Tulum (seconda e ultima parte)

[RIASSUNTO della puntata precedente: Bob è stato incaricato di insegnare
il mestiere di ladro a un ragazzo che gli è stato raccomandato. Decide
di portarlo una notte con sé in una villa lussuosa, momentaneamente 
disabitata, per eseguire un furto che, sulla carta, doveva rivelarsi 
molto semplice. Ma qualcosa non va per il verso giusto. Nella 
semioscurità della casa, infatti, fa capolino un mastino napoletano 
--> Tulum (prima parte)]

I due istintivamente cominciarono a retrocedere; lo fecero con lentezza tenendo sempre d’occhio il cane anche se non riuscivano più a tener ferme le torce su di lui. Poi il ringhio sordo del mastino esplose in un abbaiare rabbioso e questo poco prima che balzasse fuori dal proprio nascondiglio per gettarsi su di loro. L’uomo afferrò per la maglia Pelleossa, rimasto fermo ipnotizzato da quella massa scura che stava guadagnando terreno, e lo tirò dentro con forza nella stanza in cui erano finiti. Chiuse rapido la porta. Subito dopo, si udì il tonfo dell’animale contro l’anta e il raschiare furioso delle zampe sul legno.
«Meno male che doveva essere una passeggiata…» fece il ragazzo con il cuore in gola.
Bob non gli rispose. Esplorò con la torcia la stanza dove erano entrati. Era una camera da letto e non c’era modo di uscire in giardino perché la finestra aveva le inferriate.
«Dobbiamo fare subito qualcosa» disse l’uomo osservando la porta come se dovesse rispondergli. «Il cane sta abbaiando troppo. Richiamerà l’attenzione».
«L’esperto sei tu, capo!» lo apostrofò Pelleossa con tono di sfottò.
Il mastino intanto stava scuotendo la porta appoggiandosi su di essa con tutto il suo peso. I suoi latrati erano potenti.
«Io prendo quel copriletto pesante» fece Bob dopo un po’ indicando il letto con la luce della torcia. «Non appena apriamo la porta tu dirigi entrambe le luci delle torce sugli occhi del cane e io gli buttò addosso il copriletto; cercherò di imbrigliarlo in qualche modo. Poi lo trasciniamo da un’altra parte. Ho visto dalla cartina della villa che c’è una stanza più interna e appartata.»
«E non scappiamo?»
«Ma no… cosa dici? Ormai siamo qui e finiamo il lavoro. Una volta sistemato il cane apriamo la cassaforte e in due minuti usciamo.»
Il ragazzo non era convinto. Sospirò. «Va bene» fece poi prendendo la torcia dalle mani di Bob. L’uomo con pochi movimenti prese il copriletto matrimoniale e lo predispose davanti a sé come se fosse una rete da gettare ai pesci. I tonfi sulla porta si erano fatti intanto più frequenti mentre i latrati erano assordanti.
«Sei pronto?» gli chiese l’uomo. «Mi raccomando, dobbiamo essere simultanei. Capito?»
«Se lo avessi saputo prima mi sarei allenato» rispose il ragazzo cercando di ironizzare sulla situazione. L’uomo fece una smorfia e si accostò alla porta. Pelleossa mise la mano sulla maniglia e guardò Bob in attesa di un suo cenno. Che arrivò. Il ragazzo spalancò la porta puntando i fasci delle luci sugli occhi del cane. Bob fu rapido nel buttargli addosso il copriletto immobilizzando l’animale quel tanto che poteva bastare per disorientarlo e farlo rotolare su sé stesso. Aiutato dal ragazzo tirò poi la coperta con il cane dentro nella stanza che aveva individuato. Era senza finestre. Lì sarebbero stati al sicuro. Potevano anche accendere la luce.
«Presto, vammi a prendere un coltello in cucina…» gli comandò l’uomo tentando di tener fermo il cane.
«Ma cosa vuoi fare?» chiese contrariato il ragazzo che sapeva già la risposta.
«Non è il momento di fare l’amico degli animali. Non discutere, vammi a prendere il coltello e torna subito qui. La cucina è a sinistra, in fondo al corridoio.»
Pelleossa rimase immobile e in silenzio. Vide il cane che si agitava cercando di mordere alla cieca e Bob che faceva fatica a tenerlo a bada. I latrati sembravano ancora più penetranti. Decise di muoversi. Nella concitazione e per far sì che il cane si udisse il meno possibile da fuori casa, nell’uscire dalla stanza, sbatté la porta dietro di sé. Fece appena in tempo a sentire un “noooooooo” urlato di Bob rimasto dentro. Quella era una panic room con pareti spesse e la porta antisfondamento. Poteva essere aperta solo con un codice. Di lì a poco sarebbe tra l’altro arrivata anche la polizia chiamata dall’allarme silenzioso.
Bob, scattato in avanti, si mise a sbattere i palmi aperti delle mani sulla porta dall’anima di acciaio. Era tutto inutile non lo avrebbe sentito nessuno.
Intanto il mastino, non più tenuto fermo dall’uomo, si era liberato della coperta; e aveva cominciato a ringhiare minaccioso.

