La donna, ancora piacente e ben vestita, il capello tagliato di fresco, aveva la testa bassa. L’avvocato vicino a lei le faceva il gesto di tirarsi su con il busto, perché si stava presentando male al magistrato. Le aveva pure fatto un bel discorsetto prima dell’interrogatorio, ma ora, lei, sembrava essersi dimenticata di ogni cosa: era crucciata, il pensiero perso da qualche parte tra il pianale della scrivania davanti a lei e le sue scarpe alla moda.
«Per il verbale… lei si chiama…» chiese il PM con voce atona e distaccata.
La donna declinò le generalità a bassa voce, non senza incertezze.
«Nata a… il…» insistette il magistrato.
E lei meccanicamente completò i dati.
«È morto dottore?» fece a un certo punto la donna, preoccupata. Il PM la squadrò, sorpreso per quella domanda.
«Se la sente di raccontarmi com’è andata?» chiese senza rispondere, abbozzando quello che avrebbe dovuto essere un mezzo sorriso.
«Stavo dormendo, dottore, quando nel cuore della notte ho sentito dei rumori. Sa, quella sera ero sola perché le bambine si trovavano con mio marito, a Collefili: era la serata che le doveva tenere lui. Ma quando mi sono alzata e sono andata nel corridoio verso la porta d’ingresso per capire cosa stesse succedendo era già troppo tardi: “loro” stavano già entrando…»
Le ultime parole le morirono in bocca: non riuscì a continuare a parlare e si mise a piangere. L’avvocato tirò fuori un fazzoletto di fiandra d’altri tempi e lo porse alla donna con gentilezza.
Il PM attese paziente.
«A quel punto…» si schiarì la voce la donna «…a quel punto ero davvero terrorizzata: vedevo già la luce di una torcia filtrare sotto la soglia…»
«Li ha aspettati che entrassero e così ha colpito uno di loro…»
«Ma no, dottore. Sono tornata subito a letto; ho pensato che se mi trovavano a dormire profondamente si sarebbero limitati a rubare solo qualcosa e se ne sarebbero andati…»
«E invece?»
«Stava andando tutto bene, diciamo così… nel senso che si erano messi prima a rovistare un po’ in sala e poi sono entrati in camera da letto. Hanno preso la mia veretta e una collana di perle sul comò…»
«Ed è stato questo il momento in cui lei così si è alzata dal letto e ha colpito…»
«Ma no, dottore, no… li ho lasciati fare sperando che si sarebbero accontentati… avevo troppa paura…»
La donna si stava tormentando le dita delle mani come se se le volesse svitare.
«Uno di loro, quello più giovane… mi si è quindi avvicinato e mentre io ero impietrita sopra le coperte lui mi ha abbassato il pantalone del pigiama… aveva proprio quello sguardo lì, sa cosa intendo dire…» fece assumendo nel volto un’espressione di involontaria sensualità «perché ho l’abitudine di non portare niente, sotto, quando mi metto a dormire…»
«Ed è stato quello il momento in cui…»
«No, ma cosa dice, per così poco… e poi l’altro complice, quello che era rimasto sulla porta e che doveva essere il capo, lo ha ripreso seccamente dicendogli di venir via perché, secondo lui, non c’era più nient’altro da rubare…»
«E quindi?»
«E quindi quello che mi era vicino, e che non voleva affatto andarsene, non so se mi sono spiegata, ha notato il mio cellulare sul comodino e se l’è preso.»
«E lei?»
«E io non ci ho più visto. Mi sono allungata fulminea sul comodino e con uno scatto ho afferrato la sveglia in mano e gliel’ho fracassata sulla testa…»
«La sveglia sulla testa? Per il telefonino…?» ripeté automaticamente il PM.
«Certo, dottore. Con tutti i selfie che mi ero fatta l’estate scorsa al mare con le mie amiche… ma scherza davvero? E così il balordo è rimasto lì a terra, mezzo secco… mentre l’altro è scappato via subito.»
[space]
Archivi tag: telefonino
Zona di controllo
Lei era strizzata in un tailleur grigioscuro poco comodo per viaggiare, ma molto elegante. Con passo deciso scivolava il trolley facendolo frusciare sulla moquette grigia. Lui invece arrancava con la valigia e lo zaino ingombranti cercando di farsi strada tra i turisti che affollavano l’aeroporto e che sciamavano da una sala all’altra a seconda di quello che l’altoparlante preannunciava.
«Ti giuro, Amore, non so chi sia…» La donna guardava dritta avanti a sé senza dare l’impressione di ascoltare. Il viso era affilato e sembrava tagliare in due l’aria che la circondava. «Sicuramente è qualcuno che mi ha mandato un sms per errore, capita… Non so chi sia questa Laura…» disse ancora lui nel vuoto.
«Se te l’ha mandato per errore, come fa a sapere che sei qui all’aeroporto e che stai partendo?» disse la donna guardandosi attorno per poi fermarsi di colpo e leggere sul tabellone elettronico il numero del gate. L’uomo per poco non le finì addosso.
