Persone di ogni tipo stavano arrivando dalla strada alla spicciolata: ragazzi universitari carichi di libri, extracomunitari dall’aria di essere capitati di lì per caso, ma che avrebbero approfittato dell’accesso gratis alla Rete, ragazzini che avevano sgamato la scuola in cerca di un rifugio, alcuni impiegati in giacca e cravatta che lui vedeva spesso, tutti i giorni, senza aver mai capito che cosa ci facessero in quel luogo.
Tra i giovani lo colpì una ragazza grassa, sola, con una borsa larga color fucsia a tracolla. Fumava prendendo larghe boccate dalla sigaretta, gettando il fumo con la testa in alto, come dovesse mandare un segnale atteso a qualcuno al di là del cortile. Masticava a bocca aperta la gomma che sballottava da una guancia all’altra con tanto di schiocco; lo sguardo era rapido, curioso, e si posava nervoso su tutto quanto la circondava. I jeans erano malamente tagliati sia sulle ginocchia che all’inguine da dove fuoriusciva un rotolo di ciccia informe; altrettanto debordava da sotto la maglietta attillata decoltè non in grado di contenere il seno generoso e straripante. Una collana a doppio filo di pietre di plastica adornava il collo tozzo su cui s’innestava a baionetta un viso tondo dalla forma di una palla da bowling. I capelli biondotinti, con una ciocca di lato color della borsa, scendevano come spaghetti sul volto inespressivo. Per alcuni minuti la ragazza se ne stette in piedi, con l’aria scocciata di dover aspettare, quindi venne a sedersi proprio accanto a lui. Gli si sedette così vicino da impedirgli di tenere aperto il quotidiano.
Trascorsero alcuni attimi; poi, come un’onda calda, gli arrivò alle narici il profumo di lei. Gli aveva dato l’impressione di essere una persona sporca, trasandata, volgare, e invece quell’odore sapeva di pulito, di tenero, infantile: era il profumo delle cose che lo avevano circondato quand’era ragazzo: verbena, lavanda, gelsomino, un fondo di arance amare, una vena di cuoio. Ma c’era probabilmente dentro anche l’odore unico e irripetibile di quella pelle fragrante che sapeva rievocare speranze inespresse, giornate spensierate in compagnia di Lei, progetti arditi per un futuro lontanissimo che appariva però, allora, come una terra facile di conquista. Note brevi e poi più lunghe, persistenti, rassicuranti come una carezza sincera, un sorriso dolce, un abbraccio.
Si accorse che si era messo a fissarla da qualche minuto. Sì, avrebbe voluto improvvisamente stringerla a sé, in uno slancio del tutto irragionevole, vergognandosi persino, subito dopo, di averlo anche solo pensato. La ragazza, che nel frattempo si era messa gli auricolari per ascoltare l’iPod, sentendosi osservata, squadrò l’uomo con i suoi occhi verdazzurri. Passarono alcuni secondi, eterni, in cui lei sbatté più volte le palpebre. Poi gli disse a voce alta:
«Ma che cazzo ti guardi?»
Briciola di genio… direi. Racconto dolceamaro, perché nel latte c’è poco zucchero e un bel po’ di caffè.
Bello! Dolce e amaro. Un velo di ricordi filtra il presente. Ma la nuda realtà, aggressiva ed ineducata, spiazza! “«Ma che cazzo ti guardi?»”
Bravo davvero, professionale direi. L’emozione ? Tanta tristezza.
“Ma c’era probabilmente dentro anche l’odore unico e irripetibile di quella pelle fragrante che sapeva rievocare speranze inespresse, giornate spensierate in compagnia di Lei, progetti arditi per un futuro lontanissimo che appariva però, allora, come una terra facile di conquista. Note brevi e poi più lunghe, persistenti, rassicuranti come una carezza sincera, un sorriso dolce, un abbraccio”…uaoo…una narrazione da brivido!!!!!!!!!
Oh! Il finale mi ha sbalordita e poi… poi giù a ridere!!!
…ammazza che finale! poverino, ci deve essere rimasto proprio… male (per non usare un’altra espressione forse più in sintonia con il gergo della ragazza)!
…è la chimica… la chimica.
Tutto era armonioso fin quando la maleducazione riottosa finale lo permette… grande.
Costruire un racconto alla perfezione, dal portico ‘sereno’ all’invettiva finale.
sherawithcompliments
penso che ad averlo attratto fosse quell’odore di libertà quel desiderio a volte represso che invidiamo ad alcuni soggetti in parole povere il battersene l’anima di tutto e di tutti Forse lui se si fosse sentito libero,non avrebbe avuto il suo profumo ciao
perché non si vede il mio commento?
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Sempre grande, Briciola.
Grazia (nostalgica del nostro racconto a quattro mani)
Grazie per il tuo passaggio, che mi onora sempre.
ma che bello! titolo meraviglioso, racconto sorprendente.
come sempre un racconto ben costruito e piacevole da leggere.
anche le foto che precedono il post son sempre suggestive. sono di un tuo archivio personale e poi le ritocchi con photoshop o le recuperi dal web?
alberto
Le immagini le cerco un po’ ovunque nel web. Spesso per trovarle ci metto molto tempo perché ne vaglio tantissime. Devono infatti darmi innanzitutto un’emozione, e poi devono trovarsi in sintonia, anche sinestesica, con il contenuto del post.
DI solito non le ritocco mai limitandomi piuttosto a ritagliare l’immagine per dare l’accentuazione che ricerco.
Grazie Alberto.
come sempre un racconto ben costruito e piacevole!! ti leggo sempre con piacere. anche le foto che precedono i racconti sono sempre suggestive. sono di un tuo archivio personale e le ritocchi con photoshop o le recuperi sul web?
alberto
MI viene da dire… ben gli sta una risposta del genere dopo che inizialmente l’aveva apostrofata proprio male visto il suo aspetto….
Mi è piaciuto, complimenti
Ciao, Pat
Questo è da cancellare: STUFF? O STAFF
meno male che ci sei tu… 😉
Grande poesia.
Certe emozioni non si sa da dove nascono e perchè…ma spesso ci travolgono.
Perché è più quello che è sommerso di quello che è sotto i nostri occhi
Certe emozioni non si sa da dove nascono…ma spesso ci travolgono .
Siamo abituati a vedere donne bellissime e affascinati che stregano uomini e donne. Però a volte anche quelle che apparentemente non sembrano stuzzicare le emozioni, nascondono tra le loro pieghe delle sensazioni inimmaginabili.
Bellissima la chiusura che gela lo staff.
Perché, credo, ogni cosa non piace (né spiace) mai del tutto.
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la prima impressione… altro che se conta!
Grazie per il reblog.
Fai un lavoro davvero interessante. Certo non soffri di claustrofobia, a lavorare tra quattro mura… 🙂
L’abito non fa il monaco. Ah.