«Potremmo cercare di mangiare questa carne…» esordì Franz poco convinto «almeno non moriremmo di fame!» «Mangiare carne cruda e guasta?» fece Nora «sei impazzito?» Franz non replicò, non ne aveva la forza. Calò nuovamente il silenzio tra di loro, come se non ci fosse davvero più niente da dire o da fare. Banco chiuse gli occhi. Si concentrò sulla situazione. E, come era accaduto nella casa che si era messa a girare come una trottola, provando un dolore acuto al petto, si staccò nuovamente dal proprio corpo. Finalmente poté vedere, nella sua interezza e dimensione, la stanza dove erano imprigionati. Vide il cumulo di carcasse di daino, di marmotta e scoiattolo, sistemate alla rinfusa sino ad occupare per diversi metri l’imbocco del condotto; osservò i loro corpi esausti, il suo e quello degli altri occupanti la cella, immobili, privi di speranza, che giacevano supini con gli occhi chiusi. Vide distintamente anche Morticia che, china su di una carcassa che aveva dissotterrato, stava mangiando la carne cruda e nauseabonda di uno scoiattolo, bevendo anche il suo sangue per dissetarsi. Ecco perché era l’unica tra loro che non mostrava segni di stanchezza o di cedimento fisiopsichico! Come gli accadeva durante i suoi trasferimenti extracorporei, ora la vedeva ferma, in quel suo gesto di avida divoratrice di carne putrefatta, come un fotogramma fisso di un film dell’orrore. Tutto il suo viso era lordo di sangue. Sì, ora poteva vederlo bene: Morticia in realtà era un Demone che, sotto le sembianze di Morticia Addams, si era mescolato a loro per controllarli meglio all’interno di quella prigione. Ora capiva perché il tentativo di fuga con la piramide umana era fallito: era stato lei a sabotarlo. La Banda dei Malvagi voleva a tutti i costi che loro soccombessero in quel luogo putrido e per questo scopo avevano inviato uno di loro. Banco, per superare il ribrezzo di quella fotografia, si spostò in superficie e vide, oltre a Gola Squarciata, anche Guance Forate e altri Demoni, più piccoli, che avevano la particolarità di avere il viso molto più schiacciato e gli occhi blu oltre ai denti radi e marci. Stavano trascinando, in gruppo, un orso gigantesco il cui torace era stato orrendamente maciullato. Lo stavano portando vicino alla botola: erano evidentemente intenzionati a gettarlo nella dispensa dove si trovavano loro. ‘Non c’è tempo da perdere’, pensò Banco. Se avessero infatti buttato anche la carcassa di quel plantigrado nella fossa, sarebbero stati ben presto soffocati. E anche se nelle Immagini non si poteva morire, come lui ben sapeva, certamente sarebbero stati ridotti all’impotenza e alla mercé delle creature infernali. Banco, fluttuando, tornò allora nella dispensa e nel suo organismo, non prima però di essersi segnato mentalmente la posizione di Morticia rispetto al suo corpo. Il ragazzo, come già gli era accaduto, esitò a rientrare dentro di sé: trovava estenuanti questi trasferimenti extracorporei e il suo organismo era già notevolmente provato per la mancanza di cibo e d’acqua. Considerò anche che se fosse rimasto spirito se la sarebbe sicuramente cavata, ma avrebbe ucciso allo stesso tempo la sua fisicità e i suoi amici. E poi in quella condizione avrebbe potuto fare ben poco, essendogli impossibile qualsiasi azione materiale. Non esitò allora ulteriormente e rientrò nella sua pelle. Stette qualche minuto fermo per riprendersi da quella esperienza al di fuori di sé. Poi, cercando di non far rumore, staccò con il coltello un corno ad un daino, che aveva individuato nel mucchio di carcasse accanto a lui. Tirò fuori dallo zaino, con cautela e dopo averne tastato accuratamente