Appena dalla luce della porta apparve il ragazzo, lo sguardo ancora perso nel sonno, l’uomo gli diede rapidamente un pugno sul naso che spalancò del tutto l’anta facendola rimbalzare contro il muro; anche il giovane scivolò all’indietro finendo con la testa all’ingiù sul letto sfatto. I due poliziotti entrarono come fossero i padroni del mondo e, appena nella stanza, si accorsero che la casa era tutta lì.
«Ma chi siete? Siete impazziti?» guaì il ragazzo tamponandosi il sangue che gli fuoriusciva copioso dal naso.
«Siamo persone che ti vogliono bene, così tanto bene che non vogliono che ti succeda nulla di male…» disse suadente uno dei due con un mezzo sorriso storto e guardandosi intorno.
«Sì, infatti, mi sembra evidente!» ironizzò il ragazzo massaggiandosi il naso che si stava gonfiando.
«Senti, Spiccio, abbiamo fretta…» fece quello più alto e magro prendendo l’unica sedia che c’era nella stanza e piazzandosi accanto al giovane sedutosi nel frattempo stralunato sul letto. «Sono proprio interessanti quelle foto…» fece additando, tra le altre, una gigantografia appesa sbilenca al muro che raffigurava una coppia nuda che amoreggiava su una spiaggia deserta. «Lo sappiamo che hai il vizietto del voyeur…»
«È un hobby… non un vizietto» lo corresse lui con voce nasale. «Ci campo, cosa credi? Faccio video e li vendo ai siti porno… c’è un mercato fiorente che non hai idea, ed è tutto legale.»
«Che sia legale commercializzare la vita privata e intima altrui è tutto da vedere!» puntualizzò quello grasso accendendosi un sigaro scadente.
«Se fosse davvero privata e intima, come dici tu, non lo farebbero en plein air; loro sono esibizionisti, sanno di essere ripresi e vogliono essere ripresi, altro che…» si difese Spiccio alterandosi «e poi non so niente!»
«Ascolta en plein air!» gli disse l’altro torcendogli all’improvviso il naso e facendolo ululare dal dolore «non ci interessano le porcate che fai nel tempo libero… ci interessa piuttosto il fatto che ieri, su quella stessa spiaggia dove hai fatto quelle foto, hanno sparato a un ragazzo. Sicché pensavamo che, visto che hai questo bellissimo hobby da depravato en plein air, magari avevi visto o fotografato qualcosa…»
«Io mi trovavo qui a casa, ieri…» fece il ragazzo con un filo di voce in una maschera di sangue.
Il poliziotto grasso stava per allungare una mano per scottarlo con il sigaro quando il ragazzo alzò entrambi le mani urlando: «Va bene… va bene… mi arrendo. Ci diamo dei turni per non dare nell’occhio; e ieri toccava a Mezzagamba.»
«Mezzagamba? Chi? Quel roscio con i denti da coniglio che abita in una casetta verdina vicino alla ferrovia?» chiese uno dei due.
«S-sì» balbettò Spiccio meravigliandosi di quante cose sapessero sul loro conto. «Ma chi siete?»
«Siamo i buoni, Spiccio, siamo i buoni…» disse paziente l’uomo magro «così tanto buoni che ti diciamo che siamo appena stati a casa di Mezzagamba e abbiamo trovato la sua testa nel freezer e il resto in diversi altri posti dell’abitazione, persino sul lampadario. È gente che non scherza quella, ragazzino, e di sicuro verranno anche da te, ma non per comprare i tuoi sporchi video. Per cui, ti ripeto, dicci in fretta quel che sai sull’omicidio e togliti dalle…»
«Mezzagamba, morto?» lo interruppe il ragazzo che a questo punto era terrorizzato.
«Molto morto» fece quello grasso. «Non penso che abbiano neppure ritrovato tutti i pezzi.»
«Ma se parlo mi proteggerete?»
«Come no? Tutto il distretto è a tua disposizione…» disse ancora quello grasso ridendo.
«Senti, pisciasotto» fece l’altro prendendolo per la maglietta «ti abbiamo già fatto un favore a venir fin qui per avvertirti che ti stanno cercando: sei in debito con noi…»
«D’accordo, d’accordo…» fece Spiccio liberandosi e andando al computer. Digitò alcune parole per qualche secondo:
«Io e Mezzagamba abbiamo una cartella in comune sul dark web dove conserviamo, o meglio conservavamo, i filmati da vendere…» ammise senza smettere di battere sulla tastiera. Scelto quindi, tra i tanti, un video, lo fece partire. «È questo che cercavate?»
I due poliziotti si avvicinarono al monitor sporgendosi con il busto. Il video aveva ripreso tutto l’accaduto e anche gli assassini che erano volti già noti ai due poliziotti.
«Bene» fece l’uomo alto, raddrizzandosi. «Caso chiuso, allora… fatti fare una copia del video, Nicky e andiamo… ti va poi un panino da Carlito?» fece dirigendosi dinoccolato verso la porta.
