«Che c’è bambino, cosa ti serve?» gli disse premurosa una ragazza in divisa con sul petto il badge dell’iper.
«Mi sono perso e non trovo più la mia mamma.»
«Oh, poverino, adesso ci penso io» fece materna: «Vieni, non stare lì, entra…» e così dicendo gli aprì la porticina del box dell’Ufficio Informazioni. «Come ti chiami?»
«Lele».
«Ma che bravo, io mi chiamo Caterina e la tua mamma, invece?»
«Chiara».
«Non sei preoccupato, vero?» Il bambino fece di no con la testa. «Bene, siediti qui. Adesso chiamo la tua mamma con l’altoparlante: vedrai è un gioco proprio divertente». Lele, ubbidiente, si accovacciò sullo sgabello. La signorina gli sorrise ancora, poi annunciò al microfono:
«Il piccolo Lele aspetta mamma Chiara all’Ufficio Informazioni…» prese fiato e poi ripeté in tono professionale: «Il piccolo Lele aspetta mamma Chiara all’Ufficio Informazioni…»
Passarono cinque minuti, ma nessuno venne a reclamare il bambino. La signorina Caterina non si perdette d’animo e reiterò l’annuncio fiduciosa. Nel frattempo Lele era sceso dallo sgabello cominciando a toccare tutto quello che era sul bancone: prese a spillare insieme documenti con il logo del supermercato e ad attaccare per un angolo, con la colla a stick, le banconote da 100 euro; poi afferrò un cellulare e cominciò a comporre un numero che, ad occhio e croce, era quello di un utente di Anchorage, Alaska.
«E no, bambino, devi stare buono… adesso vedrai che la mamma arriva subito» fece Caterina la cui vena del collo si stava paurosamente gonfiando.
«D’accordo» rispose Lele arrendevole. Un minuto dopo stava spostando tutti gli sgabelli del box trascinandoli rumorosamente, mentre con il pennarello indelebile scriveva parolacce indicibili sui monitor dei computer staccando, nelle pause, i cavi elettrici inseriti nelle prese. Caterina, che non se la sentiva di mandarlo via senza la mamma, affrettò gli annunci dilungandosi nella descrizione minuziosa del bambino e sulla necessità che qualcuno lo venisse a prendere immediatamente. Passarono ancora delle buone mezz’ore e il box dell’Ufficio Informazioni era diventato irriconoscibile: la signorina aveva la gonna girata al contrario, una ciocca di capelli ribelle le era precipitata sulla fronte e sembrava invecchiata di qualche anno. Poi, verso mezzogiorno, Lele, aprendo la porticina del box, le disse:
«Bene, io ora vado a casa: si è fatto tardi. Abito qui di fronte. Mi sono proprio divertito, grazie signorina Caterina. Ci vediamo domani».
non so se farla leggere a mio figlio o no…
piccolo figlio di una grandissima……………………….
Lele è un mito!
Ciao briciola, sempre in forma, eh?! M.
Bentornato Briciola.
Bel racconto!
ahahahaha…fantastico..
bello rileggerti!
😉
parossistico? appena un filo… certe pesti somigliano proprio a Lele… è urgente ripristinare gli scappellotti (e se non bastano, qualche bel manrovescio). Tutta colpa degli psicologi 🙁
Erode è da tempo un mito per me, un sognore con le idee chiare, da sguinzagliare in giro per gli svariati Ipermercati!!! Rido, molto molto divertente! Ciao Claudia
Una lettera minatoria alla sig.ra Chiara potrebbe almeno allentare la tenione…
hahahahah fantastica ahahah
erode non aveva poi tutti i torti…
Un ritorno alla grande! Ciao Briciola! 🙂
Bentornato!
Io avrei fatto intervenire il “Telefono Arcobaleno” (=difesa contro l’abuso dei bambini sugli adulti)…:-)
Sempre bello leggerti.
Buon fine settimana
bello
sono tornata e torno a leggerti 🙂
Quando si festeggia S.Caterina? Divertente ma mi chiedevo quanto potrebbe rispecchiare certe realtà. Al posto di mamma Chiara, avrei già chiamato anche la Guardia Nazionale. Iperprotettiva? Probabile 🙂 spinacina
quando il buonismo diventa una camicia di forza…..meraviglioso!
Grazie…mi hai fatto ridere con piacere