Del perché l’anima non è immortale

Ci hanno sempre insegnato che il corpo è mortale, mentre l’anima non lo è e che, al disfacimento dell’uno, l’altra invece vivrà per sempre. Ma se così fosse, a pensarci bene, sarebbe un assurdo fisico al di là delle credenze religiose o filosofiche che presiedono l’argomento.

In verità, in natura, com’è noto, tutto ciò che esiste ha una sua propria carica energetica. Per la legge della conservazione della massa (fisica), secondo il postulato fondamentale di Lavoisier, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.

Dunque generare dal nulla qualcosa che consuma energia in eterno oltre che essere non ergonomico e inattuabile è anche un controsenso ed è ampiamente contraddetto da tutte le osservazioni scientifiche della realtà che ci circonda. Qualsiasi cosa: dal pezzo di carta alla pietra, dal vento all’intero universo, ha una sua limitatezza e una sua finitezza. Prima o poi ogni cosa o soggetto esistente cessa di esistere e si trasforma in qualcosa di diverso ma che ha, a sua volta, limitatezza e finitezza nel divenire di un ciclo determinato.

Si dirà che l’anima è soprannaturale, quale frammento di Dio o respiro divino per essere sede del nostro intelletto, della nostra spiritualità e della coscienza morale: non ha necessità di una sua carica energetica perché ce l’ha di suo per mutuarla dal Creatore. Un simile assunto tuttavia è giocoforza indimostrabile e può essere accettato oppure a seconda delle proprie credenze e solo con uno slancio irrazionale (appunto) di fede, mentre nulla ci autorizza empiricamente a pensare che possa essere in effetti così.

Ma anche se si volesse accettare la natura divina dell’uomo e del creato, anche se si volesse accettare l’unicità della specie umana a immagine e somiglianza di un dio creatore, “primo motore immobile” di quanto conosciamo, ancora una volta, nulla ci consente di ritenere che ciò che si trova al mondo possa sopravvivere a se stesso essendo anzi noi costantemente circondati dalla prova del contrario anche osservando quelle stesse cose che sarebbero state create da quello stesso dio.

Molto interessanti sul punto sono i risultati cui è pervenuto lo scienziato russo Konstantin Korotkov (–> Fotografata l’anima in cui lascia il corpo), direttore del Research Institute of Physical Culture di San Pietroburgo che ritene di aver fotografato, con la tecnica Kirlian (un sistema utilizzato dal Ministero della Salute russo come forma di monitoraggio per malattie come le neoplasie), l’attimo in cui l’anima abbandona il corpo.

Egli ha verificato che le immagini alonate di azzurro nelle lastre ottenute durante l’esperimento identificano la presenza energetica nel corpo morente che divengono poi rosse al decesso. Secondo Korotkov, il ventre e la testa sono le parti che per prime registrano la perdita di forza vitale mentre l’inguine e il cuore sono le zone abbandonate per ultime. Il corpo non muore, dunque, tutto allo stesso istante, ma in fasi temporali diverse anche se non troppo distanziate tra loro.

È stato anche verificato che l’energia vitale sotto forma di onde elettromagnetiche ritorna più volte nel corpo nei giorni seguenti la morte o vi rimane accanto o attorno, soprattutto in caso di morte violenta o improvvisa, come se, in assenza del corpo che sia in grado di gestirla, non sapesse come essere utilizzata.

Dall’osservazione (anche scientifica) della natura, dunque, alla nostra morte si verifica sia il disfacimento del corpo che la perdita di energia dell’anima e dunque dell’uomo.

Forse scopriremo un giorno che potrebbe anche non essere contemporanea la cessazione dell’esistenza del corpo e dell’anima, ma è solo una questione di banale sfasamento energetico destinato prima o poi a interrompersi definitivamente con il tempo.

Come del resto non si ha contezza di ciò che si è stati prima di nascere, potrebbe dunque essere solo il nulla che ci attende alla nostra morte dal momento che niente ci sopravvive se non il ricordo di chi ci ha conosciuto.
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