Gropius

«Come dice, scusi?» fece il ragazzo sorpreso. «Stavo dicendo che io so cosa sei venuto a cercare qui…» «Davvero?!?» «Perdonami, non mi sono presentato» fece l’uomo pulendosi la mano sul pile bluette e allungandola poi verso il ragazzo «mi chiamo Gropius». «Piacere, Banco» rispose un po’ imbarazzato. Poi seguitò: «Ma Gropius non è il suo vero nome, vero?» «Perché, ha importanza?» chiese l’uomo barbuto riprendendo a mangiare «del resto anche tu non ti chiamerai mica Banco, spero…» «Invece mi chiamo proprio così… per quanto strano possa sembrare…» se ne uscì indispettito. Quel dialogo l’aveva già sentito, e per troppe volte. Banco rimase in attesa che l’uomo andasse avanti con la discussione e gli spiegasse quella sua frase misteriosa. Ma Gropius non sembrava aver fretta. Mise ancora due o tre bocconi tra i denti per poi masticarli lentamente, indicando per qualche secondo il suo stesso interlocutore. Poi disse: «Tu stai cercando il nascondiglio del Malvagio, non è così?» Banco rimase senza parole. Chiuse gli occhi e si concentrò: voleva vedere se il tizio che aveva davanti a sé fosse un Demone. «No…» si schermì Gropius sorridendo, questa volta autoindicandosi con un pezzo di pane unto di olio «…non sono un Demone, stai tranquillo: sono solo un appassionato di paranormale…» «Nel senso che è uno studioso?» «No, niente di così importante, faccio il tabaccaio qui all’angolo. Il paranormale è il mio hobby. Da anni seguo le vicende del Malvagio…» «Perché? C’è persino qualcuno che si interesse di questi argomenti?» «Certo, e anche diversi appassionati lo fanno; solo che sono considerati, dai più, dei visionari». «Ma lei come fa a sapere che proprio io sto cercando il nascondiglio del Malvagio?» «Perché hai un’aura luminosissima. Sai cos’è l’aura?» «Sì, penso di sì». «Ecco… io sono uscito un attimo dalla mia tabaccheria per prendere un po’ d’aria — sembra che ce ne sia davvero poca ultimamente — e ho visto te, seduto qui, con quest’aura bellissima, splendente, che illuminava tutto il locale. Impossibile non notarla». Banco prese il suo bicchiere e lo vuotò. Gli era venuto un groppo in gola. «Seguendo le vicissitudini nefaste di Baalzeniah e avendo letto da qualche parte che in questo periodo si verificava una eccezionale congiuntura astrale, ho pensato che Lui ne avrebbe approfittato. Non so in che modo, in verità, ma lo avrebbe fatto sicuramente. Poi, quando ho cominciato a vedere che nel mondo si stavano verificando, tutti insieme, tanti e strani sovvertimenti climatici, accompagnati da terremoti, siccità, chiarore intenso del cielo, malesseri diffusi nella gente, ho avuto la conferma». Banco era sempre più meravigliato di quante cose sapesse quell’uomo che era peraltro molto piacevole ascoltare per quel suo parlare fluido con voce calda e profonda. «Speravo che la CIA organizzasse al più presto una reazione» spiegò ancora l’uomo alzando una forchetta su cui era infilzato un pezzo di cipolla. «Poi ho visto te e ho capito che eri tu la riposta». «Ma io potevo anche essere una persona qualunque, con una bell’aura forse, non discuto, come dice lei, che però era qui solo per turismo». «Già, poteva anche essere» rispose Gropius pulendosi la bocca stavolta con un lembo della maglia, e scostando da un lato il piatto vuoto. «È per questo che sono entrato in questo locale: per saperne di più. Ho chiuso la tabaccheria apposta. Venendoti vicino ho capito tuttavia di aver avuto ragione». «Di aver avuto ragione?» «Nessun turista, con una aura come la tua, se ne va in giro con un Nodo Celtico della Forza tatuato sul polso». Banco, a quelle parole, si coprì istintivamente il polso con la mano. Si sentì indifeso e sotto gli occhi di tutti. Forse diventò anche rosso in faccia. «Allora si vede!» esclamò il ragazzo abbassando gli occhi e guardandosi attorno. «No, lo vedono solo le persone pure di spirito e quelle che possono aiutarti». Banco fu per un attimo confortato. Gli avrebbe dato molto fastidio portare sulla propria carne una specie di stigmate. Aveva sempre odiato i tatuaggi e quello era qualcosa di molto peggio. Gropius a quel punto gli raccontò un mucchio di altre notizie interessanti, sulla sua vita, sul suo modo personalissimo di vedere il mondo, sulla necessità di combattere sempre il Male sotto qualunque forma si presentasse. Gli raccontò anche che era stato contattato da Pellediluna: una donna piccola di statura, ma dal piglio nervoso e risoluto. Gli aveva telefonato in negozio proprio il giorno prima presentandosi come operatrice CIA: era interessata a incontrarlo e lui le aveva fissato, ben felice, un appuntamento per le sedici di quello stesso giorno. Solo che lei non si era fatta vedere. ‘Era Gropius allora il contatto di Pellediluna!’ pensò Banco ricordandosi di quello che gli avevano detto Franz e Nora durante la visita alla Sede della Compagnia. Il giovane fissò incuriosito quell’uomo buffo che aveva davanti. Alla fine lo aveva trovato o meglio era stato lui a trovarlo. «È morta qualche ora fa» gli rivelò il ragazzo, cui faceva impressione dire che erano passate poche ore da quel tragico fatto, mentre sembrava che fosse trascorsa almeno una settimana. «È per questo, allora, che ha mancato all’appuntamento!» «Morta? Mi spiace tanto… e… e sono stati… sono stati Loro?» «Sì» annuì il ragazzo facendo alcune pieghe alla carta che copriva il fondo del vassoio. «Anche se forse non è stata una morte decisa dal Malvagio». Gropius corrugò la fonte: i suoi occhi erano diventati tristi. «Ma come ha fatto Pellediluna a sapere che lei aveva delle informazioni da darle?» «Probabilmente è stato tutto merito della bottiglia elettronica». «Bottiglia elettronica?» «Nelle mie ricerche ho scoperto che esistono, un po’ sparpagliati nel mondo, degli Ingressi di Intercomunicazione tra le Immagini. Io ne ho trovato uno in una fontanella in disuso. Se si inserisce in queste fessure un messaggio questo viene incapsulato in una sorta di navetta elettronica, a forma di bottiglia, e comincia ad andare alla deriva nella Dimensione delle Immagini. Come se fosse, in altre parole, una bottiglia gettata da un naufrago nell’oceano. La navetta galleggia tra bit e Gator fino a quando non viene raccolta e letta da qualcuno della Compagnia». «Non c’è pericolo che possa cadere, invece, in mani sbagliate?» obbiettò il ragazzo. «No, perché queste navette possono essere aperte solo con dei badge fatti di pasta d’ostia benedetta, quella che viene usata per la comunione dei cristiani. I Demoni non possono toccarla…» Banco finalmente capì cos’era quella sostanza bianca che aveva trovato sul Gator quando lo aveva raccolto tra l’erba: erano i residui del badge fatto di ostia di Pellediluna. La carta, evidentemente, era andata distrutta con l’incidente: era anche per questo che il Bigio ed il Polacco, i Demonilupi, avevano avuto timore di attaccarlo. «Davvero ingegnoso!» commentò il giovane. «Sì, le forze del Bene a volte sono ben organizzate…» A quel punto Banco ritenne giusto mettere al corrente l’uomo di quanto accaduto quel giorno e di quello che gli aveva raccontato Fritzmaster. Gli narrò anche della cattura di Tessa, di Franz e Nora, della morte spettacolare di Tago ed ogni altro particolare che gli venne in mente. Gropius non perse neppure una parola. Anzi, per alcuni passaggi, tirò fuori addirittura un taccuino nero e prese appunti. «Ma è stupefacente!» esclamò l’uomo con gli occhi sbarrati. «Sentire raccontare da te queste cose è completamente diverso che leggerle sui libri o su Internet. Anzi, mi hai riferito cose di cui non immaginavo neppure l’esistenza, come il leggendario Fritzmaster e il suo laboratorio in cima alla Scala d’Argento o le pigne dal sapore di cappuccino degli Alberi dal Tronco Quadrato. Mi dici che è proprio un bambino, Fritzmaster, vero?» «Sì, ma solo nell’aspetto…» «E i Demoni Carena sono davvero così grandi come si dice?» chiedeva Gropius con stupore, come se adesso il bambino fosse lui. «Mastodontici» fu la risposta secca di Banco. «E senti…» incalzò l’uomo facendogli vedere il taccuino nero «va bene disegnata così la Scala d’Argento o era fatta in modo diverso?» Gropius si accorse che il ragazzo non lo seguiva più. Anzi si era fatto scuro in volto. «Scusami, scusami» disse subito l’uomo toccando per un attimo il braccio del ragazzo. «Io ho solo una conoscenza letteraria di quello che invece tu hai vissuto sulla tua pelle, anche con sofferenza e fatica. Scusami davvero, sono stato egoista». «Non si preoccupi» fece Banco, che all’improvviso si sentiva molto stanco. «Vorrei che tutto quello che è successo fosse stato solo un brutto sogno». «Ti posso offrire un’altra cocacola?» domandò gentile Gropius, dispiaciuto di aver infastidito involontariamente il giovane. «No, basta così, mi è sufficiente quello che ho bevuto». «Io comunque posso aiutarti» gli rivelò l’uomo con un tono di voce così basso da costringere Banco ad avvicinarsi per sentire meglio. Il locale era molto affollato e rumoroso. «Lo scrissi nel biglietto che avevo mandato a Pellediluna e ora lo dico a te». Gropius fece una pausa. Poi tutto d’un fiato: «So per certo dov’è il nascondiglio di Baalzeniah!» Il ragazzo si lasciò andare sullo schienale della sedia. E stava per chiedere chiarimenti quando avvertì uno dei suoi soliti brividi sul collo. A Gropius non sfuggì il gesto del ragazzo che