Armida

paradisoNella stanza si sentiva solo un mesto brusio. Erano preghiere biascicate ma anche un sussurro tra due parenti che proprio non riuscivano a star zitte neppure in quel momento.
Il letto sembrava non contenere nulla. Tanto poco spazio occupava il corpicino della povera Armida. 102 anni suonati, da qualche giorno in uno stato soporifero che non poteva dirsi proprio coma, visto che ogni tanto muoveva leggermente le mani ossute sopra alle coperte come se dovesse spiegare qualcosa ai presenti.

«Nome e cognome, prego…» disse il Tipo davanti a lei semi nascosto da una grossa console e senza alzare lo sguardo.
«Armida… Armida Mezzasoma.» Poi visto che il nome e cognome non avevano suscitato alcuna reazione nell’interlocutore, aggiunse «fu Demetrio.»
Ad Armida, piaceva quella sensazione. Si sentiva leggerissima, impalpabile, come una cartina di caramelle trasportata dal vento.
«Ha prenotato?»
Armida, che tutto si sarebbe aspettata meno quella domanda, dopo un po’ disse: «Be’, no.»
«E allora che ci fa qui? Lei è pure senza mascherina.»
«Perché credo di star per morire, sa sono molto vecchia e anche malata.»
«Le sembra un motivo sufficiente? Non può presentarsi qui senza prenotazione… i moduli Hter 16 li ha compilati?»
«Moduli?»
«Certo, deve scaricarli dal sito… l’autodichiarazione di trapasso imminente, la richiesta di accesso immediato per decesso naturale, l’istanza per l’inserimento nella lista di attesa…»
«C’è una lista di attesa per il Paradiso?»
«Quale Paradiso?»
«Perché non andrò in Paradiso?»
«Guardi che mi sta bloccando la fila…» fece spazientito il Tipo dietro alla console.
Armida si voltò e vide dietro di sé una coda di gente lunghissima che la stava squadrando in modo interrogativo. C’erano anziani come lei, ma anche giovani e pure dei piccini. Tutti indossavano le FFP2 e ognuno di loro, per la verità, sembrava avere in mano dei fogli. ‘Che fossero i moduli Hter 16?’ si chiese.
«Allora nonnina ti sbrighi? Vuoi aspettare il Giudizio Universale per darti una mossa?» l’apostrofò un ragazzino masticando una gomma.

A quel punto Armida si mise seduta sul letto e aprì gli occhi. Gli astanti fecero un passo indietro spaventati. Poi, come se fosse stato un comportamento atteso, si girò da un lato del letto e, trovate le pantofole, le calzò.
«Nonna, dove stai andando?» le chiese esterrefatta la nipote nello stupore generale degli altri parenti.
«Vado in cucina a farmi un caffè… lo volete anche voi?»

Transizioni

«Da quanto tempo?»
L’uomo dapprima guardò il dottore incredulo e poi sbottò: «Ma non è possibile che mi si faccia sempre questa domanda. Io non lo so da quanto tempo; io queste cose me le dimentico, non me le segno, non ci bado. Come ieri quando il giornalaio, prima di vendermi la mia rivista preferita, mi ha chiesto con faccia seria da quanto tempo ero abbonato; ma che ne so? Dieci, vent’anni, che differenza fa? Sempre la rivista mi doveva vendere. E il negoziante da cui sabato ho comprato il fertilizzante per l’erba? La prima cosa che mi ha domandato è da quanto tempo ho quel tipo di prato erboso. L’erba sarà sempre quella, o no? Insomma: non lo so, va bene?, NON LO SO.»
«Si è sfogato?» gli chiese il medico armeggiando in una vetrinetta da dove prelevò lo sfigmomanometro.
«Sì… credo di sì…» fece Carlo guardando dalla finestra, già pentitosi per quella sfuriata. Nel parco della clinica l’estate era esplosa all’improvviso e le foglie sui rami degli alberi avevano preso una tonalità più scura perdendo il verde delicato dei primi giorni. Cominciava a fare caldo.
«Devo fare l’anamnesi e la sua risposta è importante. Perché mi può aiutare a capire che cos’ha…» gli disse calmo il medico traguardando il paziente da sopra gli occhiali da miope.
«Sì, scusi, ha ragione… è che sono molto nervoso in questi giorni: saranno sei mesi… non più di un anno.»
«È un po’ vago» concluse il dottore spingendosi bene sul naso gli occhiali «ma è meglio di niente» e si mise a scrivere.

