Una fase importante del processo ideativo di un blogtale (vale a dire di una storia minima, per saperne di più sul blogtale –> Cos’è il blogtale?) è la sua struttura mentale. Occorre cioè provvedere a ‘pensarlo’ nel suo essere funzionante, nella sua trama minimale, ma efficiente, prima ancora di tirar fuori dal cassetto carta e penna (o computer).
Proprio per la brevità che connota il blog-racconto è qui possibile sfruttare appieno la possibilità di scalettarne tutti gli step memorizzabili, lavorandoci in una sorta di comoda astrazione dove è possibile comporre e scomporre i pezzi all’infinito.
Non dico che lo sviluppo solo mentale, ancorché iniziale del lavoro, non sia possibile per componimenti più lunghi e articolati (come racconti lunghi e romanzi) ma certamente in un racconto di corto respiro, come è quello di cui ci si sta occupando, è relativamente più semplice (anche se poi la vera difficoltà sarà ‘buttarlo giù’ sulla carta).
Il tenere a mente il racconto, dal suo inizio sino alle battute finali, lavorandoci come se l’avessimo fisicamente davanti, si fonda sulla modularità di qualsiasi componimento, al cui interno, sebbene fusi l’uno dentro l’altro, sono distinguibili i vari segmenti da cui è formato: l’incipit, il corpo del racconto, il conflitto, la soluzione del conflitto, il finale e, in mezzo: la costruzione del o dei personaggi, l’ambientazione, le varie strategie narrative, i colpi di scena e le metonimie, le sorprese e molto altro.
L’approccio modulare è congeniale sotto l’aspetto dello sviluppo dalla ‘cellula di innesco’ del racconto (–> Come allenare il muscolo della fantasia), l’idea cioè da cui scaturirà il resto della storia e su cui verrà costruito lo scheletrato del blogtale che può infatti riguardare una qualsiasi delle parti cui prima ho fatto riferimento.
Può essere che mi sia venuto in mente un inizio particolarmente evocativo (incipit) oppure che mi sia rimasto impresso un dialogo tra due personaggi o una certa frase che, pronunciata in un dato frangente, sia suscettibile di essere sviluppata (corpo del racconto) oppure ancora che io abbia in mente un’immagine che ben potrebbe funzionare come finale.
Una volta che si ha un punto di partenza (più in là affronteremo il problema di quando invece non si sa proprio da dove iniziare –> Come farsi venire in mente una buona idea per un racconto) e si è quindi in possesso di una specie di ‘grimaldello’ per aprire la porta della creatività, posso usarlo per riflettere sulla parte residuale del lavoro procedendo a ritroso se l’idea riguarda il finale o in avanti se l’idea riguarda l’incipit.
Se si tengono ben presente i pezzi a incastro della trama, il cosa far fare o il cosa far dire a un certo personaggio perché arrivi a quel dato effetto voluto di intreccio, il come muovere l’azione o armonizzare lo sfondo con tutto il resto, ho anche ben chiaro che posso considerare tutte queste parti come tessere da assemblare e riassemblare fino a quando il progetto complessivo non è valido.
In altri termini è inutile, a mio parere, prodigarsi per correggere una certa frase o arricchire un dato personaggio, perdersi cioè nei particolari minuti pur importanti di un racconto, se ancora non so come andrà a finire o come inizierà il racconto o come verranno risolti certi aspetti cruciali del blogtale.
C’è tempo, in altri termini, per occuparsi della ‘formalità’ della scrittura, per sedersi a tavolino e vedere come il racconto può venire sulla pagina. È un errore, a mio modesto avviso (con le dovute eccezioni), cominciare a scrivere se non si hanno le idee chiare sui punti essenziali del testo credendo che tanto una buona idea, scrivendo, prima o poi verrà. Questo aver fretta di metter nero su bianco a volte potrebbe andare a scapito della trama che potrebbe non risultare fluida o non del tutto letterariamente credibile.
La struttura mentale del racconto, nella fase di pre-scrittura, consente invece, non solo una comoda portabilità delle tessere che lo compongono, potendoci lavorare ovunque mi trovo (andando a passeggio o aspettando l’autobus), ma anche una visione di insieme continua e testabile, e una sperimentabilità rapida e sicura.
Se si pensa, si capisce meglio se qualche passaggio è forzato, non spontaneo o ‘strappato via’, mentre quando si scrive, proprio perché l’attenzione è sbilanciata sul come si sta costruendo la frase, si potrebbe perdere questa sorta di oggettività e di valutazione di insieme.
Oltretutto il pensiero è velocissimo, non richiede formalità espressive particolari, e il materiale prodotto può essere fatto e disfatto in un attimo in quanto formato da concetti e non da parole.
Da ultimo va ricordato che il nostro cervello è sempre attivo, anche quando dormiamo, e non è inconsueto che a forza di pensare a un certa soluzione drammaturgica, la trovi lui da solo nel corto circuito misterioso dell’insight (–> Il pensiero creativo in modalità predefinita o di default).
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IN CONCLUSIONE
Dunque, ricapitolando, di cosa si è parlato in questa pagina:
della tecnica di approccio modulare del racconto, pensandolo come formato da tanti “pezzi” da assemblare e disassemblare sino a ottenere il prodotto finito.
L’incipit, l’azione principale, le azioni secondarie, i conflitti, la risoluzione dei conflitti e il finale altro non sono se non segmenti montabili e smontabili di un’unitarietà superiore che tutti li ricomprende.
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