«Ma se ci siamo stati appena ieri, capo,… ah ho capito… ci vuoi andare per quella nuova cameriera mulatta, vero?»
«Certo intelligentone! Tu sì che farai carriera. Ti aspetto giù in macchina; l’aria qui dentro, per quel tuo sigaro puzzolente, è diventata irrespirabile.»
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È stato un attimo
La signora Maria si mise in piedi, trattenne il respiro e cominciò:
«Signor Giudice…» la voce le uscì rauca, la schiarì. «… Signor Giudice sono davanti a lei per spiegarLe ogni cosa… sì, lo devo fare, lo devo proprio fare… deve sapere… che quando quel giorno sono uscita dalla casa della mia amica, mia figlia Helèna era andata avanti. È stato un attimo… si è girata, si è fermata sulla linea che delimita la carreggiata e mi ha chiamata. Io chiudevo il cancello, signor Giudice, avevo entrambe le mani occupate, glielo giuro. Helèna era lì vicino a me, se avessi allungato un braccio l’avrei toccata. Mi chiese se poteva attraversare la strada da sola visto che aveva dieci anni ed era grande. La nostra macchina era parcheggiata sull’altro bordo della statale e io le ho detto sì, ma il camion me l’ha portata via. Sembrava un palazzo che si muovesse. E’ passato come un lampo e la bambina non c’era più. L’hanno ritrovata cento metri più in su, la testa spaccata come un melone. Sembrava un fantoccio, un bambolone rotto. Non sembrava neppure più lei. Glielo giuro, avevo una mano ancora sul cancello e ho detto ‘sì attraversa, tesoro, sì vai, sei grande, vai… ’, e ora grande non lo diventerà più. Ma non è tutta qui la storia, signor Giudice, c’è dell’altro. Ho provato a spiegarlo al signor Pubblico Ministero, ma lui ascoltava solo quello che gli faceva comodo. Vede… avevo il sorriso sulle labbra quando Helèna mi chiese di poter attraversare da sola. Io sorridevo, serena… finalmente. Perché avevo visto… avevo visto arrivare l’autotreno alle sue spalle e l’ho incoraggiata ad andare, loro, cosiddetti inquirenti, non l’avrebbero mai capito se non lo stessi confessando ora qui a Lei: una mamma, cui la sorte ingiusta strappa via una figlia in tenera età, fa sempre pena, e una bambina morta ancora di più. Insomma la colpa non è dell’imputato, dell’autista dell’autotreno, ma mia. vede, Signor Giudice, lei non era la mia bambina, era la figlia che mio marito aveva avuto dalla sua amante. Io la odiavo, non volevo che mi chiamasse mamma. Mio marito ha sempre pensato che io avessi accettata la situazione, così almeno gli avevo fatto credere tutti questi anni. Ma non era così, non era assolutamente così. Mi sono vendicata, signor Giudice, la piccola Helèna assomigliava tutta a quella donnaccia… e così al cancelletto ogni cosa mi è sembrata chiara, un segno del destino: Helèna che voleva attraversare da sola… l’autotreno che stava arrivando, io che mi ero attardata a chiudere la porticina come vi ha riferito sotto giuramento la mia amica. Un piano perfetto, una semplice banale fatalità. E invece la vera verità è questa qui, la dannata verità. È come se l’avessi uccisa io, signor Giudice… IO! Lo so, sono un mostro.»
La donna si mise a piangere a dirotto e si sedette sul letto. Lo specchio della sua camera rimandava l’immagine sfatta di una donna che cercava di nascondersi il volto tra le mani. Poi si acquietò. Freddamente si sciolse il foulard che le circondava il collo e cominciò a sbottonarsi il tailleur che aveva appena indossato:
‘Al diavolo’ disse tra sé e sé buttando da un lato il cappello nuovo comprato per l’occasione ‘non ce la farò mai a confessare. No, non ci andrò al processo questa mattina, mi inventerò qualche scusa, che vadano tutti al diavolo, quella mocciosa, dopotutto, ha avuto quello che si meritava’.
Un respiro dietro l’armadio
«Mamma, mamma, c’è un mostro nella mia cameretta!»
Il bambino, nel suo pigiamino azzurro, si stava sfregando un occhio pieno di sonno; l’orsacchiotto, tenuto per una zampa, penzolava docile a testa in giù.
«Ogni sera la stessa storia» sbottò la madre con tono di rimprovero. «È mai possibile? Torna subito a letto, tanto questa volta non vieni a dormire con noi nel lettone.»
«Ma dico sul serio, mamma, c’è qualcuno che respira dietro all’armadio e ho sentito dei rumori.»
Lei si alzò nervosa dalla poltrona, cercando di fulminare con lo sguardo il marito che, tutto preso a gustarsi il film, neppure si era accorto della presenza del figlio.
