In gurgite vasto

fiume - in - piena

Aveva vissuto i primi mesi di pensione con entusiasmo. Durante gli ultimi giorni di lavoro aveva pensato a quante cose finalmente avrebbe potuto fare quando si fosse finalmente liberato di quella noiosa routine quotidiana. E lui qualche buon proposito era anche riuscito a realizzarlo una volta acquisita quella libertà ma poi, pian piano, si era fatto sorprendere da una strisciante apatia, da una voglia insopprimibile di non far nulla, complice anche qualche acciacco di troppo della sua salute.
Lo sforzo di dare una cadenza alla sua giornata si era fatalmente infranto nella mancanza di prospettive, nella sensazione di trovarsi ai margini del mondo produttivo, di essere fuori dal novero della gente utile, di chi aveva uno scopo sin da quando al mattino si alzava dal letto. Si accorse così di non aver coltivato hobby né amici degni di questo nome, né poteva contare su nipoti da far giocare o da andare a prendere a scuola. E, a poco a poco, gli si spalancarono le porte della depressione.
Di tutte le sue attività che si era imposto di provare gli era rimasta solo la passeggiata del pomeriggio, ma solo quando era bel tempo e non c’era troppa confusione in giro. Passeggiava da solo, lentamente, cercando di scacciare i pensieri più cupi. Si stava rendendo conto che il lavoro, per quanto usurante e deludente, aveva da sempre riempito di senso la sua vita, mentre ora aveva davanti a sé, per ciascuno giorno che il Padreterno mandava in terra, un’intera e lunga giornata da far trascorrere.
Così, lungo il solito percorso passò sul ponte. La vista sul fiume e sulla valle lo tranquillizzava. In quel punto poteva godere anche di gran parte dei monumenti della città, scorgere qualche canoa sfidare la corrente e alcuni pigri pescatori impegnati nei loro gesti lenti e pazienti. Ma quel giorno su fiume non c’era nessuno. Era piovuto con insistenza nei giorni precedenti e l’acqua era limacciosa e molto mossa.
Poi la sua attenzione fu attratta da un punto nero in mezzo alle onde. Sapeva di una famigliola di nutrie che avevano trovato lungo le sponde il loro habitat naturale ma non gli sembrava: si trattava di qualcosa di diverso. Si mise a fissare quel qualcosa che stava procedendo nella sua direzione, nella corrente, a gran velocità. Ma sì, ora lo vedeva bene… era una persona: stava lottando per rimanere a galla e ogni tanto finiva per diversi secondi sott’acqua. Lui d’istinto scavalcò la balaustra di protezione e si spinse sul pilone. Si tolse il giubbotto e le scarpe. Non era sicuro che avrebbe potuto fare qualcosa. Non era granché come nuotatore ma certamente non poteva lasciarlo annegare. Si volse attorno alla ricerca disperata di qualcuno che potesse aiutarlo, ma era proprio solo. Forse era arrivato davvero il momento di dare un senso alla sua giornata e a quel triste periodo che stava vivendo, pensò. E intanto l’uomo tra le onde si stava sempre più avvicinando al ponte. La forza del fiume faceva rotolare il suo corpo vincendo agevolmente i suoi sforzi per rimanere a galla. Quindi, all’improvviso, lo riconobbe. Anzi, si riconobbe. Era lui, era indiscutibilmente lui. Era persino vestito allo stesso modo. Non era possibile! Lui era sul ponte, non poteva essere anche laggiù in balia del fiume. Si paralizzò proprio mentre era sul punto di gettarsi. L’uomo nell’acqua si avvicinò ancora di più, prossimo ormai a superare l’arcata principale del ponte, e gli venne così vicino da poterlo vedere bene in volto. L’uomo tra le onde, per un tempo che parve infinito, lo guardò fisso negli occhi quasi reclamasse una risposta; il suo sguardo era sereno, rassegnato, come quello di un vinto. E poi, avendo capito che non sarebbe stato salvato, chiuse le palpebre, e si lasciò andare nel profondo del fiume limaccioso.