si era toccato la nuca in modo improvviso come se fosse stato punto da un insetto. «Hai sentito forse la presenza di…» sibilò d’un fiato Gropius. Banco portò il dito indice al naso in modo che l’uomo facesse silenzio. Poi chiuse gli occhi e si concentrò. C’erano due Demoni in quel fast food: uno era l’inserviente a pochi passi da loro che stava spazzando per terra e un altro era un cliente, vicino alla porta, un uomo di colore con il rasta, ma ben vestito con camicia e cravatta, che stava facendo finta di leggere il giornale. «È meglio che ci allontaniamo da qui» mormorò Banco. «Uno alla volta, però» aggiunse subito dopo. «Vada avanti prima lei». «D’accordo, c’è la mia tabaccheria qui di fronte, ci possiamo vedere lì… ti darò tutte le indicazioni di cui hai bisogno» suggerì Gropius alzandosi. Banco aspettò qualche minuto: seguì con gli occhi il suo nuovo amico che, attraversata la strada, entrava in un negozio su cui capeggiava una grossa ‘T’. Poi si alzò a sua volta. Nel frattempo, poté notare che l’inserviente si era allontanato, mentre il cliente di colore era ancora in piedi poco distante dall’entrata. Il ragazzo, fece qualche passo, indeciso su cosa fare esattamente. Forse quel tizio non stava aspettando proprio lui. Si girò per vedere se c’erano altre uscite. No, proprio non ce n’erano: sarebbe dovuto passare obbligatoriamente accanto a quel Demone. Percorse allora tutto il locale quasi in punta di piedi come se questo lo avesse potuto aiutare a non farsi notare. Ed era a pochi metri dall’uscita quando l’uomo, che fino a quel momento gli aveva dato le spalle, si girò di colpo incrociando lo sguardo di Banco. Il ragazzo ebbe un sobbalzo, poi lo guardò meglio: da una spalla gli scendeva uno zainetto. Lo riconobbe: era il suo. L’uomo ci stava giocando con le dita della mano, come per attirare l’attenzione su quell’oggetto. Banco recepì il messaggio: quello era probabilmente Ai’bargor nella diversa fisionomia che aveva assunto passando dal Mondo delle Immagini alla Realtà. Evidentemente era venuto a riprendersi il contenuto dello zainetto che non gli era stato consegnato nella precedente occasione; e forse, questa volta, era tornato per lui. Il ragazzo accelerò il passo, ma vide dal riflesso della porta a vetri che anche il rasta si era mosso scivolandogli dietro. Pensò subito che dal tabaccaio non sarebbe potuto andare, sarebbe stato come consegnarlo letteralmente ai Demoni. Banco non voleva perdere anche questo nuovo amico. Si mise a camminare svelto per le vie della città. Forse, fin quando fosse rimasto in mezzo alla gente, non gli sarebbe successo nulla. Ma queste regole da film giallo valevano anche per le creature infernali? Camminava sempre più svelto, ogni tanto si voltava indietro a controllare se Ai’bargor lo seguiva. Sperava che per qualche strano motivo il Demone si stancasse e se ne andasse. Ma no, era sempre lì, poco meno di una decina di metri più indietro, ma sempre lì. ‘I Demoni non si stancano mai, pensò, ‘perché possono contare sulle energie inesauribili del Male’. Banco per far perdere le tracce si infilò in un tassì. Ma solo allora gli venne in mente che non sapeva neppure in che città fosse. Il tassista, che era già a bordo, lo squadrò attraverso lo specchietto retrovisore con aria interrogativa. «Dove vuole che ti porti, ragazzo?» fece un po’ scorbutico. «All’aeroporto, per favore!» «Ma a Pani non c’è l’aeroporto, mi prendi in giro» fece l’autista voltandosi verso Banco. «Ah no? Una città così bella? Peccato! Un vero peccato! Allora mi porti alla stazione». L’autista aveva assunto una espressione stupita. Poi alzando gli occhi al cielo bofonchiò: «Almeno ce li hai i soldi, ragazzo?» «Lei non si preoccupi!» rispose acido Banco. «D’accordo» fece lui, e partì. Il tassì aveva appena preso la prima traversa quando sul sedile posteriore della macchina apparve all’improvviso l’uomo di colore con le treccine. Banco istintivamente si ritrasse fino a schiacciarsi contro l’angolo più lontano della macchina, cercando di aprire la portiera in corsa che però risultò bloccata. Sentendo armeggiare, l’autista si girò per accertarsi cosa stesse accadendo sul sedile posteriore della sua macchina. Vedendo quell’uomo che prima non c’era, mandò un urlo acuto perdendo subito il controllo della vettura. Il tassì sbandò più volte fino a quando non andò a centrare un’edicola che si trovava a pochi metri dal cordolo del marciapiede. Volarono giornali e riviste dappertutto. La macchina si incastrò nella lamiera sfondandone una parte. Il tassista e Banco avevano perso i sensi, mentre Ai’bargor si era già volatilizzato.

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