il contenuto per meglio riconoscerla, anche la boccetta dove aveva riposto il sangue del Ragno da lui ucciso. Vi lasciò dentro per un po’ il corno, poi lo inserì nel suo refrigeratore rapido che aveva ancora con sé. Infine si mise in ginocchio. Sentì che Morticia stava ancora mangiando, muovendo in modo impercettibile le mandibole in modo che gli altri non avvertissero alcun suono. Il cuore gli batteva fortissimo e le mani gli tremavamo dalla emozione. Prese un ampio respiro, contò mentalmente fino a tre e poi fece uno scatto in avanti, dove presumibilmente doveva essere la donna: con un gesto rapido, dal basso verso l’alto, arcuando la traiettoria, conficcò con forza il corno nel petto di Morticia. Sentì solo un gemito soffocato. Poi la donna, come già era successo per IT colpito dalla lancia scagliatagli da Tago, prese fuoco come un paglione di fieno secco, divampando violentemente. Franz e Nora urlarono vedendo lo spettacolo agghiacciante che si stava consumando sotto i propri occhi. «Presto, non c’è tempo da perdere, mettetevi nella posizione a colonna di prima!» urlò loro Banco. Ma i due non risposero a quella accorata esortazione: fissavano Morticia che stava bruciando senza essere in grado di reagire o di dire qualcosa. Erano immobili. Gli occhi sbarrati. Non sapevano se ubbidire a Banco o cercare di salvare quella poveretta. La scena era terrificante anche perché la donna si dibatteva prendendo sembianze diverse, via via sempre più raccapriccianti e demoniache. «Allora?!?» gridò ancora Banco con un piglio che non ammetteva repliche. Franz, senza staccare gli occhi dalla torcia umana che seguitava ad eseguire la sua danza macabra, fu il primo a muoversi salendo, come un automa, sul cumulo di carcasse; anche Nora si mosse e, lentamente, salì ammutolita sulle spalle del marito. Banco, invece, come un gatto, si arrampicò sui due raggiungendo subito la cima. Aveva ancora diversi metri che lo separavano dalla botola. Agguantando però una radice affiorante dalla parete di terra appena sopra di lui, e che ora poteva ben vedere grazie alla luce che si sprigionava dalle fiamme che avvolgevano Morticia, si portò ancora più in su rimanendo sospeso nel vuoto. Poi intravide una grossa pietra incastonata sulla parete opposta. Vi mise prima la mano e poi il piede a sorreggersi in maniera più salda e comoda: facendo leva su questo scalino insperato arrivò a pochi centimetri dall’apertura schiacciandovisi al di sotto. In basso poteva invece vedere che Nora era scesa dalle spalle di Franz e i due, anziché osservare quello che stava facendo il ragazzo, guardavano ancora Morticia che bruciava ipnotizzati da quel fuoco maledetto. Banco cercò di non farsi distrarre da quella scena cui aveva già avuto modo di assistere una volta. Intanto il fumo acre che si sprigionava dal fuoco stava saturando la dispensa rendendo l’aria irrespirabile. Sentì dei rumori oltre la botola. Erano i Demoni che stavano trascinando la carcassa dell’orso ucciso. Si rannicchiò come una molla pronta a scattare. E quando il coperchio fu levato da Gola Squarciata, pronto per gettare nella fossa la nuova preda, Banco, raccogliendo tutte le forze che ancora aveva in corpo, con la mano che impugnava il corno imbevuto di sangue raggelato, scattò con la rapidità di una tagliola tirando in direzione del Demone, un fendente teso e forte. Gola Squarciata si ritrasse, ma non del tutto. Il fendente lo prese di striscio ad un labbro. Passarono pochi secondi ed anche lui, urlando in modo terrificante, prese fuoco come uno straccio inzuppato di benzina e cadde rantolando all’indietro. Il ragazzo uscì rapidamente dalla fossa e