Il Solerte Funzionario

Funzionario - DipendenteProprio non si raccapezzava. Quando si addormentava era tutto chiaro. Il Centro di Controllo, a volte via mail a volte con una telefonata, più raramente di persona, lo contattava a mezzo del Solerte Funzionario che insisteva perché fosse inserito l’Astruso Codice di sblocco del flusso dati. Diceva che non si poteva continuare così a ignorare deliberatamente una regola tanto basilare per la sicurezza delle informazioni. Oltretutto i dati non trasmessi si stavano accumulando nella Main Directory creando un ingorgo di mail sempre meno gestibile. Il Solerte Funzionario, insomma, stava meditando di prendere seri provvedimenti nei suoi confronti denunciando l’accaduto all’Integerrimo Ispettore essendo palese oramai l’inutilità dei richiami e dei solleciti reiterati. E, inoltre, era inaccettabile che un Malinconico Dipendente di una Insignificante Filiale di una Periferica Agenzia avesse dato ampie rassicurazioni di adempimento senza poi dar alcun seguito a quanto promesso. L’inottemperanza era oltretutto di serio ostacolo per la funzionalità della Locale Rete, vista la struttura ramificata e interdipendente dell’Ottimizzato Sistema. Senza contare che questa inerzia aveva un effetto domino anche sulla catena di trasmissione delle informazioni di diversi altri Inferiori Uffici collegati a loro volta alla Insignificante Filiale della Periferica Agenzia, Uffici che non lesinavano lamentele e contestazioni al Radioso Titolare dell’Ottimizzato Sistema. Il crescente malcontento era ancora contenuto ma sicuramente serpeggiante.
Sì, nel sogno era davvero tutto chiaro. Il comando era legittimo, l’inadempienza conclamata. Ma il Malinconico Dipendente non si ricordava più quale fosse la procedura necessaria per riattivare il flusso dati. Sapeva che era una procedura complessa, sapeva che contava su salienti passaggi necessari ma proprio non riusciva a farsi tornare in mente quali fossero. Perché mai non se li era segnati da qualche parte se era così importante? Era probabile però che la sua Volenterosa Segretaria potesse essergli d’aiuto. Così almeno pensava nel corso di ogni sogno. E pensava anche che l’indomani mattina glielo avrebbe potuto chiedere non appena lui fosse arrivato in ufficio. Per certo non poteva chiamarla subito: era notte fonda. Però forse, sognava, avrebbe potuto intanto scriverle una mail a mo’ di appunto; così la Volenterosa Segretaria l’avrebbe potuta leggerla già mentre faceva colazione, e dargli subito una dritta che gli avrebbe consentito di rimediare in modo sollecito. Il Radioso Titolare doveva ricredersi su di lui. Ma allora doveva alzarsi dal letto, sì o no? Lo avesse fatto per inviare la mail si sarebbe tuttavia svegliato e allora addio sonno, e non poteva permettersi di affrontare giornate di lavoro tanto estenuanti già stanco.
E così via, in queste ambasce, per tutta la notte.
Ma poi alla mattina si svegliava e capiva che era stato tutto un incubo. Il solito stupido incubo. Man mano che il tempo trascorreva dal risveglio, alla certezza della necessità opprimente di dover fare quanto il Solerte Funzionario esigeva, subentrava incalzante la altrettanto granitica certezza che non esisteva nulla di quanto aveva sognato. Non c’era un Centro di Controllo, non esisteva un Solerte Funzionario, non esisteva una Volenterosa Segretaria. Nè tantomeno esisteva un Astruso Codice da inserire per garantire il flusso dati ai Superiori Uffici. I dati venivano semplicemente trasmessi, ogni giorno, con regolarità: erano difatti del tutto sufficienti i protocolli ordinari.
