Solo un lampo

parcheggio«A forza di masticare quella roba ti rovinerai i denti» disse lei cercando di smorzare la battuta con un sorriso tirato.
«E da quando la gomma farebbe male?» domandò lui, irritato, rimanendo a mezz’aria con la confezione di chewing-gum, incerto sul da farsi.
«È una cosa risaputa. La pubblicità sostiene che serve per pulirli fuori pasto e invece non fa che indebolirli… è per lo xilitolo o come si chiama…»
«E tu credi davvero a tutto quello che si dice?» chiese lui sbuffando e rimettendo la cartina nel cruscotto.
Intanto la macchina aveva imboccato la rampa di ingresso del garage sotterraneo. Si trovavano in quella città per la mostra annuale dei fumetti, una passione del marito che lei assecondava, ma solo per trovare qualcosa da fare ogni tanto insieme. Il garage era quasi vuoto. Uscirono dalla macchina in un silenzio riempito a tratti dai loro respiri. La donna si era ripromessa di essere meno acida, ma proprio non le riusciva. Avrebbe voluto tuttavia rimediare alla sua osservazione, se non altro per non dover subire il broncio di lui per tutta la giornata. Salirono lentamente le scale e il cielo venne loro incontro cupo.
«Ci siamo dimenticati dell’ombrello» disse lei guardandolo arrendevole.
«Ne abbiamo due piccolini, in macchina, vado a prenderli» disse lui volenteroso non dando segno di essersi arrabbiato. Lei, per qualche attimo, lo seguì con gli occhi mentre rifaceva le scale e, quando scomparve, ascoltò i suoi passi risuonare fino alla porta del piano interrato. L’odore della pioggia aveva allungato le corolle dell’elleboro e i fili d’erba lucente; il vento lo trasportava da una parte e dall’altra a ondate pigre come un incenso. Davanti a lei, oltre i resti delle mura medioevali, la gente si stava incamminando alla spicciolata verso il centro. Non si capiva però se stesse andando verso gli stand o verso un riparo per il temporale imminente. Un lampo in lontananza rimase intrappolato tra le nuvole; in una frazione di secondo l’enorme nube si accese come una lampada dai vetri sporchi. Attese il tuono che non arrivò. Alla sua destra, altri nembi parevano correrle incontro prendendo via via un color malva carico di rancore; si impressionò, tanto che fece un passo indietro verso l’androne. Si sentì depressa e inutile e vulnerabile, e si chiese cosa mai stesse facendo lì. Si voltò ancora una volta verso le scale, a disagio con i suoi pensieri, e trattenne per un attimo il respiro cercando di percepire il suono dei passi del marito. E quando alla fine lo avvertì le sembrò che il buon umore fosse ritornato.
«Come mai ci hai messo tanto tempo?» chiese lei sforzandosi di modulare il tono della voce e apparire gentile. Ma a comparire nel suo campo visivo era una donna con la busta della spesa in mano e dei lunghi gambi di sedano che le battevano sul polso. Incrociarono gli sguardi in un attimo di studiata indifferenza.
Facendo una smorfia di disappunto decise allora di andare a cercarlo. Con lo scarso senso dell’orientamento che il marito aveva, magari stava tentando disperatamente di trovare l’uscita. Superò la porta del piano sotterraneo ma si accorse che là sotto non c’era nessuno, né tantomeno il loro SUV. Si mise istintivamente a correre per arrivare nel punto preciso dov’era stato parcheggiato, quasi potesse acciuffare al volo le ombre di ciò che mancava. Lo spiazzo era desolante e ostile attorno a lei e si era fatto freddo. Chiamò ad alta voce il marito più volte con un tono che avvertì, lei stessa, come estraneo e minaccioso. Le rispose immediatamente il cellulare nella borsa. Fece fatica a trovarlo, scivolato com’era in fondo a mille altre cose, ma quando lo afferrò si accorse che stava tremando. Era sua madre. Quella voce tanto lontana le si riversò dentro attraverso l’orecchio come un liquido trasparente e denso in una fessura della roccia. No, non l’ascoltava. Per terra c’era la cartina del chewing-gum preferito dal marito. Era aperta e la raccolse. Nascoste sotto, sul cemento chiaro, campeggiavano brillanti tre gocce carminio di sangue raggrumato.