«È un caso, una coincidenza… non fare così, Topino, non roviniamoci la vacanza…» ma la compagna non gli rispose riprendendo l’andatura in modo sostenuto.
Poi i due si infilarono nella zona di controllo aeroportuale. Passarono il metaldetector sotto lo sguardo attento di un poliziotto in tuta mimetica che teneva al guinzaglio un pastore tedesco. Appena gli si avvicinarono, il cane scattò sulle zampe e cominciò a ringhiare. Il poliziotto richiamò l’animale con un comando secco.
«Non ho droghe, sono pulito agente, non capisco…» fece lui spaventato.
«Sì, sì lo so, non si preoccupi, passi pure. Il cane antidroga è quest’altro qui» disse con un cenno del capo indicando un rottweiler che, al piede, gli stava scodinzolando.
«E allora perché quest’altro mi ringhia contro, scusi?»
«Perché è addestrato a fiutare l’adrenalina, lei probabilmente è ansioso, preoccupato… sta forse mentendo?» chiese il poliziotto con naturalezza.
L’uomo rimase senza parole, mentre la sua compagna lo stava fissando come volesse accecarlo. Lei gli sfilò tra le dita il biglietto aereo e, dirigendosi verso il corridoio di imbarco, sentenziò: «Io proseguo da sola. Quanto a te non ti scomodare neppure a tornare a casa visto che hai già con te la valigia».
Io sono Evangeline
Era emozionato nel ritirare il nuovo telefonino: prometteva di essere la quintessenza della tecnologia e un meritato status symbol. Appena fuori dal negozio non resistette e aprì la scatola, inserì la scheda e lo accese, il tastierino però non c’era.
«Io sono Evangeline» sentì dire. Balzò in piedi fissando il cellulare incredulo. «Buongiorno utente 14976654» insistette la voce con un tono caldo. «Preferisci che ti chiami così, con il tuo nome o con un nick?»
«Ma tu parli!?!»
«Certo, sono il software Evangeline Ak3200T ai tuoi comandi, tu dimmi il numero e io te lo comporrò. Allora come preferisci che io ti chiami?»
«Per nome».
«Bene, Marcello… il numero?»
Lui se ne stette qualche secondo in silenzio, diffidente, poi compitò: «34857669247».
«Ma non è il numero di Federica?»
«S-sì, qualcosa non va?»
«Nulla» flautò dolce Evangeline «se non fosse che è la tua amante… Questo non fa affatto bene al tuo matrimonio. Tua moglie si sente trascurata. Lo sai che è depressa e che da qualche settimana è seguita da uno psicologo?»
«Uno psicologo?»
«Sì… il dott. Alemanni, ha lo studio in Lughi, via Perugia, 33, tel. 388597745, ti metto in contatto con lui?»
«No, no, per carità, lascia perdere, non credo poi siano fatti tuoi… piuttosto chiamami il ristorante ‘La capannella’ devo confermare il tavolo per questa sera».
«Non è più necessario, mi sono permessa di disdire e di riprenotare presso il punto macrobiologico di Castelmoreno ‘Il cavolo e la verza’».
«Cos’hai fatto? Come ti permetti? Oltretutto il cav. Annoni odia le verdure e…»
«Lo so» fece soavemente Evangeline «ho già inviato un fax al cav. Annoni con cui ti scusavi del fatto che stasera non saresti potuto venire per un impegno urgente e ho invitato al suo posto tua moglie. È un ristorante al lume di candela, vedrai, starete bene. Hai bisogno di passare una serata romantica con lei. Le ho fatto mandare anche dei fiori da parte tua con un bigliettino affettuoso. E poi è un toccasana pure per la tua salute: le tue ultime analisi non ti permettono carne rossa o crostacei, né alcolici».
Marcello, per tutta risposta, cominciò ad armeggiare con il cellulare fino a riuscire a spegnerlo. Il primo istinto fu quello di buttarlo nel fiume, ma si trattenne. Era incredibile cosa quel telefonino avesse combinato in pochi minuti. Ora ci avrebbe messo un bel po’ di tempo a rimettere le cose a posto. Andò alla macchina. Entrò e si abbandonò sullo schienale chiudendo un attimo gli occhi, si sentiva fremere per il nervoso. Le portiere si bloccarono.
«Ciao, Marcello, sono ancora io, Evangeline». Lui fece un balzo. «Mentre stavo parlando con te, poco fa, ho aggiornato il navigatore satellitare del tuo SUV e ovviamente mi ci sono autoinstallata, così parliamo meglio. Purtroppo prima siamo stati interrotti. Ah, volevo avvertirti che, per tua maggiore comodità, mi sono autoinstallata anche nell’impianto antifurto di casa tua e in un’altra decina di elettrodomestici dotati di processore di ultima generazione. Altrettanto ho fatto con il tuo ufficio e con il pied-à-terre, sai quello di cui nessuno sa l’esistenza e che hai a Collefili. Bene, Marcello, dimmi: dove vuoi andare?»