Questa constatazione lo conciliava a poco a poco con la vita di tutti i giorni facendogli ritornare il buon umore. Quindi iniziava la sua giornata senza pensare più al suo incubo se non la notte successiva. Quando si addormentava di colpo per la stanchezza ripiombando di lì a pochi minuti in quella ansiogena routine di sempre. Il Solerte Funzionario fatalmente si rifaceva vivo reclamando attenzione e sbraitando le sue ragioni.
Provò allora a dormire meno o a dormire sulla poltrona dello studio nella speranza che qualcosa cambiasse. Ma fu tutto inutile. L’incubo si ripresentava puntuale ogni notte. Poi arrivò alla conclusione che se non poteva evitare di avere l’incubo poteva almeno cercare di modificarlo mentre lo aveva, giusto per renderlo innocuo o meno pressante. Sì, poteva anche funzionare.
Così una notte, nel bel mezzo del sogno, il Malinconico Dipendente rivelò al Solerte Funzionario, presentatosi di persona per reclamare l’Astruso Codice mai immesso, che lo aveva trovato. Il Solerte Funzionario non si aspettava una simile risposta tanto da rimanere del tutto ammutolito con l’indice intimidatorio ancora alzato pronto a vomitare ogni sorta di improperi. E il Malinconico Dipendente era già sul punto di gongolare per la sua trovata geniale quando Quello gli chiese allora di inserirlo in Rete e di fare finalmente il proprio dovere. Il Malinconico Dipendente non si fece trovare impreparato. L’Astruso Codice, grazie alle sue mai rinnegate conoscenze nel Losco Sottobosco che gli avevano anche rinfrescato le conoscenze sulla esatta procedura, ce l’aveva davvero e senza tante storie lo inserì. La Rete deglutì avidamente la lunga sequenza alfanumerica come un cibo prelibato. La Main Directory, sotto i piccoli Occhi da Topo del Malinconico Dipendente, si svuotò a ritmi serrati smistando, inoltrando, etichettando. Sembrava alla fine che tutto fosse andato per il verso giusto, con piena soddisfazione generale di tutti i Malinconici Dipendenti con gli Occhi da Topo della Insignificante Filiale della Periferica Agenzia e soprattutto sotto gli Occhi da Lucertola del Solerte Funzionario; ci fu addirittura chi giurò, ad anni di distanza dal Tragico Fattaccio, di aver intravisto in quel momento, sulle labbra ostili di Quello, un represso cenno di sorriso. Ma fu solo un attimo intenso, perché i pochi ricordi sopravvissuti divennero confusi per quanto poi accadde. Lo schermo del computer, infatti, di lì a poco, divenne improvvidamente blu e andò in crash. Subito anche tutti gli schermi degli altri computer della Insignificante Filiale della Periferica Agenzia diventarono blu andando in crash. E anche quelli di tutti gli altri computer collegati a tutte le residue Locali Reti interconnesse alla Globale Rete della Agiata Città, della Pingue Regione, dell’intero Squallido Paese diventarono blu andando in crash con una emorragica e inarrestabile perdita di dati.
«Ma lei è pazzo!» gli urlò in faccia il Solerte Funzionario, diventato pallido come una noce di ricotta, con tutta la rabbia che aveva in corpo. «Lei ha inserito un potentissimo virus direttamente nella Globale Rete. Ma cosa le è saltato in mente? Subirà, per questo, conseguenze inimmaginabili! Sanzioni indicibili! Ritorsioni efferate!» abbaiò al cielo prima di uscire sbattendo la porta che rovinò a terra nel diffuso sbigottimento generale.
Il Malinconico Dipendente si svegliò di soprassalto.
E capì con orrore che questa volta era tutto vero.

