[RIASSUNTO della puntata precedente: i passeggeri di un treno di lusso sono in viaggio tra paesi europei ed esotici; sembra un viaggio noioso e costoso, quando...] --> leggi la puntata precedente Un treno carico di stelle (prima parte)
Di lì a pochi minuti il treno si fermò di nuovo. Lo fece dando l’impressione che da quel posto non si sarebbe più mosso. Forse per il rumore che aveva fatto nell’arrestarsi, forse per il tipo di frenata.
Molti dei 233 passeggeri cercarono di aprire le porte. Ma erano sigillate con una chiusura centralizzata. L’idea che si era diffusa era che fosse meglio lasciare il treno il più presto possibile, non essendo più percepito come sicuro: qualunque cosa potesse accadere e ovunque i passeggeri si trovassero in quel momento occorreva andarsene. I viaggiatori, come fossero stati un unico animale da preda, avevano fiutato infatti il pericolo. Si pensò quindi che sarebbe stato più sicuro, anche a quell’ora, raggiungere la stazione ferroviaria più vicina o raggiungere una strada per chiedere un passaggio e tornare così in qualche modo a casa. Dopo tutto, pensavano, sarebbero stati protetti dalle norme internazionali e dal passaporto straniero.
Cercarono di entrare anche nella cabina del macchinista per ottenere lo sblocco delle porte, ma era chiusa dall’interno. Uno dei due australiani sparò diverse pallottole della sua 45 contro la serratura per poterne avere ragione, ma non ci fu nulla da fare.
Poi d’un tratto, nella cupa oscurità, si videro dei bagliori lontani come lame di una sofisticata arma sconosciuta; diventavano sempre più vicini fino a diventare abbaglianti. Ben presto non fu più possibile vedere nulla al di là dei finestroni sgranati sulla campagna come enormi occhi ciechi. Qualcuno stava puntando dei potenti proiettori al led contro il convoglio. Erano stati scovati, loro erano lì, e ora forse poteva accadere solo il peggio. Si sentiva infatti parlare una lingua incomprensibile. Qualcuno impartiva ordini secchi, concitati. C’era tramestio, vibrazioni, rumori di cingoli.
Oliver si accorse che a quella luce gli occupanti apparivano pallidi e tesi e la maggior parte di loro era terrorizzata. Si guardavano l’un l’altro come per trovare una spiegazione plausibile per quello che stava loro accadendo; si interrogavano soprattutto su una possibile via di fuga. Non c’era modo però di andarsene, né di comunicare con l’esterno e comprendere quali fossero le reali intenzioni degli insorti, se poi lo erano davvero.
Le due sorelle si misero all’improvviso a urlare dai vetri in direzione delle persone sopraggiunte gridando che loro erano solo turisti e che non costituivano una minaccia. Battevano le mani sui finestroni e gridavano a squarciagola ottenendo solo l’effetto sinistro che le loro voci rimbombassero insicure e disperate all’interno del vagone. Poi rimasero in silenzio percependo tutta loro impotenza.
In quel mentre, iniziò, molto vicino al convoglio, il crepitio assordante delle armi automatiche. C’erano anche colpi di fucile e scoppi di bombe e di mortaio. Tutti gli occupanti si stesero immediatamente sul fondo. Tranne i due australiani che si misero a sbirciare fuori cercando di venirne a capo. Poi ci furono altre esplosioni, urla agghiaccianti, strepiti, boati. Gli spostamenti d’aria facevano vacillare il vagone facendo sentire gli occupanti in balia di una forza oscura e soverchiante. Ben presto però si accorsero anche che, nonostante i vagoni fossero sotto quelle luci abbacinanti e che ci fosse tutto quello strepito e confusione, non un colpo d’arma da fuoco li stava colpendo. Era in atto una battaglia, era certo, ma loro non costituivano il bersaglio. Non si capiva bene chi stesse combattendo chi, ma di fatto il treno si trovava in mezzo ai belligeranti.
Fu quello il momento in cui si avvertì un tonfo.
Temettero tutti che qualcuno stesse cercando di forzare una porta per fare irruzione nel vagone. L’uomo che viaggiava con il figlio si piazzò appena dietro un ingresso. Brandiva un grosso coltello che luccicava ad ogni esplosione. Le due sorelle erano poco distanti. Si tenevano per mano incitando però con gli occhi l’uomo a fare qualcosa. Non sembrava tuttavia che il rumore provenisse davvero da quel punto. Pareva piuttosto che qualcosa avesse colpito un vetro.
Quando un proiettore che illuminava a giorno il convoglio cambiò angolazione fece intravvedere di cosa si trattava: era una mano mozzata rimasta appiccicata al finestrone e ora stava scendendo lentamente verso il basso lasciando una striscia di sangue sotto le dita e il palmo aperto. Ad Oliver parve di riconoscere tra quelle dita un anello che aveva notato fosse stato Abner a portare, ma non ne sarebbe stato poi così sicuro.
Le tre ‘dame’, questa volta, urlarono all’unisono spostandosi istintivamente dalla parte opposta del vagone. La donna misteriosa si era messa invece, stupita, a fissare la mano mozza; la seguiva con attenzione, incuriosita, mentre scendeva sbilenca sul vetro come fosse stato un raro esperimento scientifico, fino a quando non si staccò per cadere senza rumore tra i binari. Poi anche la donna cadde riversa da un lato. Un proiettile vagante, entrato nel vagone chissà come e chissà da dove, l’aveva appena attinta alla gola. Oliver si gettò su di lei per prenderla al volo e impedirle di battere la testa. L’appoggiò lentamente sul fondo dello scompartimento per poi vederla spirare tra le sue braccia affogata nel suo stesso sangue. ‘Che brutta morte!‘ ebbe solo modo di pensare, in quel momento.
«Dobbiamo uscire di qui…» fece il secondo australiano con uno sguardo che brillò nel buio «… o ci faremo ammazzare tutti.»
«Ce l’ha un’altra pistola da darmi?» chiese l’uomo anziano con la polo blu.
«Ci sono dei coltelli nella cucina del ristorante…» svelò l’uomo che viaggiava con il figlio mostrando il proprio di coltello.
In quell’istante, quasi fosse stata una risposta, con uno strattone che per poco non fece cadere i viaggiatori, il treno prese a muoversi di nuovo, ma con la stessa lentezza delle ultime ore.
In capo a una mezz’ora il convoglio si era lasciato dietro le luci fredde dei proiettori e i rumori della battaglia. Poi si arrestò di nuovo nella campagna infinita. Ora era il silenzio che la faceva da padrone ad avvolgere ogni cosa come un sudario. L’interno del vagone era nuovamente nell’oscurità più totale; si udivano qua e là dei pianti sommessi: difficile capire da chi provenissero.
Quindi, d’un tratto, si avvertirono degli scatti metallici. Era lo sblocco delle porte.
Subito tutti si precipitarono verso le uscite del treno e in pochi minuti i passeggeri furono sulla massicciata all’aria pulita e tersa della notte che pareva volerli mondare da ogni brutto ricordo.
Il cielo sopra di loro era ingombro di stelle. Oliver si guardò in giro. La massa scura del treno alle sue spalle era un animale preistorico appena addormentato. Gli arrivò un lontano rumore di risacca e il profumo del mare, quasi una promessa di salvezza ancora tutta da mantenere.
Poi, in un attimo, come topi usciti da un tombino allagato, i viaggiatori sparirono in tutte le direzioni. Incontro ciascuno al proprio destino.
(fine)