impugnando il corno come fosse stato un pugnale si fece sotto agli altri Demoni. Quelli sgranarono gli occhi vedendo Gola Squarciata che si dibatteva tra le fiamme emettendo ululati acuti e lancinanti: era la prima volta che assistevano alla morte di un loro consimile, morte peraltro orrenda e che fino a quel momento avevano ritenuto impossibile. Dopo il primo attimo di smarrimento, i Demoni, così come era stato per il Ragno Verde che si era trovato alle spalle di IT nel Paese dei Ragni, preferirono scappare. Notò che le creature simili a Gola Squarciata, i Demoni Carena, tra cui Guance Forate e un altro che brandiva il femore di un grosso animale come fosse stata una spada, per fuggire letteralmente evaporavano nell’aria; i Demoni più bassi di statura, dagli Occhi Blu, si allontanarono invece, in fila indiana, a grossi balzi, aiutandosi con la mano destra terminante in un unico grosso artiglio che appoggiavano in modo cadenzato a terra. Il ragazzo stette a guardarli sincerandosi che, almeno per un po’, non costituissero un pericolo, poi si precipitò alla botola da dove usciva ancora il fumo. «Tutto bene là sotto?» domandò sporgendosi verso il pozzo. La fossa, nel frattempo, era ripiombata nel buio completo, anche se la luce del giorno riusciva seppur a stento a filtrare. «Sì tutto bene, giovanotto» fece Franz sforzandosi di sembrare cordiale. «Spero solo che nel resto della mia vita io non debba più assistere a qualcosa di così orrendo». «Adesso vi tiro fuori di lì. Aspettate solo un attimo». Banco andò in giro in cerca di qualcosa che potesse risultargli utile. Arrivò addirittura fino alla fortificazione che era stata di Darth Fenner e lì trovò una lunga fune fatta di cortecce d’albero intrecciate. La trovò accanto ad una artigianale catapulta che, però, non doveva essere servita perché non era stata ancora legata alla macchina da guerra. Tornato indietro alla dispensa, con la fune, tirò fuori Franz e Nora. Erano molto provati, come lui del resto. «Ma cos’è successo, Banco?» chiese confuso l’uomo alludendo a Morticia. «Si è data fuoco da sola? È stata autocombustione o cosa?» Poi, senza aspettare una risposta e scuotendo la testa come volesse cancellare quella immagine terribile dalla memoria, gemette: «Povera ragazza, povera ragazza!» Il gruppo, mestamente, si allontanò da quel luogo. Si spinsero ancora più a sud, senza motivo, se non per allontanarsi quanto meno da quegli orrori. Appena poterono, i tre provvidero a sfamarsi nutrendosi dei frutti di un albero che trovarono non lontano; calmarono così anche la propria sete. «Non mangerò mai più carne in vita mia!» sentenziò Franz scrollando la testa e stendendosi a terra in posizione a ‘X’ «Per una volta sono pienamente d’accordo con te, caro» rispose Nora ritrovando il sorriso, anche se amaro. «Ma cosa è successo a Morticia?» insistette ancora l’uomo guardando Banco, che aveva tutta l’aria di avere la risposta giusta. «Non era una Socia della Compagnia…» tagliò via secco. «Ah no?!?» «No, era un Demone: aveva il compito di controllarci e sabotare così i nostri tentativi di fuga». «Un Demone? Ci sono I Demoni del Malvagio quassù? E tu come hai fatto a capirlo?» incalzò Franz che cercava ancora inutilmente un sigaro nel panciotto sporco e lacero. «Non ci sei ancora arrivato, caro?» domandò sarcastica la donna. «Lui ha acquisito poteri a noi del tutto sconosciuti. Lui solo, ora, ha la chiave per combattere e vincere questa guerra. La deve solo trovare, o moriremo con lui». Banco non stava ascoltando. Stava in realtà riflettendo su quanto era accaduto. Era transitato, dall’inizio di questa avventura, in parecchie Immagini: ma in