Un tempo verbale unico per tutte le parti della sentenza?

Occorre ora valutare se il tempo del verbo narrante debba essere unico o mutare a seconda delle parti in cui la sentenza è suddivisa.

Agevola nel rispondere a tale domanda considerare quanto più sopra premesso circa l’origine temporale della narrazione. Il giudice decide ora, nel presente, ed è il presente il tempo conduttore principale della sentenza, la finestra temporale del decidere. Più esattamente, com’è noto, la sentenza (mi riferisco qui, per comodità di esposizione alla sentenza civile, ma le argomentazioni espresse valgono per lo più anche per la sentenza penale) è formata da diverse parti: l’intestazione, le conclusioni, lo svolgimento del processo, la motivazione, il dispositivo.

La sentenza, è bene ricordarlo, è un atto decisorio attraverso cui l’autorità giudiziaria dà una risposta di diritto, espressa in forma di comandi nel dispositivo, alla domanda di diritto formulata nelle conclusioni dalle parti processuali a loro volta indicate nell’intestazione, vertendosi in una lite contenziosa esternata nello svolgi-mento del processo; la decisione dà, infine, contezza delle ragioni del decidere nella motivazione.

Più esattamente: l’intestazione contiene l’indicazione dell’ufficio giudiziario decidente (“l’ufficio giudiziario, che, così come composto, in nome del popolo italiano, decide…”) l’indicazione delle parti, i soggetti litiganti al cui cospetto il giudice decide, il loro domicilio e la rappresentanza legale (“i difensori li rappresentano e difendono”) e poco altro.

La forma verbale in questa parte del documento, per il principio che la sentenza decide rebus sic stantibus, è sicuramente al presente. La decisione, espressa sinteticamente nei comandi del dispositivo (parimenti al tempo presente), è presa infatti in relazione solo e unicamente alle parti indicate dell’introduzione e sono quelle che, al momento della pronuncia, sono domiciliate e rappresentate in giudizio nel luogo e nel modo indicati.

È il principio dell’attualizzazione che prevale su ogni altra considerazione. Questa considerazione della pronuncia contestualizzata non è contraddetta dal fatto che nei giudizi in cui la motivazione è differita rispetto alla lettura del dispositivo la sentenza usi, sempre nella intestazione, il passato prossimo (il Collegio “ha pronunciato”) anziché il presente (il Collegio “pronuncia” la seguente sentenza) posto che nei giudizi che prevedono la lettura del dispositivo (per citarne solo uno, in civile, nel regime del lavoro, ovvero nel giudizio penale) il momento della decisione è quella appunto della lettura del dispositivo (sempre al presente) ancorché tutta la motivazione tenga pur sempre conto che la finestra temporale decisoria rimane pur sempre quella della decisione, anche se anticipata nel dispositivo.

Le conclusioni delle parti processuali appartengono invece, appunto, alle stesse parti che le formulano (a volte viene usato il vocativo e spesso il tempo indeterminato dell’infinito), sicché il giudice non può interferire sulla loro scritturazione; il redattore non potrà far altro che riportarle pedissequamente nel testo della sentenza. Il dispositivo è una parte a sé della sentenza; è, com’è noto, il segmento non narrativo che raccoglie i comandi del giudice. Il dispositivo essendo la parte precipua della sentenza in cui viene espressa l’attualizzazione della decisione (il giudice esprime in modo laconico, lapidario, le ragioni indicate nella motivazione) il tempo del verbo è necessariamente volto, anche qui come per l’intestazione, al presente (“accoglie”, “respinge”, “condanna”, “dispone”, “dichiara…”). Qualunque altro termine sarebbe non solo inadeguato ma anche errato.

Quanto alle ragioni del decidere le stesse sono invece ripartite, come si è visto, nello svolgimento del processo dove sono espresse le ragioni di fatto e di diritto fatte valere dalle parti mentre nella motivazione della sentenza vengono raccolte le argomentazioni poste dal giudicante a supporto della decisione in relazione a quelle stesse ragioni di fatto e di diritto.

La motivazione della sentenza è obbligatoriamente volta anch’essa al presente (nel suo sviluppo esplicativo il giudice “rileva” “osserva” “ritiene” “richiama”) perché sorregge i comandi del dispositivo espressi sempre al presente indicativo. Una motivazione che fosse diretta al passato per una decisione espressa nel dispositivo al presente sarebbe dissonante e non giustificabile oltre che, forse, patologica.

Lo svolgimento del processo è invece la parte narrativa della decisione in cui vengono spiegati i presupposti di fatto e di diritto che costituiscono la lite nel suo complesso e che l’autorità giudiziaria è chiamata a comporre. È in questo segmento che l’uso del tempo da parte giudice si fa facoltativo posto che è sostanzialmente rivolto, con la narrazione dei fatti e la esplicazione delle ragioni di diritto, a un momento giocoforza anteriore alla decisione e quindi cade in una sequenza temporale che è “prima del presente. È dunque in questa specifica fase che si concentra la problematica della scelta del tempo verbale.
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