Il Destino è in attesa

Da quando era andato in pensione aveva preso a tornare sul luogo di lavoro. Ma non per darsi da fare e aiutare gli altri, quanto piuttosto per vederli lavorare e godere del fatto che quella vita non gli appartenesse più. Questo lo faceva sentire meglio. Veniva tutti i giorni, anche solo per una mezz’oretta. Si metteva in un angolo e non diceva nulla. E osservava.
Ma un po’ perché gli ex colleghi a un certo punto gli fecero capire che non era più gradito, un po’ perché voleva fare qualcosa di diverso, prese a frequentare altri ambienti anche se con le stesse finalità.
Andò così in Tribunale, a seguire alcuni dibattimenti penali e, anche se ci capiva poco, passava ore a guardare attraverso le sbarre della gabbia ove erano rinchiusi gli arrestati in attesa di giudizio, giusto per osservarli. Li vedeva a capo chino, parlare preoccupati con i loro difensori oppure seduti, le mani a sorreggere la testa, incerti per il loro futuro. Sì, tutto ciò lo rincuorava.
Poi iniziò con i funerali ove si imbucava facilmente; controllava gli annunci mortuari il giorno prima e poi andava alla messa, seguiva il corteo fino al camposanto assistendo a tutte le operazioni successive compresa l’inumazione o la posa della lastra. Il fatto che tutto quello che vedeva riguardasse qualcun altro era rasserenante e migliorava notevolmente il suo umore.
Libero com’era da impegni di lavoro aveva poi preso anche a viaggiare; una volta arrivò sino a Calascura Marina, dov’era sepolto il Santo cui lui era tanto devoto. Si era ripromesso per tutta la vita di andare sulla sua tomba a pregare, senza riuscirci mai, vista la notevole distanza da casa. Ora era era arrivato il momento. Si prese tutto il tempo necessario facendo persino una visita guidata alla Basilica e alla Cripta del Santo.
Nel pomeriggio, prima di ripartire, andò invece nella sala attesa dell’ospedale del luogo. Ormai era diventata la sua routine. Era rassicurante vedere che erano altri a dover soffrire.
Stava appunto osservando una bambina che giocava tra le ginocchia della mamma che la accarezzava dolcemente — la bambina aveva una vistosa fascia che le copriva un occhio — quando entrò nella sala l’infermiera: era una donna bassa ma corpulenta, dai modi bruschi e spicci. Disse qualcosa nel dialetto del luogo che non capì. Poi fece alcuni metri nella sua direzione.
«Signor Guidi, sto chiamano proprio lei, ma non mi ha sentita?»
Lui si ridestò come da un sogno.
«Io?» fece sorpreso. «Guardi che ci deve essere un equivoco, io non sono di qui… sono in gita. Mi ha confuso sicuramente con qualcun altro.»
«Lei è Ernesto Maria Guidi, vero?»
«S..sì» rispose lui ancora più disorientato.
«E allora si sbrighi, su, venga con me, non mi faccia perdere tempo. Il Primario questa mattina ha visto le sue lastre e non ci sono affatto buone notizie per lei. Venga, venga da bravo… che glielo spiega meglio lui.»
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Finalmente la pensione!

Oramai mancavano pochi mesi alla pensione. L’attendeva un cambio di prospettiva, una nuova vita. Avrebbe avuto tanto tempo da dedicare a sé e prendersi finalmente tutte quelle soddisfazioni che aveva sempre rimandato. Non aveva una famiglia cui badare ed era quindi assolutamente libero e completo padrone della propria esistenza.
In tutti quegli anni di lavoro aveva anche risparmiato una bella somma e, siccome delle banche non si era mai fidato, i soldi li aveva messi in una piccola cassaforte che si era installato in casa. Per non dare nell’occhio l’aveva comprata in un’altra città e poi, armato di scalpello e mazzuolo, aveva ricavato un incavo nel muro maestro della casa in un punto ben nascosto della soffitta; lì l’aveva murata mettendoci davanti, in sovrappiù, un mobiletto. Poteva adesso pensare di comprarsi una casetta in campagna o lo ‘spiderino’ che tanto aveva desiderato o fare quel viaggio intorno al mondo per tornare solo quando avesse sentito la nostalgia di volerlo fare.

E il gran giorno del pensionamento arrivò; quando ritirò il gruzzoletto della buonuscita era emozionato e se ne tornò subito a casa preoccupato che qualche malintenzionato glielo potesse sottrarre per strada. Salì in soffitta. Tirò fuori tutto il danaro e lo contò unitamente a quello nuovo. Lo contò più volte formando tanti mazzetti legati ciascuno con una propria fascetta recante ben in evidenza la somma. Erano tutti suoi, quei soldi. Solo suoi. Era una gioia vederli in un colpo solo.

