Lo schiaffo

Il ragazzo fu trovato nella sua stanza così, in piedi, con il busto leggermente in avanti, le mani protese e i gomiti piegati come volesse tenere a distanza qualcuno. Aveva lo sguardo arcigno, fisso, severo, a guardare oltre i vestiti appesi nel fondo dell’armadio aperto. Quando la madre lo scoprì si spaventò a morte. Subito lo scosse per cercare di svegliarlo:
«Angelo mio, cos’hai? Rispondimi, ti prego… che ti è successo?» 
Ma il figlio non rispondeva: era rigido, un fascio di muscoli teso e compatto in quell’aspetto di pietra inerte. Lo vedeva respirare, seppur debolmente, ma era una statua gelida saldata al pavimento. La povera donna d’istinto si affacciò alla finestra: voleva gridare aiuto, ma se lo avesse fatto chissà cosa avrebbero poi detto di loro in paese; già quando il marito l’aveva lasciata, qualche anno prima, erano circolati velenosi pettegolezzi sul suo conto e per loro la vita si era fatta difficile. No, non poteva chiamare nessuno, non si poteva fidare: avrebbero pensato tutti che era gente strana. Provò a telefonare a casa del suo medico, almeno lui avrebbe avuto il segreto professionale da rispettare. Rispose la segreteria e lei riattaccò per non lasciare messaggi. E come spesso faceva per poter ragionare meglio, cominciò a rassettare la stanza. Rifece il letto, impilò alcune riviste, mise in ordine la scrivania del figlio. No, non riusciva a calmarsi, le sembrava di impazzire per non essere in grado di far qualcosa. Ogni tanto dava un’occhiata fuggevole al ragazzo per coglierne il minimo accenno di movimento, ma niente. Continuò il suo daffare frenetico: ripose le scarpe sul mastello, piegò i pantaloni, chiuse l’anta rimasta aperta dell’armadio e subito lo specchio rifletté l’immagine del figlio moltiplicando nella camera la sua angoscia incontenibile. In un moto d’ira sbatté con violenza i palmi delle mani sulle proprie guance come in un forte doppio schiaffo: guardò il soffitto disperata come a chiedersi ‘ma perché tutte a me?’. Il figlio a quel rumore secco si riebbe all’improvviso e, guardandosi allo specchio davanti a sé, esclamò in una smorfia:
«È inutile che ci provo, tanto non ci riuscirò mai a ipnotizzarmi!»

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