Boxwood Manor

«Vedi cara? Tutto questo un giorno sarà tuo.»
La ragazza, seduta sulla comoda sedia da giardino, alzò appena gli occhi su una fetta del parco della villa.
«Proprio tutto?» fece lei sorridendo verso lo zio Albert che invece, serio, aveva appoggiato il mento sul manico d’osso del bastone da passeggio.
Era un mattino di pieno sole. Le rane gracidavano sguaiatamente nello stagno. I giardinieri stavano domando le siepi di bosso, mentre Philip, il garden designer, dava loro ordini precisi con la sua solita voce da zitella isterica.
«La Signorina prende il solito, per colazione?»
Ginevra sobbalzò. Non aveva sentito arrivare il maggiordomo alla sua sinistra. Il suo passo flemmatico questa volta non era stato tradito dal cigolio delle scarpe nuove.
«Solo un cappuccino, George.»
«Subito, Signorina Ginevra… posso servire qui, nel gazebo?»
«Sì, grazie.»
Lo zio fece solo il gesto che non voleva nulla quando incrociò lo sguardo del domestico. George fece un impercettibile cenno con il capo e sparì in direzione delle cucine.
«Zio, tu che sai tutto… Ma è vero che c’è una realtà… ‘differente’ da questa?»
Zio Albert la guardò preoccupato.
«Ma chi ti mette in testa queste sciocchezze?»
«Così, ho sentito in giro…»
L’anziano uomo aveva sempre saputo che quella ragazza così intelligente prima o poi gli avrebbe fatto quella domanda.
«La realtà è quella che hai sotto gli occhi, Ginevra, non ti basta?»
Il verde attorno a loro era così rigoglioso da essere penetrante. Rufus, il King Cavalier che si era accucciato ai piedi della ragazza alzò per un attimo la testa per guardarla meglio, come se aspettasse anche lui una risposta.
«Sì, certo, è che a volte tutto questo mi sembra… come dire?… precario, provvisorio, come se dovesse finire da un momento all’altro…» precisò lei.
«Siamo proprietari di Boxwood Manor sin dal ‘500; i nostri antenati hanno contribuito a fare la storia di questa Nazione; siamo ricevuti da sovrani e capi di Stato e tu parli di precarietà?»
«Non mi sono spiegata bene, zio; è che… è che a volte ho come l’impressione che quella in cui viviamo sia una realtà… come dire… già scritta.»
«Voi giovani pensate troppo… credevo che il Prof. Lassiter fosse un ottimo precettore…»
«Sì lo è, zio, ti ringrazio, ma è proprio lui che in questi giorni mi sta aprendo gli occhi. Lui mi parla di una vita diversa da questa, parallela, ma vera, reale, contrapposta a questa… totalmente finta.»
«Finta? Ma che assurdità è questa, ragazza mia? Non ti riconosco più.»
«Ma allora perché sono perfettamente consapevole di cosa accadrà fino alla fine di questo episodio?»
«Perché è la nostra natura, Ginevra. Siamo tutti fatti così, non possiamo farci niente.»
«Già, appunto… e perché si parla sempre di altri ‘episodi’, di ‘stagioni’, di ‘serie’, che potrebbero persino non essere rinnovate? E che fine faremmo noi se non lo fossero?»
«Mi stai facendo paura, Ginevra. Boxwood Manor non finirà mai, questa è una saga, la nostra saga, e ha uno share di ascolto altissimo; vivremo ancora in questa unica vera realtà per molte serie a venire. Del resto, io ero ancora un ragazzo quando tutto è iniziato e ora ho ottant’anni e tu non eri neppure nata. Non ti devi minimamente preoccupare. Non esiste nulla al di fuori di tutto questo» disse alzando platealmente il bastone e spostandolo in aria da sinistra verso destra. «Mia cara, ho sentito dire anch’io di queste baggianate» proseguì un po’ affannato «ma ti garantisco che sono senza alcun costrutto e totalmente insensate…»
«Mi sono permesso di portare anche una fetta di torta di mele con un ricciolo di panna acida» disse George comparso ancora una volta all’improvviso. «La sua preferita, Signorina.»
Ginevra lo guardò svogliatamente, immersa nei suoi pensieri. Poi disse sorridendo:
«Grazie, George, ogni volta che vengo qui tu mi vizi sempre.»