«Visto che non c’è nulla?» disse distrattamente la madre rimettendo rimboccando le coperte al piccolo. «L’armadio è accostato al muro. Non ci può essere nessuno lì dietro.»
«Va bene, mamma, se lo dici tu.»
La donna spense la luce dietro di sé e se ne tornò in sala: era contrariata di aver perso la scena più importante del giallo.
Il bambino resistette sveglio finché poté, tanto che era già notte fonda quando si arrese al sonno. Ebbe appena il tempo di mormorare ‘non farmi troppo male, signor Mostro, ti prego’ che si addormentò sfinito. Si agitò molto durante la notte, svegliandosi sovente di soprassalto giusto per accertarsi che l’uomo ansimante dietro al mobile se ne fosse andato, ma le palpebre pesanti finivano sempre per avere la meglio. Filtrava già da qualche minuto la luce dell’alba tra le tendine della sua cameretta, allorché il piccolo si sentì scuotere per un braccio: si svegliò pensando che fosse la mamma che lo chiamava come ogni mattina. Ma non c’era nessuno accanto a lui. Il bambino si levò spaventato precipitandosi nella camera dei genitori; stava ancora tremando quando si rannicchiò accanto alla madre. Lentamente riuscì però a calmarsi e a riprendere sonno, anche se a fatica: finalmente era tranquillo.
Ancora non sapeva che i suoi genitori avevano una voragine in mezzo al petto, proprio là dove prima batteva il cuore.
Due colpi
L’uomo si avvicinò alla porta e suonò.
«Chi è?» si sentì, dall’altra parte, una voce di donna.
«Sono il suo assassino signora, mi apre per favore?»
Seguì un rumore complicato di chiavistelli aperti e di una catena lasciata andare sullo stipite. La porta si spalancò.
«Non ho capito, scusi…» fece la donna con i capelli tinti e cotonati, sulla sessantina.
«Sono il suo assassino signora e sono venuto per ucciderla.»
Ci fu un attimo di silenzio. La donna inforcò gli occhiali sottili e dorati che fece sgusciare dalla tasca del tailleur.
«Ah, è lei… mi sarei aspettata una persona meno giovane. Ma venga, venga, entri, non stia lì sulla soglia, si accomodi.»
La casa era illuminata in modo finanche eccessivo per essere mezzogiorno: era ben arredata ed un profumo intenso di pulito sembrava lì a bell’apposta per mettere di buon umore.»
«Posso offrirle qualcosa?»
«No, grazie, signora. Se per lei è lo stesso… io avrei una certa fretta.»
«Oh certo giovanotto, mi scusi, la capisco. Chissà quanti altri impegni avrà.» La donna intrecciò le dita all’altezza della cinghia griffata e, con un certo imbarazzo, chiese:
«E come pensava di uccidermi?»
L’uomo, fattosi serio, disse in modo professionale:
«Io di solito i miei clienti li strangolo. Ma so che lei ha pagato molto bene la mia agenzia … per cui… scelga lei.»
«Preferirei un bel colpo di pistola.»
«Perché no? Ho giusto un’arma che ho appena fatto venire dalla Germania. E’ uno strumento di alta precisione e un ottimo silenziatore. Ma piuttosto…» e si guardò in giro alzando il mento «dove vuole che ci mettiamo? Mi dispiace sporcare qui per terra.»
«Sì, infatti» ribatté la donna con un gesto di gratitudine «ho appena pulito; avevo pensato di andare in bagno, dentro alla vasca per la precisione. Così non sarà poi tanto difficile rimettere le cose in ordine… quando sarà finito tutto, intendevo dire…»
La donna fece strada in silenzio. Il bagno era spazioso ed accogliente. Da un lato, incassata nel pavimento, era adagiata un’ampia e raffinata Jacuzzi. La signora, con molta naturalezza scese i pochi gradini e si distese sul fondo completamente vestita.
«Lei è davvero elegante, sa?» fece l’uomo sincero dandole una rapida occhiata «non mi capita spesso di avere a che fare con persone di classe come lei.»
«La ringrazio molto giovanotto. Me l’avevano detto che lei ci sapeva fare. Quando sarà tutto finito, troverà sulla mensola del telefono, un extra per lei, se l’è proprio meritato…»
«Guardi che non era necessario, è un mio dovere essere gentile.»
E mentre sciorinava queste parole prosciugate di ogni espressione, estrasse da sotto la giacca un’automatica acciaio inox. Avvitò il silenziatore con grande calma e perizia. Impugnò poi la pistola alzandola all’altezza della donna che lo stava osservando.
«Dove pensava di colpirmi?»
«Alla testa, soffre meno.»
«Ha ragione: è proprio in gamba lei.»
L’uomo piegò d’un lato impercettibilmente le labbra. Forse era un sorriso.
«Faccia un bel respiro, per favore» si raccomandò lui.
E sparò due colpi, in rapida successione.