Iniziò la sua nuova vita facendo innanzitutto un giro per la città, godendosi il sole di quella primavera che pareva la promessa migliore. E intanto rimuginava su come spendere il danaro. Si informò alla agenzia viaggi e a quella immobiliare, e poi alla concessionaria auto e anche in quel bel negozio di computer. Gli sembrava però, in realtà, tutto un po’ troppo caro. Anche se la cifra messa da parte era non poca cosa, avrebbe dovuto pensare al suo avvenire. E poi che brutte facce che si vedevano in giro! Non si ricordava che ci fosse così tanta gente poco raccomandabile. Il centro era pieno zeppo di brutti ceffi: immigrati, nomadi, straccioni e questuanti di ogni tipo. Distratto, un uomo di colore lo urtò e subito lo squadrò con aria minacciosa come se fosse incerto se aggredirlo oppure no. Quello sguardo gli scese giù nel cuore e gli avvelenò l’anima.
D’un tratto pensò alla sua casa e alla sua cassaforte. Tutto sommato, si disse, non erano al sicuro né l’una né l’altra. E se mentre lui era in giro qualcuno fosse entrato e l’avesse derubato?
Tornò di corsa. Salì le scale senza neppure prendere l’ascensore. Entrò nella sua abitazione come una furia. Fece scendere la scala dalla botola nello sgabuzzino e salì in soffitta, spostò il mobiletto e aprì la cassaforte che gli tremavano le mani. Sì i soldi erano ancora lì. Li tirò di nuovo fuori tutti e li ricontò e poi lì ricontò ancora, una seconda e una terza volta. Che spavento! Capì che non erano al sicuro; no, non lo erano affatto; non se la sentiva però di aprire ora un conto corrente; le banche se ne sono sempre approfittate dei poveracci come lui; porti loro il danaro e poi si comportano come se fosse sempre stato il loro. Installare un allarme? Ma no! Oramai ‘quelli lì’ sapevano benissimo come disattivarlo. No, era meglio che uscisse il meno possibile e rimanesse a casa, a fare la guardia. Sì sì, era meglio.
Prese così ad allontanarsi solo per fare la spesa e pagare le bollette. Poi neppure più per quello; si mise a ordinare per telefono quanto gli occorreva per il pranzo e la cena chiedendo alla vicina se le bollette le pagava lei. Piazzò persino una brandina in soffitta proprio accanto alla cassaforte. Potevano notte tempo entrare dal tetto, pensò, e sfilarglieli da sotto il naso.

Poi un giorno si ammalò. Il medico fu tassativo: ‘Lei si deve ricoverare per una serie di accertamenti a tappeto. Ha i valori del sangue e pressori molto scompensati. Bisogna intervenire con tempestività’.
Come avrebbe potuto fare con i soldi? Si chiese. Non poteva certo lasciarli lì dov’erano mentre lui era in ospedale. Si sarebbe potuto risapere ‘nel giro’ e avrebbero potuto approfittarsene. Hanno occhi e orecchi dappertutto, ‘quelli lì’.
Decise di portarseli dietro mettendoli in una borsa. Nell’armadietto della sua camera d’ospedale sarebbero stati al sicuro con lui nel letto a fare la guardia.
Ma il giorno dopo il ricovero gli comunicarono che il suo quadro clinico era pessimo e che dovevano operarlo di urgenza. Era grave. Aveva non so cosa, non so dove… Ma il danaro? Durante l’intervento non poteva rimanere nell’armadietto incustodito! Avrebbero potuto aspettare che lui fosse in sala operatoria sotto anestesia e rubargli il borsone.
«Quando cambiano le lenzuola e la federa?» chiese all’inserviente.
«Abbiamo fatto il cambio proprio ieri e il prossimo è fra tre giorni» gli fu risposto.
Sì, ce l’avrebbe fatta. Nascondendo i soldi nel cuscino, di notte, sarebbero stati al sicuro sino al suo rientro in camera.
E così avvenne; anche se l’anestesia lo fece dormire fino al mattino dopo e pur se avvertiva un forte dolore all’addome, prima ancora di aprire gli occhi, infilò la mano all’interno del cuscino per sincerarsi che il danaro ci fosse ancora. No, non c’era più.
Cercò, disperato, di chiamare l’inserviente nonostante la voce flebile; poi venne una giovane donna che non sapeva nulla. Controllò però nei registri. Sì, avevano cambiato eccezionalmente le lenzuola e la federa con tutto il cuscino mentre lui era in sala operatoria. Dal reparto delle malattie infettive un uomo, in stato confusionale, si era allontanato dalla sua camera per finire nella sua nascondendosi nel suo letto per non farsi trovare. Se non avessero cambiato le lenzuola le possibilità di infezione sarebbero state elevate visto che lui era appena reduce da un intervento. Non doveva comunque preoccuparsi di nulla: ora era tutto igienizzato.


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