Carlo poi risultò ammalato di un’affezione rara, fulminante. In pochi mesi passò a miglior vita, per fortuna senza soffrire troppo.

«Mi dica…» fece il tipo dietro a quella che sembrava una scrivania senza esserlo davvero.
«Non so, non saprei…» rispose Carlo standosene in piedi e volgendosi attorno imbarazzato. Aveva infatti la sensazione di essere completamente nudo.
«Desidera forse vedere qualcuno?»
«No, non penso di essere qui per questo motivo. Immagino piuttosto di essere morto e la prima persona che incontro è lei… perché lei è una persona, vero?»
«Morto?» fece sorpreso il tipo che ora si vedeva meglio sotto una luce che non si capiva da dove venisse: aveva una faccia strana che pareva cambiare forma a seconda della prospettiva. «Qui preferiamo usare la parola “pervenuto in transizione”.»
«E fa differenza? Sempre morto sono…»
«Fa molta differenza! Ci teniamo alla forma, qui, mica come ai piani bassi… Ma mi faccia controllare. Lei si chiama?»
«Carlo V.»
«Carlo G., Carlo L., Carlo T… ha detto Carlo V., vero?» disse compulsando un libro senza che lo fosse davvero.
«Sì…»
«Ed è morto… volevo dire “pervenuto in transizione”?»
«Già!»
«E da quanto tempo?»
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Il Programma di Gestione

«Cos’è questo chiarore accecante?» Delio aveva appena strizzato gli occhi in una smorfia di dolore. «Sembra che sia esplosa una bomba atomica» disse ancora con le palpebre serrate.
Il collega, accanto a lui, lo stava fissando senza parlare, come se non trovasse le parole giuste.
«Oh bene, ora è passata…» aggiunse aprendo solo un occhio: «chissà che è stato… dunque, cosa stavo dicendo? Ah sì… il Programma. Il Programma di Gestione stavolta non è stato fatto per nulla bene; Coso lì, come si chiama…»
«Il Guadagni.»
«Ecco, il Guadagni, non è mica ‘bono’, non sa il fatto suo: sarà anche quotato nell’ambiente, uno molto apprezzato nel giro, non lo nego, ma poi sotto sotto, non ha il substrato…»
«Il substrato?»
«Sì il substrato, il background esperenziale… il backspin del sales management; al suo posto ci vedevo invece meglio quell’altro Coso, come si chiama? Ma sì che lo conosci bene anche tu… quello che c’era l’anno scorso, con la barbetta, la faccia un po’ così, come la tua… gli occhiali con la montatura di tartaruga.»
«Il Tanassi?»
«Esatto il Tanassi, è un grande quello lì…»
«Ma come non l’hai saputo?»
«Cosa?»
«Il Tanassi è morto quest’estate, per una brutta cosa al pancreas: sono bastati due mesi e ciao…»
«Davvero?»
«Davvero!»
«Ma mi spiace… era un grande… Vabbè resta il fatto che ora siamo nella palta, se non troviamo un’idea pull up entro il 28 di questo mese anche per questo semestre ce ne usciamo con un fatturato schiscio schiscio che sono dolori. Ci trasferiranno entrambi nel reparto del Baldi che è un bel pezzo di carogna, come sai.»
«Baldi?»
«Baldi, quello del reparto packaging
«Ah, vuoi dire Bardi!»
«Appunto, Bardi!»
«Ma come, non l’hai saputo?» fece l’amico tirandosi gli occhiali di plasticone leopardato fino sopra l’attaccatura dei capelli.
«Oddio, è morto anche lui?»
«Macché è passato alla concorrenza: ora è alla Baumann & Co, è il best direct manager
«Beato lui!»
«Non capisco però perché ti dai tanta pena per il Programma di Gestione…» gli fece il collega facendo un gesto complicato con le dita.
«Cos’è una battuta? Pronto? C’è nessuno?» gli chiese battendogli con le nocche la fronte sudaticcia. «Stiamo parlando del famigerato P-R-O-G-R-A-M-M-A   D-I   G-E-S-T-I-O-N-E, dimmi se è poco…»
«Ma non l’hai ancora capito?»
«Capito cosa? Uè, guarda laggiù…guarda… non è Coso, il Grande che dicevamo prima, lì… il…»
«Il Tanassi!»
«Ecco, il Tanassi, appunto. Non avevi detto che era morto?»
«Appunto!»
«Cosa vorresti dire, Coso? Che anche noi…?»
«Già! Ti ricordi quando stavi guidando come un matto e io ti ho detto vai adagio che la strada può essere gelata e c’è pure la nebbia?»
«Vagamente.»
«Ecco, adagio non ci sei proprio andato e sul viadotto hai fatto un bel testacoda: hai rotto la spalletta del ponte e siamo finiti giù nella scarpata… e… poi c’è stato quel chiarore accecante che hai visto…»
«Ma dai…»
«Proprio così e ora ti tocca passare l’eternità con me che non mi trovi neppure simpatico.»
Delio rimase a bocca aperta. Ci mise un bel po’ per metabolizzare la notizia; quindi finalmente continuò:
«Per fortuna il cielo è enorme!» e fece un largo gesto circolare con il braccio «anche se un po’ spoglio.»
«Già, per fortuna!»
«E così, niente più Programma di Gestione! Proprio adesso che avevamo ritrovato il Tanassi…» disse ancora Delio incredulo.
«Niente più Programma di Gestione! Confermo.»
«Bene, bene… senti, ma com’è che fai tu di nome?»
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Il saltino