 

L’uomo che fuma

Paolo andava di fretta, come al solito. E dire che avrebbe avuto tutto il tempo per procedere a passo lento. Aveva infatti puntato la sveglia con congruo anticipo, giusto per fare le cose con calma, secondo i suoi ritmi. Ma era più forte di lui: non appena il portone di casa sbatteva forte dietro alle sue spalle, gli prendeva la frenesia di arrivare in stazione il più presto possibile. E così si trovava a camminare svelto, in modo meccanico, qualunque ora fosse. Come quel giorno.
Dopo aver attraversato la piazza, all’altezza del Bar del Cinghiale ancora chiuso, intravide nella semioscurità un uomo che, in piedi, stava fumando una sigaretta. Non che potesse essere inusuale che qualcuno fosse in attesa che il bar aprisse, ma perché era tutto sommato troppo presto persino per quello; era, piuttosto, l’ora dei netturbini distratti, dei solerti fornitori di brioches ancora calde, degli oscuri pulitori di strada, visto che i nottambuli irriducibili erano appena andati a letto e i turisti di giornata ancora non avevano abbandonato il confort delle loro stanze d’albergo.
Ma l’uomo che fumava lo guardava fisso, con insistenza, come se reclamasse di essere notato. E invece Paolo gli passò davanti senza incrociare il suo sguardo, facendo persino  il minor rumore possibile con i tacchi delle scarpe, come se potesse diventare all’improvviso davvero invisibile.
Percorse tutta la via, senza voltarsi, anche se il disagio per quello sguardo inopportuno gli si era appiccicato addosso. Superò la gelateria, anch’essa chiusa a quell’ora, superò il monumento equestre al Gattamelata con sulla testa il grasso piccione di turno.
Poi si accorse che sul marciapiede di fronte, c’era una coppia di persone che lo fissava attentamente. Cominciò a preoccuparsi. Vide con la coda dell’occhio che la donna bisbigliava qualcosa all’orecchio dell’altro. L’uomo aveva preso a indicarlo.
Paolo accelerò ancora. Traguardato lo spigolo del palazzo nobiliare dei Gentiloni-Severi s’imbatté in un gruppo di persone che, vedendolo, si alzò dai gradini per andargli incontro. La stazione ferroviaria era ormai vicina, ma non voleva mettersi a correre. Sarebbe stato come ammettere di avere paura. E a lui non piaceva avere paura.
Ma le persone che presero ad avvicinarsi, adesso, erano sempre di più. Sbucavano da ogni dove, come se fosse la sua stessa angoscia a partorirle. Uomini, donne, persino bambini. Tutti lo squadravano con intensità, la faccia seria, imbronciata, quasi dolente.
Ecco la stazione. Si disse a voce alta per rincuorarsi.
Oramai attorno a lui si erano formate due ali inquietanti di persone che gli stavano lasciando libero solo un corridoio talmente  stretto che, se avessero voluto, avrebbero potuto aggiustargli la cravatta.
«Cosa volete?» si mise a gridare. «Lasciatemi in pace… non avete nient’altro di meglio da fare?»
Nessuno gli rispose. Il loro volto, i loro occhi, le labbra serrate erano la loro risposta.
Riuscì a raggiungere finalmente l’atrio della stazione. Era vuoto, come era normale che fosse a quell’ora. Anche se si sarebbe aspettato che non lo fosse affatto, considerate quante persone aveva incontrato fino a quel momento. In realtà, notò ben presto, non c’erano neppure altri passeggeri, né il personale ferroviario né un addetto alle pulizie. Il varco per controllare i biglietti non era presidiato. Lo oltrepassò di corsa e, arrivato nello spazio antistante i binari, si accorse che i display dei cartelloni elettronici erano spenti. Ma ciò che più era grave era l’assenza totale dei treni.
«Oddio, cosa è successo? Adesso come farò a raggiungere l’ufficio?»
Forse tutta quella gente che aveva incontrato voleva avvertirlo. Forse loro sapevano cosa era accaduto o cosa stava per accadere.
Senza pensarci un attimo tornò indietro.
Fuori dalla stazione non c’era però più nessuno.

Poi la moglie lo scosse da sotto le coperte.
«Svegliati, Paolo, svegliati. Non ti deve essere suonata la sveglia. Fai presto o perderai il treno.»