corpo, fece risuonare un potente fischio da curva sud, che si perse nel profondo e imperscrutabile budello di quelle umide prigioni, amplificandosi e spezzandosi in mille altri fischi. In pochi attimi, da un ennesimo interminabile tunnel scavato dentro alla roccia, giunse uno scalpiccio di passi ed un vocio concitato.
«Era ora che qualcuno venisse a mostrarci dov’era l’uscita!!!» borbottò fuori di sé una ragazza dal piglio da segretaria tuttofare «sono entrata nel Palazzo lunedì scorso per delle vidimazioni… e… e… oggi… a proposito… che giorno è oggi?»
«Si può sapere dov’è l’ufficio della dottoressa Bambi?» azzardò un giovane in tuta azzurra sporca di grasso di macchina con una chiave inglese in pugno.
«Mi chiamo Baldo Pozzolatico» confessò un vecchietto con il capo incassato nelle spalle curve «scusate lorsignori, ma siete voi che rilasciate i certificati della pensione… mi hanno mandato quaggiù… e non vedo chi…»
«Perché non mettete dei cartelli più chiari? Anzi, perché non mettete dei cartelli?!?» borbottò una donna brandendo un carlino come fosse un corpo contundente.
«Sapesse quanti ce ne sono qua sotto!!!» esclamò l’Appuntato al Cipollone, cui si era spalancata la bocca per l’incredulità «in questi giorni abbiamo ascoltato ogni sorta di lamento (qualcuno, peraltro, neppure del tutto classificabile). Questi che vedete sono coloro che si trovavano più vicini a noi e che ci hanno raggiunto avendoci sentito parlare.»
«Disdicevole, davvero una situazione disdicevole e persino, incresciosa» barbugliò il Raucubba lisciandosi con dolcezza i capelli brillantati come se volesse tranquillizzarsi con una carezza «… confido di avanzare una vibrata protesta alla Corte Europea dei Diritti Umani… non si maltrattano così manco gli Avvocati…»
«Non solo, ma c’è pure della strana gente!!!» si sfogò il Carabiniere con un’espressione di disgusto «qualche fetente, facendosi forte dell’oscurità, m’ha pure toccato il sedere!»
«Va bene, dottore allora noi la ringraziamo…» s’accomiatò La Martora vibrando i baffoni da Vittorio Emanuele.
«Sì… orsù, avviamoci» declamò con affettazione il professionista alzando con misurata classe il suo bastone da passeggio impomellato d’avorio «che nulla possa e debba più a lungo trattenerci in siffatto luogo… e non reputo di versare in errore nel credere che sapremo esternarvi, io ed il mio Assistito, nei dovuti modi e nelle sedi acconce, la nostra generosità e riconoscenza…»
Don Ciccillo annuì sperticatamente.
Nel mentre il gruppo di disperati arrancava per le scale intonando un ‘… andiam, andiam, andiam a lavorar…’ Julius e Mannò proseguirono nella loro esplorazione.
Durante il vagabondare incerto e ondivago, la coppia s’imbatté, dopo una buona mezz’ora, in alcuni fascicoli smarriti fuggiaschi di cui, in verità, udirono unicamente il sommesso fruscio non riuscendo a scorgerli.
«Cosa stiamo cercando esattamente Maestro?!?» s’informò timidamente l’Uditore mostrando, nel lucore sprigionato dai suoi capelli rosso fosforescenti, due denti spatolosi da castoro.
Il Maestro non ritenne opportuno rispondere.
Era circa un paio d’ore che stavano camminando senza sosta quando, ad un certo punto, Calogero emise un guaito straziante:
«Ho qualcosa nel collo… qualcosa mi zampetta sul collo… aaaaaaaaagh!!!!»
«Non ti muovere!» gli sbraitò Julius «non muovere un muscolo e fammi vedere!». Riuscito ad immobilizzare l’Uditore afferrandolo per i denti acquosi, sotto il cono di luce della pila, il PM notò con soddisfazione che si era appena imbattuto in un corpulento scarafaggio bianco.
«Splendido! Abbiamo trovato ciò che volevamo… non resta che capire da dove proviene…»
Dopo svariati tentativi, il Mezzapassera indirizzò finalmente la luce sul soffitto da dove, attraverso uno stretto pertugio nella roccia viva, passavano i pasciuti insetti.
«Vengono da lassù» ululò trionfante il PM.
«Bella scoperta!» rispose Mannò che stava riprendendosi.
«Come dici?!?» chiese il Cipollone che provava l’irrefrenabile impulso di allungare un manrovescio all’Uditore.
«Certo, Maestro! Secondo questa bussola e considerato il percorso da noi coperto, credo che probabilmente ci troviamo sulla verticale della Collina dei Tresospiri (la più bella delle Colline Terse) che, com’è noto, è infestata di scarafaggi bianchi.»
«… e tu come fai a esserne così sicuro?!?» incalzò sospettoso Julius guardandolo di traverso.
«Ci abitavo da ragazzino! Mi ricordo che avevamo la casa letteralmente presa d’assalto dalle blatte albine… forse per via del vicino cimitero di Cocoritos… mia madre ne era ossessionata… se le trovava dappertutto… sì li riconosco… sono davvero gli scarafaggi della mia infanzia.»
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