«Ma tu mi vuoi bene?»
La donna era seduta sul divano. Sembrava che la domanda l’avesse fatta all’iPad che stava stringendo tra le mani e da cui non aveva distolto lo sguardo. Ma poi alzò gli occhi verso di lui che seguiva a sua volta la televisione. L’uomo tardò a darle retta per aver sentito mille altre volte quella stessa domanda, ma poi le rivolse un sorriso molto dolce come se fosse quella la sua risposta.
«Anche se sto diventando vecchia, brutta e grassa?» insistette.
«Non ci sono donne vecchie, brutte o grasse in questa stanza; però è buio qui dentro e si vede poco…» fece lui voltandosi di nuovo verso la tv e mettendosi a sogghignare.
«Dico sul serio» fece lei, cambiando ora il tono e posando l’iPad.
«Beh, la promessa è sempre valida… no?»
«Quale promessa?»
«LA PROMESSA.»
«Cioè?»
«Che staremo insieme fino al ‘saltino’ finale…»
«Davvero?» disse lei commossa.
«Certo, dopo quarant’anni di matrimonio dove vuoi che vada… e poi non avrei più chi mi fa da mangiare e mi stira le camicie… tanto vale…»
«Che sciocco che sei…» fece lei riprendendo il lavoro e accennando a un sorriso che voleva trattenere.
La televisione trasmetteva la storia di una coppia che in Australia aveva deciso di costruire, in mezzo al bush più inospitale, una casa moderna ma con pareti di paglia isolate con sterco di mucca. Lui stava scuotendo la testa.
«Ma non è poi che, con la scusa che siamo morti, tu sparisci e non ti fai più vedere, vero?» chiese lei dopo un po’.
«Non saprei…» disse lui mettendo su una faccia pensosa. «Il cielo è grande. E poi non sono sicuro che ti seguirò in Paradiso…»
«Non ti preoccupare: al momento giusto gli parlo io al Principale e lo convinco…»
«Non avevo dubbi a questo proposito.»
Nella stanza si era fatto silenzio. La televisione passava splendidi panorami della costa australiana. Il colore intenso di quel mare era entrato nella sala.
«Arancione!» fece lei all’improvviso.
«A me sembra un bel blu» disse lui distratto.
«Ma no, non sto parlando del mare! È che potremmo metterci al momento opportuno, tutti e due, ben calcato in testa, un berretto di lana color arancione, così riusciremmo a ritrovarci anche tra le nuvole… e ci riparerà pure dagli spifferi.»
«Pensi proprio a tutto, tu.»
Lei annuì soddisfatta.
Poi lui si girò a guardarla: la sua compagna di vita con il volto illuminato dal tablet come fosse un riflettore.
«Ti amo, Tesoro» le disse.
Lei posò l’iPad sulla gonna sorridendogli teneramente.
«Lo so.»
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Sono sempre qui