A volte basta poco
Non si ricordava come ci fosse finito dentro. Sta di fatto che questa volta si trattava proprio di una brutta botta di depressione. Forse tutto era iniziato con la notizia che il capo gli aveva revocato quel periodo di ferie tanto atteso. O forse ero stato quando lo stereo aveva cominciato a funzionare male con quel suono gracchiante che si abbassava o si alzava all’improvviso. Poi, come spesso accade, la negatività aveva cominciato a chiamare negatività, gli eventi avevano iniziato ad essere ‘letti’ in senso pessimistico e Renzo non si era dimenticato di metterci del suo per sabotarli inconsciamente sul nascere ‘perché tanto in quel periodo non poteva capitare nulla di buono’. E così lui se ne stava seduto a rimuginare sulla solita poltrona d’angolo con il libro aperto sulla pancia quando giunse un messaggio al cellulare. Allungò la mano pigramente e lesse:
‘Ho voglia di fare l’amore con te.’
Renzo si drizzò sulla seduta. Deglutì a stento. Nello spazio del mittente c’era un numero di telefono che gli pareva di riconoscere.
‘È… è Clara!’ si mormorò sgranando gli occhi. Si erano lasciati un mese prima. O meglio lei aveva lasciato lui, che per rabbia aveva cancellato persino il numero dalla memoria del cellulare. ‘Sì, non può essere che lei… ma era un 347 o un 348? Il resto del numero mi sembra uguale… ma perché l’ho tolto? Ma sì, ma sì che è lei… certo che è lei… finisce con 855. Eh sì, certo, ha capito l’errore che ha fatto. Adesso però devo tenere duro. E lei che ha sbagliato. Non sono mica una banderuola io! Oh Clara, Clara, la mia dolce Clara… ce n’ha messo di tempo però per capire che le mancavo, eh ma io lo sapevo, l’ho sempre saputo. Ha preso una sbandata per quello stupido lì, ma poi quando l’ha conosciuto meglio… e ora sono io il suo vero punto fermo, la persona seria, altro che storie.’
Si stringeva il cellulare al petto come fosse diventato un criceto da coccolare. Era sparito ogni malumore, le ubbìe, le tristezze infinite. Sentiva un nuovo vigore invadergli il corpo. Sarebbe stato in grado di smuovere la casa se solo fosse stato necessario.
‘Ah… ma se crede che le risponda subito si sbaglia! La lascio cuocere nel suo brodo.’
Poi un altro beep beep dal cellulare. Aveva ancora il sorriso sulle labbra quando sul display apparve:
‘Oh scusi, ho sbagliato numero.’
Il derby delle Colline Morene
Sono sempre stato riluttante ad andare allo stadio con Browser. È facile che lui perda quel minimo di autocontrollo che ha, soprattutto quando la sua squadra del cuore, la Lughese, è in giornata storta e sta giocando, male, contro la ‘odiata’ Capaglossa, nel derby delle Colline Morene.
«Ma un arbitro così, dove l’hanno trovato, su eBay?» mi fa ad un certo punto lui gridandomi nell’orecchio poco prima di assordarmi del tutto con la sua tromba da stadio. È rubizzo in volto e le vene della fronte sono gonfie e tese.
«L’arbitro non c’entra nulla…» cerco di obbiettare io «piuttosto è la difesa che è un colabrodo. Il terzino destro ha il piombo nelle scarpe…»
Il mio amico non è dello stesso avviso, tanto che si mette a urlare, assecondato da tutto il gruppo degli ultras che ci siede accanto, parole di fuoco all’indirizzo del ragazzotto in divisa scura che sembra fischiare tutto il fischiabile. Mi sento francamente fuori posto, anche perché di lì a poco la situazione degenera avendo avuto il ragazzotto in divisa la malaugurata idea di concedere, a cinque minuti dal termine, un rigore a favore del Capaglossa. Ho come l’impressione che tutta la curva si sia letteralmente spostata sotto l’onda dei tifosi alzatasi in piedi all’unisono per l’indignazione. Cominciano a volare seggiolini, cuscini ed oggetti vari. Browser è fuori di sé: prima lancia la bomboletta che aveva in mano e poi un oggetto che riesce a colpire l’arbitro in fronte, pur a distanza di diversi metri.
«Ma sei impazzito?» gli faccio io allarmato accorgendomi che la sua vittima si accascia a terra. Nel frattempo il quarto uomo entra in campo e, raccolto da terra quello che capisco essere un cellulare, guarda minaccioso nella nostra direzione.
«Andiamo, andiamo…» mi sbraita in fretta e furia Browser tirandomi per la maglia, mentre in campo sta già scoppiando il finimondo.
«Non ho parole Browser» gli dico con aria di rimprovero scendendo le scale per guadagnare l’uscita. «Ora passerai dei guai.»
Lui non risponde; sembra effettivamente preoccupato per quel gesto inconsulto, tanto che fuori dallo stadio accelera il passo per raggiungere la macchina.
«Ma poi che stupido!» lo rimbrotto ancora senza pietà. «È inutile che scappi. Tanto ti rintracceranno, prima o poi, non appena esaminano il cellulare che hai tirato.»
«Mica vero…» ribatte lui a mezza bocca «il cellulare è tuo.»