(fine)

Tulum (prima parte)

«Come ti chiami?»
«Jimmy Border, ma in giro mi chiamano tutti Pelleossa.»
«Pellerossa?»
«No no… Pelle e ossa.»
«Ah… e come mai?» gli domandò Bob appoggiandosi alla staccionata.
«Perché quando ero giovane ero magrolino e allampanato da far schifo.»
«Quando eri giovane? Perché adesso quanti anni hai?» gli chiese l’uomo abbozzando un sorriso storto.
«17, perché?»
Bob preferì non rispondere. Tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette e se ne accese una. Cercò di ricordarsi cosa pensava lui del mondo a 17 anni. Ma era passato davvero troppo tempo. Fece due lunghe tirate mentre il ragazzo lo fissava ancora con aria interrogativa, un occhio strizzato per il sole che gli sbatteva in faccia.
«Mi ha detto Turner che vuoi imparare il mestiere e che sei sveglio» gli fece quindi Bob togliendosi con due dita una briciola di tabacco che gli si era fermata sulla lingua.
Il ragazzo fece spallucce.
«Sei proprio sicuro che vuoi fare il ladro come mestiere?»
Pelleossa fece spallucce di nuovo; poi dopo qualche secondo, poco convinto, chiarì: «Spacciare non mi piace.»
«Va bene… si può allora iniziare già da stasera, se ti va» fece Bob estraendo dal giubbotto le chiavi della macchina. «Cominciamo da una cosa facile facile. Tu non dovrai fare niente, devi solo venirmi dietro cercando possibilmente di non fare casini.»
«Ok» fece l’altro.
«Ah… e non portare armi. Non servono e provocano solo guai. Quindi se anche hai con te un coltello a serramanico da difesa lascialo a casa. Lo stesso vale per lo smartphone. Si mettono a suonare nel momento meno opportuno e consentono il tracciamento.»
«Ok.»
«Ci vediamo qui verso le undici di sera. Andiamo con la mia Corvette. Non è vicino ed è meglio usare la macchina, anche se è la mia. La parcheggeremo però alcuni isolati prima.»
«Ok»

Era una villa di lusso, vuota. La famiglia che ci abitava era in vacanza già da qualche giorno a Tulum per una visita ai cenote del luogo. Bob aveva già provveduto, entrando nella rete wi-fi di casa, a staccare le telecamere di sorveglianza e l’impianto di allarme. Gli avevano già fatto avere anche la combinazione della cassaforte a muro. Tutto come da copione. Doveva essere una passeggiata, insomma.
«Rimani dietro di me» gli raccomandò lui, non appena scesero dalla macchina, porgendogli un cappuccio nero e una torcia. «Del cappuccio non ce ne sarebbe in realtà bisogno, ma è una sicurezza in più. La torcia invece accendila quando saremo dentro e non appena lo farò io». Il ragazzo annuì.
Scavalcarono il muro di cinta e, attraversato tutto il rigoglioso giardino al chiarore di una luna quasi piena, arrivarono davanti alla porta di ingresso. Anche se blindata Bob la aprì in pochi secondi. Entrarono. Accesero la torcia. La cassaforte, secondo le indicazioni avute, era situata nello studio dietro a un arazzo. Bob aveva studiato a memoria la piantina della villa e così trovò lo studio al primo tentativo, come se ci avesse sempre abitato. Pelleossa si guardava in giro tranquillo. Aveva un’aria controllata e apatica come se quella situazione non lo riguardasse affatto e fosse solo routine.
Avevano appena fatto ingresso nello studio quando udirono un lieve rumore dietro a loro. Si voltarono entrambi di scatto. Il cuore in gola. Perlustrarono accuratamente la stanza alla luce delle loro torce. Non vedevano nulla di anomalo. Poi, d’un lato, nella zona più buia della stanza, avvistarono un’enorme testa seminascosta da un pianoforte a coda. Un imponente mastino napoletano li stava osservando. E aveva appena cominciato a ringhiare.

La seconda puntata domenica prossima --> Tulum (seconda parte)