Sì, d’accordo. Essere Onnipotente è una gran cosa. Una bella sensazione non c’è niente da dire. Ma la verità è che non so mai che fare. Qui il tempo non passa mai. Anzi, il tempo proprio non esiste. E poi con ‘sta storia che il passato e il futuro si fondono in un unico presente mi diventa tutto così scontato, così prevedibile, insomma un immutabile film già visto e già vissuto.
E poi non so con chi parlare. Gli Angeli svolazzano in continuazione da ogni parte nell’Universo, infervorati come sono di dare sempre il meglio di sé, di essere efficienti e produttivi; sono così pieni di impegni che non trovano mai un momento per fare due chiacchiere. Sono agitati, iperattivi, irrequieti, lasciano piume dappertutto e quando sono interrogati rispondono a monosillabi. E poi sono di un buonismo esasperante, tanto che non è mai possibile poter sgarrare nemmeno per scherzo sicché devo sempre controllarmi quando sono con loro. Peraltro, ultimamente, li trovo pure particolarmente nervosi: sarà per il troppo lavoro o per l’orario massacrante o, piuttosto, per il fatto di non essersi mai ripresi del tutto dal disturbo post traumatico da stress del Big Bang; si sono spaventati davvero molto: mi sa che un giorno o l’altro me li trovo tutti a terra, in terapia di gruppo.
Con Lucifero non ci parlo più da un pezzo. Incompatibilità di carattere. Lui ha fatto le sue scelte e Io le mie e non mi pare il caso di tornarci su. Inoltre non si capisce mai nulla di quello che dice, con tutti quegli sbuffi di fuoco e di fumo che gli escono di continuo dalla bocca. Che poi parlare di bocca, in questo caso, mi sembra pure una parola grossa.
Con gli uomini, invece, è sempre più difficile avere un dialogo. Appena mi faccio vivo si mettono subito, come pazzi, a costruire santuari, cattedrali e statue gigantesche; e un mucchio di gente mi diventa santa dalla sera alla mattina sicché ho dovuto creare un’ala nuova in Paradiso… E poi che mai dovrei ancora dir loro? In fondo ho già detto tutto: tanto poi loro fanno quello che vogliono.
Che cosa mi è venuto in mente di creare l’Uomo non si sa. Ho passato i miei primi 15 miliardi di anni in totale beatitudine. Poi la voglia di novità mi ha spinto a questa nuova avventura che mi ha dato solo problemi. Ci ho perso pure un Figlio; che, a dirla tutta, da quando è resuscitato, non è più lo stesso: è sempre taciturno, solitario, introverso e ha una pessima cera. Comunque, ora sarei tentato davvero di lasciar cuocere gli uomini nel loro brodo che tanto, se continuano così a non ascoltarmi, ci penseranno da soli a estinguersi.
Tornando a Me, mi ricordo che una volta, giusto per ingannare l’eternità, mi sono messo a contare le stelle; che per poco non mi addormento. E dire che non so neppure immaginarmi cosa potrebbe accadere se mi mettessi davvero a dormire pur se solo per qualche attimo: anche se, presumo, tutto dovrebbe funzionare lo stesso. O forse no. Il mio futuro-presente a volte inciampa nel mio presente-passato e succede che faccio confusione tra ciò che è successo e ciò che deve ancora accadere. Per quanto, a pensarci bene, se si dovessero scontrare galassie e collassare mondi a chi dovrei renderne conto? Posso sempre ricominciare tutto d’accapo, da qualche altra parte. Un po’ di spazio e dell’altro buon materiale lo trovo sempre.
Comunque, contando le stelle, dicevo, ero appena arrivato a quattrocento trilioni e cinque che mi sono distratto e ho perso il conto. E allora mi sono domandato se valeva poi davvero la pena crearne così tante; di stelle dico; senza contare i pianeti, gli ammassi stellari, la materia oscura, le comete e i buchi neri; e soprattutto creare le stelle così tanto lontane le une dalle altre, che nessuno le potrà vedere mai.
Va bene, ora però è tardi. Basta parlare da solo.
Ci tenevo solo a sottolineare che se qualcuno volesse parlare con Me, ebbene Io ci sono.
Sono qui.
Sono sempre qui.
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Leggi, sullo stesso tema, –> Da qualche parte nell’Universo

 

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