nessuna di esse aveva incontrato tanti Demoni. Anzi, a dir la verità, si era imbattuto solo in IT nel Paese dei Ragni Giganti, ma solo perché il clown voleva combattere lui e Tago personalmente. Come si spiegava allora questa loro presenza massiccia? «C’è qualcosa che ti preoccupa, figliolo?» fece in tono paterno Franz. «Nulla» ribatté Banco. Sapeva che sarebbe stato perfettamente inutile comunicare questa osservazione a chi i Demoni non poteva neppure vederli. Tuttavia rivelò: «Non credo che siamo molto lontani dal covo del Malvagio…» «Tu pensi davvero?!?» si meravigliò Nora con un tono che lasciava però intendere come quella non fosse esattamente la notizia che voleva sentire. «Non siamo qui per un errore di trasmissione» continuò a spiegare il ragazzo «quanto piuttosto perché così è stato voluto dalla Banda dei Malvagi: questa Immagine, con tutta probabilità, è il loro Quartier generale, ed è per questo che è ricca di presenze demoniache. E il Malvagio ha voluto che ci trovassimo in questo posto per avere maggiori possibilità di controllarci e annientarci. E anche per farci capire che non ha assolutamente paura di noi». «Davvero confortante, giovanotto, davvero…» commentò ironicamente Franz. «Ma non eravate voi che volevate sconfiggere il Malvagio?» obiettò il giovane che aveva colto il tono irridente. «Certo» fece Franz con un sorriso tirato «ma non noi personalmente! Cosa ci stanno a fare gli operatori CIA allora!?!» «Non sarà, invece, che siete un po’ fifoni?» gli scappò di dire. «Prudenti, giovanotto, siamo solo prudenti» fu la risposta di Nora, che sembrava però aver pronunciato una frase preimpostata per domande di quel genere. «E meno male che per convincermi ad accettare l’incarico mi avevate promesso aiuto e assistenza!» «Lo so ragazzo» fece l’uomo passandosi una mano sopra ai radi capelli «è che sono successe tante cose nel frattempo…» Banco non replicò. Si sentiva profondamente triste. Tutto sommato era solo ad affrontare quella difficile situazione perché sapeva che non avrebbe potuto contare, nel momento del bisogno, né su Franz, né su Nora, né su altri. Forse erano anche dei buoni organizzatori o efficienti coordinatori del lavoro di altri, ma sicuramente, e lo avevano dimostrato, non erano persone pratiche e d’azione. A Banco mancava poi molto la sorella, l’aiuto prezioso di un amico sincero come Tago o Canio. Gli mancavano i suoi genitori e la tranquillità della sua casa e perfino quei rompiscatole dei compagni di scuola che pure non gli avevano mai lesinato battute e scherzi feroci, e il prof. Li Calzi, con la sua aria spiritata. Ma come era finito in quella situazione altamente rischiosa? Soprattutto come si era fatto convincere a imbarcarsi in questa avventura pazzesca? Si passò distrattamente le dita sul segno ancora fresco del Nodo Celtico che gli si era da poco impresso sul polso sinistro. Franz e Nora non lo avevano ancora notato. O forse, chissà, quel segno che sembrava essere marchiato a fuoco non era per loro visibile come non lo erano del resto i Demoni. Toccò piano piano quel segno, apprezzandone tutto il rilievo con i polpastrelli. Gli pesava quella gravosa responsabilità per un compito che non aveva voluto e per il quale non si sentiva pronto. Il giovane si guardò attorno. Quindi disse: «Facciamo dei turni per dormire un po’?» «Sì, Banco» rispose Franz ancora provato. «Comincia pure tu a riposarti. Hai fatto un bel po’ di movimento e ti dobbiamo la vita. Ti meriti come minimo qualche ora di sonno». Poi, rivolgendosi alla moglie, invitò anche lei a fare altrettanto. Banco annuì ringraziando. Era davvero stanco. Si sdraiò sull’erba e si addormentò.